Scontro di contrattiPartite Iva o dipendenti? Sorpresa: il mercato del lavoro non è più diviso in due

Nel mercato del lavoro italiano sono come yin e yang. E la riforma del lavoro ha contribuito a spaccare i due mondi, che però virano più verso una nuova mescolanza dei rapporti di lavoro

Sono come yin e yang. Il bianco e il nero. Il diavolo e l’acqua santa. Quelli con il contratto a tempo indeterminato e il cosiddetto popolo delle partite Iva si studiano a distanza. Si osservano. Si amano e si odiano. Le partite Iva vorrebbero le tutele dei colleghi col contratto. Quelli col contratto, a volte – ma solo a volte – invidiano la libertà di quelli con le partite Iva. La stessa riforma del lavoro li ha spaccati in due: il Jobs Act, e gli incentivi alle assunzioni, sono per i contratti a tempo indeterminato; mentre il governo ancora sta lavorando al fantomatico Statuto del lavoro autonomo, di cui per il momento però si è persa ogni traccia.

Escono insieme, gli autonomi e i dipendenti. Magari vivono pure insieme. Ma, almeno in parte, conducono esistenze diverse. I dipendenti hanno dalla loro i classici sindacati, le partite Iva formano associazioni e gruppi di rappresentanza (come Acta, ad esempio). Che poi i due insiemi si dividono a loro volta. Ci sono le partite Iva infelici, quelle finte, quelle che aspirano al contratto, e le partite Iva fiere di essere tali. E poi ci sono i contratti a tempo indeterminato soddisfatti e quelli che vorrebbero fuggire “se non fosse per il contratto sicuro”. Certo, qualcuno lo fa, ma sono pochi. Perché in Italia il contratto, insomma, è ancora il contratto. E non importa se guadagni meno di una partita Iva.

La busta paga fa sempre tirare un sospiro di sollievo. Vince sempre di fronte alle fatture (certo quelle di medie dimensioni, qui non stiamo parlando di professionisti milionari). Non solo per comprare, ma anche per affittare una casa. E quando ti presenti dicendo di essere un “freelance”, ti guardano subito con l’espressione “finirai per non pagarmi in tempo l’affitto” – anche se fatturi abbastanza da poterti permettere una vita decente. Meglio presentarsi come “liberi professionisti”: fa ancora un certo effetto.

Quando ti presenti dicendo di essere un “freelance”, ti guardano subito con l’espressione “finirai per non pagarmi in tempo l’affitto” – anche se fatturi abbastanza da poterti permettere una vita decente. Meglio presentarsi come “liberi professionisti”: fa ancora un certo effetto

E pure per acquistare una macchina nuova – una city car, niente di che – ti fanno problemi. Anche se la partita Iva ogni mese fattura abbastanza da potersi permettere rate da più di 200 euro, per accedere a un finanziamento ha comunque bisogno di un contratto a tempo indeterminato che gli faccia da garante. Che sia un genitore o il “fortunato” partner.

Perché sì, è vero, il contratto a tempo indeterminato è ancora quello che dà la sicurezza dello stipendio a fine mese, teoricamente finché morte non ci separi da quel pezzo di carta. E per farsi licenziare, bisogna farla davvero grossa. Che poi oggi i datori di lavoro non licenziano nemmeno: troppo costoso. Al massimo ti “accompagnano” verso la porta.

La retribuzione di quello col contratto, in genere, dipende dalle ore che trascorre in un posto. Raramente si trovano datori di lavoro illuminati che badano ai risultati più che al piacere di controllare con i propri occhi i dipendenti attorno a loro. Per gli autonomi, invece, lo stipendio di solito dipende tutto da quello che si fa. Certo ci sono pure le finte partite Iva, dipendenti travestiti da autonomi, ma qui si tratta di illeciti. In pochi casi, le partite Iva hanno retribuzioni fisse che continuano a esistere anche quando non si lavora. Se sei pagato a giornata, mentre si è in vacanza o ci si concede il fine settimana libero, non fatturi. Stessa cosa vale se ti becca l’influenza. Tra le novità dello Statuto delle partite Iva fantasma, c’è l’indennità di maternità senza l’obbligo di astensione per tutti i cinque mesi, la sospensione dei versamenti contributivi in caso di gravi malattie, l’estensione dei congedi parentali anche ai papà. Ma ancora non c’è niente di definitivo.

Sfatiamo un mito: ci sono le partite Iva che guadagnano e sono felici, anche a 25 o 30 anni

Vi è venuto il mal di testa? Sì, la partita Iva, al contrario di quelli con il contratto, è anche una specie di commercialista di se stesso. D’altronde sono gli unici che vengono identificati con un regime fiscale. Il dipendente riceve ogni mese il cedolino, tra aprile e maggio porta la certificazione al commercialista o al Caf e la dichiarazione dei redditi è fatta. L’autonomo è sempre lì a far quadrare i conti, a rincorrere datori di lavoro che spariscono, a incrociare come una battaglia navale gente che paga a 60, 90 o 120 giorni. Attaccando marche da bollo a destra e a manca. Certo, devi impegnarti, ma mica devi per forza fare la fame se sei una partita Iva. Anzi, sfatiamo un mito: ci sono le partite Iva che guadagnano e sono felici, anche a 25 o 30 anni.

Occhio però: se sei nel regime dei minimi, non devi azzardarti a superare le soglie annue stabilite, altrimenti le tasse da pagare possono anche quintuplicare. Quindi: o guadagni molto molto di più, o ti conviene rinunciare a qualche fattura. Sì, a un certo punto conviene guadagnare di meno. Poi per le partite Iva arriva l’estate, quando bisogna pagare l’Iva, e il conto in banca si prosciuga. Niente tredicesime, quattordicesime e chiusure estive. Ma vuoi mettere essere liberi di lavorare quando e dove vuoi senza dover per forza incontrare gente insopportabile?, dicono le partite Iva felici.

Purtroppo e per fortuna, però, il mercato del lavoro non è più bianco e nero. Ci sono le finte partite Iva e le partite Iva infelici. Ma ci sono anche quelli che il contratto ce l’hanno e fanno comunque altri lavori come autonomi, compilando collaborazioni occasionali e cessioni di diritti d’autore. Tra partite Iva e dipendenti, esiste un grande insieme in cui si incontrano e si mescolano. Molti lavoratori oggi, soprattutto tra i cosiddetti Millennials, sono disposti a cambiare spesso lavoro o a sovrapporne diversi, non per forza per far quadrare i conti ma perché vogliono farlo. Il contratto a tempo indeterminato rimane spesso solo il fiore all’occhiello di concessionarie d’auto, banche e proprietari di case. Mentre il mercato del lavoro e i desideri dei lavoratori puntano ormai verso un incontro, più che a uno scontro, tra autonomi e dipendenti. Tutto si sta mescolando. Ed è ora che qualcuno se ne accorga.

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