“Bisogna essere ostinati per trovare ancora, nonostante tutto, l’energia per richiamare tutti alla necessità della coesione in un partito sempre incerto tra la via Emilia e il West”. È con le parole di Ellekappa, una delle più grandi firme della satira italiana, che inizia l’ultima fatica di Sergio Staino, Alla ricerca della pecora Fassina, pubblicato in questi giorni da Giunti, una vera e propria graphic novel, un viaggio ironico e agrodolce al termine del Partito Democratico.
Sì, perché Elekappa ha ragione quando scrive che Staino è un grande ostinato. Lo è nel suo sguardo lucido con cui, cammuffato dietro la matita, osserva quel “bizzarro e rissoso saloon che è la sinistra italiana”, come lo chiama sempre Ellekappa. E ancora, è ostinato nella sua “sincerità ai limiti dell’autolesionismo”, e, in fondo, anche in quella sua peculiare forma di ottimismo.
«La satira in generale dovrebbe stare benone perché come ben sai si nutre dell’ipocrisia e dell’ingiustizia e di questi tempi di materiale ce n’è tantissimo», spiega Staino, appoggiato al suo bastone da passeggio, davanti alla folta platea che aspetta l’inizio della sua presentazione. «In realtà, però, sta male a livello editoriale e sociale», continua.
Perché?
Perché tra disaffezione politica della base e crollo dell’editoria, soprattutto quella quotidiana e cartacea, le vignette satiriche hanno perso terreno a scapito delle battute online scritte a caldo dalle persone, dell’umorismo di costume anziché politico e di quella parte di produzione — interessantissima ma forse oltre i confini della satira — che è quella generazionale di Zerocalcare. Per il resto la satira mi sembra sia in affanno di espressione, non in affanno di idee.
Cosa l’ha messa in crisi?
In parte è colpa nostra che non abbiamo capito ancora qual è la strada, probabilmente. Ma per i disegnatori satirici politici, come sono io, l’elemento scatenante dell’umorismo è l’elemento emotivo e collettivo della passione politica. All’epoca Pericoli faceva le copertine de l’Espresso ed era riuscito anche a collaborare alla caduta di un presidente della Repubblica. Oggi avrei molti dubbi sul fatto che uno di noi possa far cadere un presidente, o anche un politico di seconda fascia, soltanto con una vignetta o con una copertina di un settimanale. Ma questo succede non perché è cambiata la satira, perché le è cambiato tutto il mondo attorno.
Bobo è nato quando c’era Berlinguer. Ora che c’è Renzi cosa gli frulla nel cervello?
Nel mio libro, Alla ricerca della pecora Fassina, c’è una parte in cui c’è una discussione molto accesa tra i due protagonisti politici, che sono il dubbioso Bobo e il monolitico Molotov. La lettura di Bobo è interessante, perché insiste con Molotov elencando tutte le volte che sono stati contro qualcuno e a favore di qualcun altro. Contro Togliatti e con Secchia, poi contro l’URSS ma con la Cina, poi contro la Cina ma con l’Albania, poi contro Natta ma con Berlinguer, poi contro Berlinguer ma con l’Urss, poi contro Occhetto ma con D’Alema, e via dicendo. «Ora sei contro Renzi», conclude Bobo, «Ok! Ma a favore di chi?!? Dimmelo! Dimmelo! Che ci vengo anch’io!».
Cosa significa?
Che il problema del PD di Renzi è esattamente il fatto che non ci sia un “con chi”. Il problema vero è questo. Siamo contro Renzi per tornare con D’Alema? Ma neanche fucilato torno con D’Alema! Vado con Civati? Ma a fare che? Son quattro gatti in mezzo alla strada.
È mancanza di leader o manca anche altro?
No, manca un gruppo dirigente che abbia elaborato un’analisi della realtà, del perché abbia vinto Renzi, dove hanno sbagliato gli altri, quali sono i problemi principali della nostra società e che tipo di partito può far fronte alla situazione. Qualcuno che sappia capire come porsi con i socialisti europei. La classe dirigente del partito che abbiamo ora non si fa nessuna domanda, che considera addirittura Renzi come caduto dalle stelle e non frutto dei loro errori. Devono fare autocritica, devono prendersi le loro responsabilità e andarsene. Perché sono stati incapaci e con tutto il bene che uno può voler loro, a un D’Alema o a un Bersani, dovrebbero riuscire a capire che è il momento in cui si devono ritirare. C’è Speranza, c’è Cuperlo, che li lascino fare. E invece non, gli stanno addosso e quelli non sono nemmeno capaci di scaricarli come ha fatto Renzi.
Negli Stati Uniti e in Inghilterra le due figure politiche più interessanti sono due vecchi socialisti, Bernie Sanders e Jeremy Corbyn, che però hanno molta presa sui giovani. Vecchi sostenuti da giovani di là, giovani sostenuti da vecchi di qua. Che diavolo succede?
Succede questo, che sia Bernie Sanders che Jeremy Corbyn hanno una concezione politica e della formazione partito molto più matura dei nostri politici. Tu devi sempre tenere conto che Sanders lavora nel Partito Democratico americano anche se per molti versi è un socialista. E ancora, non devi dimenticarti che Jeremy Corbyn è stato per decenni all’interno del Partito Laburista inglese. Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti hanno politici che sanno cosa vuol dire lavorare e lottare dentro un partito, perché sanno che cos’è un partito. In Italia, invece, abbiamo una interminabile storia di scissioni, di frammentazione, di marginalità.
Perché in Italia non esistono i Corbyn o i Sanders?
Se Corbyn fosse nato in Italia avrebbe già fondato un partito e due movimenti. Avrebbe fatto gli stessi danni di un Bertinotti. Il mio libro l’ho dedicato non a caso a Fassina e Napolitano. Perché come tu la metti o non la metti, questa è un’area di compagni. Il fatto che ci trattiamo sempre da nemici è una cosa che viene dalla nostra storia italiana e viene dal Rinascimento, dall’incapacità per secoli di costruire uno stato nazionale, a partire dalla diffusione dei campanili, dei comuni. Noi italiani abbiamo una capacità di non stare insieme che è incredibile.
Di chi è la colpa?
Io credo che ci sia stata una disgregazione fortissima della sinistra politica nel momento in cui essere di sinistra e amministrare fette di potere, nel sistema capitalistico italiano in particolare, ha fatto perdere alla sinistra ogni connotato di eroismo che aveva prima.
Eroismo? Che cosa intende?
Quando eravamo ragazzi, i politici — dal segretario di partito all’assessore, fino al rappresentate del partito — avevano un fascino. E ce l’avevano perché era il ruolo che glielo attribuiva. Erano un’immagine positiva, ben voluta e ammirata della comunità sociale. Il periodo del berlusconismo, a partire dagli anni Ottanta, disgregando qualsiasi valore e qualsiasi comunità, ha preso il posto di questo modello, anzi, ci ha infilato i soldi, le donne, le macchine. È da lì che nasce l’idea che non vale il posto che hai, conta hai successo. Ma successo economico, non morale. Una volta i politici vivevano in case più spartane degli altri, prendevano meno soldi, erano praticamente dei missionari, eppure godevano di un rispetto sociale. Ora invece il rispetto sociale è andato alla merda, e quello che è rimasto è il posto, la poltrona. Ed ecco allora la mutazione, e i giovani che si avvicinano alla politica di questi tempi non sono più, come una volta, quelli che sono spinti da un ideale, ma quelli che sono spinti dalla voglia di una poltrona e del potere.
Parlando di giovani, dove sono finiti quelli come me, la generazione dei social forum, quelli che sfilavano a Stoccolma, Genova, Parigi, Firenze, Roma nei primi anni Duemila?
Voi vi siete sciolti come la neve al sole, non avete fatto troppi danni, se non con la vostra assenza. Se pensi il Sessantotto dove è finito capisci che la vostra generazione non ha fatto una fine molto peggiore. Il Sessantotto ha fatto molto peggio, perché partendo dagli ideali del Sessantotto io ero finito nei marxisti leninisti, ovvero ad appoggiare l’Albania, ovvero uno dei poteri politici più trucidi dell’epoca, si arrivava a giustificare Pol Pot, poi addirittura si arrivò al terrorismo.
Cosa dovremmo fare?
Come sinistra PD, quello che vorrei è che la finissero di rompere i coglioni a Renzi in un modo così stupido e perentorio. Che si battessero, che spiegassero la situazione, cercassero di diffondere idee alternative rispetto a quello che fa Renzi. Poi, una volta fatto, facciano capire alla base che stiamo affrontando una mutazione storica, perché dentro un partito di sinistra ha vinto la parte di centro. Come si fa? Si fa cominciando a studiare, incontrandosi, discutendo, facendo convegni, incontri sul territorio, cercando di capire in che mondo viviamo. Ora al mondo mi sembra che ci siano soltanto due persone che abbiano una visione globale di dove sta andando il mondo e giustamente ne sono terrorizzati.
Chi sono?
Il Papa e Carlin Petrini. Non ne esitono altri. Ma chi è che dà le gambe a un sentimento del genere? Non può essere né il Papa né Carlin Pertrini. Deve essere un partito della sinistra, la sinistra democratica in primo luogo. Si concentri su queste battaglie, racconti questi elementi, e la smetta di parlare delle solite quattro beghe. Perché il giorno che avrai tanti voti, Verdini non importerà più. Ed è venuto il momento di andare a cercare di riprendersi i voti di chi non sta più votando. Non bisogna creare un nuovo PD, bisogna semplicemente ricostruire, all’interno del PD, una anima di sinistra che manca non da quando c’è Renzi, ma addirittura da quando c’è D’Alema.
Al di là dell’Italia e della sinistra, non è che anche la democrazia comincia a non sentirsi molto bene?
Non saprei, io devo confessarti che sono tornato alla vecchia idea di Churchill, ovvero che la democrazia borghese è il migliore dei sistemi politici possibili. E fino a quando non si trova qualcosa di meglio va difesa.
Da chi?
Dai populismi che distruggono le istituzioni, perché lì rischiamo di finire in una china da cui poi non si torna indietro.