Tutti promettono di abbassare le tasse, quindi nessuno lo farà. A furia di parlarne, i politici hanno infatti svuotato di significato quella promessa, che gli elettori non sono più in grado di controllare. Così come hanno fatto con la spending review: e’ diventata tutto e niente, passando da un Governo all’altro. Ma per Oscar Giannino questo è un problema soprattutto a livello nazionale, dove “tutti sono diventati statalisti”. Anche a destra, tranne qualche eccezione. Per questo Giannino vede nei prossimi sindaci delle grandi città, le (nuove) città metropolitane al voto il 5 e 19 giugno, un’occasione determinante: fare quello che a livello centrale non è più possibile fare in materia fiscale. «Perché la competizione – ha sottolineato l’editorialista economico parlando con Linkiesta – non è più fra Stati nazionali, come piace raccontare sui giornali, ma è tra grandi aree metropolitane». Insomma, si dovrebbe votare non per scegliere un amministratore di condominio ma per un programma di governo a lungo termine.
Giannino, tutti i candidati sindaco promettono di abbassare le tasse. Ma, dopo tanti anni, quanto è determinante l’argomento per determinare il voto?
Non è una mia opinione, sono i sondaggi che qualificano le priorità a dimostrare che l’interesse dell’elettorato italiano è sceso. C’è una chiara rassegnazione sul tema della diminuzione della pressione fiscale. Si è rassegnati al fatto che le tasse locali salgano e che quindi tanto vale risparmiare, invece di consumare. Nemmeno il botto delle quattro banche ha cambiato questo trend.
Quindi nessuno abbasserà le tasse, alla fine?
Distinguo nettamente due livelli. Dal livello nazionale non mi aspetto più che le abbassino. E non lo dico per antipatie personali verso qualcuno, sto a quello che è scritto nei documenti ufficiali, come il Def. Il grande regalo che ha fatto Napolitano a Renzi è stato Padoan come ministro dell’Economia. Loro fanno questo in Italia: cercano di aumentare il deficit e non di diminuirlo. Per questo dico che nel breve periodo non arriverà una diminuzione apprezzabile della pressione fiscale. Quello che Renzi va promettendo su Irpef e Irap lo fa solo parlando a platee ridotte. Poi però c’è un secondo livello, non più nazionale, da cui ci possiamo invece aspettare molto. A due condizioni. La prima e’ che si può agire dove in partenza ci sono bilanci comunali non scassati. Quindi non a Roma o a Napoli, a Bari si’, sicuramente a Milano. La seconda condizione e’ che ci sia qualcuno al vertice che voglia mettere mano per davvero nel blocco, ristrutturando la macchina e non tagliando i servizi. Per esempio a Milano penso che Stefano Parisi (il candidato del centrodestra con cui Giannino ha tenuto di recente una conferenza stampa in un ruolo tecnico, ndr) ci creda davvero, perché lo conosco da più di vent’anni, ma è un compito a cui sono chiamati tutti gli aspiranti sindaci.
Sembra però di sentire parlare della spending review, anche questa tanto invocata e promessa che non si sa che fine abbia fatto…
Sì, non c’è dubbio, ormai sono termini usurati. Renzi è bravo in questo: può dire tutto, qualsiasi cifra, ma poi ci si dimentica in fretta. Invece a livello di città è molto più concreto intervenire, ma non per questo meno difficile, perché bisogna mettere in conto una reazione molto forte della macchina pubblica”.
Ci spiega dove si possono trovare le risorse per arrivare ad alleggerire la pressione fiscale?
Iniziamo a dire che non si può risparmiare sul costo fisso, cioè sulle persone. Nemmeno con la riforma Madia sarà possibile farlo. Però ci sono due prospettive fondamentali. La prima è l’accorpamento di tutte le stazioni di acquisto e appaltanti: solo a Roma ci sono 72 sistemi, ciascuno con un responsabile di procedimento. Nelle grandi città basterebbe un solo sistema neurale digitale, che consenta anche un vero accesso ai dati da parte delle imprese e dei cittadini. Il secondo grande ambito è quello delle partecipate e delle controllate, che oggi rappresentano una geografia folle. Si possono recuperare risorse a breve facendo dismissioni. Ma siccome do per scontato che non ci saranno sindaci, né di destra né di sinistra, che facciano cessioni vere, penso che una strada decisiva sia quella di offrire una visione strategica: nelle grandi città serve una visione, servono scelte politiche di fondo su come si vuole organizzare l’area metropolitana. C’è un’inutile molteplicità di aziende di trasporto, che spesso hanno dei load factor assolutamente incompatibili. Non parlo di Milano.
Che modelli ha in mente?
Un caso positivo è quello di Venezia, dove è bastato sistemare l’aeroporto Marco Polo per aumentare l’accessibilità internazionale. Certo Venezia attrae perché è Venezia. Ma per esempio questa capacità non c’è nel nord-ovest: sono due anni che non si arriva a un vero discorso di integrazione fra Orio al Serio, Linate e Malpensa, ciascuno con la sua specificità. Non l’hanno fatto perché non c’è expertise nelle Giunte e perché per fare certe scelte devi muovere quote, fare sinergie e piani industriali. Nelle principali città italiane tutta questa capacità non c’è, e lo dico con rispetto. Di solito l’assessore alla Mobilità si occupa di aprire e chiudere strade, si occupa di multe. E’ preistoria.
Facciamo una sintesi: abbassare le tasse resterà una promessa per sempre?
Sono diventati tutti statalisti, tutti autarchici. A destra sono più a sinistra dei keynesiani del Pd. Ma è la stessa posizione di tutti i populisti, che di fronte a chi invoca la concorrenza rispondono che bisogna difendere il territorio. Non c’è un attore politico che credibilmente si intesti questa sfida. La sinistra fa il suo, a Renzi di questo do atto: lui dice che al massimo redistribuisce la pressione fiscale. La svolta non è dietro l’angolo a livello nazionale, anche se i numeri dicono che è possibile. Ma serve organizzare una proposta politica credibile per farlo. I sindaci intanto possono fare per la crescita più di quanto si creda”.
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