Sì, amare sia la letteratura che il calcio è possibile

L'assioma a cui siamo abituati identifica l'arte e la letteratura come occupazioni intellettualmente elevate e le rende incompatibili con il calcio, sport di massa d'elezione. Ma non è vero

La letteratura è elevata, l’arte è sopraffina, il calcio è becero. Questo è l’assioma a cui siamo abituati, un’associazione di idee dogmatica per la quale chi ama la letteratura e l’arte è intellettualmente superiore alla massa, e chi ama il calcio è la massa, quindi tendenzialmente è volgare, tamarro, stupidotto. Va da sé che, di conseguenza, si ritiene che a quelli a cui piacciono i libri non possa piacere il calcio, e che chi ama i libri ma non il calcio si senta autorizzato a dire «Odio Il Calcio» facendo leva sulle solite due o tre argomentazioni, che suonano più o meno così:

– Girano troppi soldi intorno al calcio

– Sono solo quattro stupidi che corrono dietro a un pallone

– E ma poi i tifosi vanno allo stadio solo per menarsi

Facile. Se non credi nelle rovesciate di Pinilla (semicit.), non sai cos’è l’Old Firm, e non hai mai perso la voce per un gol. Se nella vita hai visto forse solo due o tre partite dell’Italia ai Mondiali, e ti viene naturale tracciare una linea di demarcazione tra «intellettuali» e «popolino», che scorre parallela a quella che hai già tracciato tra «libri» e «calcio».

Io a undici anni avevo già le idee chiare, e nella vita volevo fare due cose: la scrittrice e il calciatore. La vita ci si è messa di mezzo, ma i libri e il calcio sono ad oggi le mie due più grandi passioni. Dei libri mi appassionano i colpi di scena e le storie, e voglio bene ai miei personaggi letterari e scrittori preferiti, come se fossero amici o parenti. Del calcio mi appassionano le emozioni sul campo e gli aneddoti, e anche a certi giocatori voglio bene, come se facessero parte della mia vita reale.

Dunque, amare sia la letteratura che il calcio è possibile, e come me moltissime persone hanno entrambe le malattie, anche se nella vita mi è capitato di entrare in contatto con alcuni «intellettuali» che facevano dell’ostentazione del loro disprezzo del calcio un punto cardine della loro superiorità, un biglietto di ingresso per la sospirata élite.

Ci sono stati anni in cui ho nascosto la mia passione per il calcio, per lo stesso motivo per cui nascondevo Hit Mania Dance ’99 tra le cassette che ancora vagavano nel cruscotto della prima macchina che ho guidato. Ma la cultura calcistica che ho accumulato con gli anni non merita di essere nascosta con vergogna, perché è ricca di storie, emozioni e connessioni culturali e sociologiche, ed inoltre mi ha sempre offerto un argomento di conversazione in comune con tantissime tipologie di esseri umani. Perché, ovviamente, nella vita mi è capitato anche di entrare in contatto con persone che sanno quanti gol in rovesciata ha fatto Pinilla ma non hanno mai letto un libro.

Ma la verità è che i libri non sono roba solo per secchioni e il calcio non è roba solo da bulletti del quartiere: quella fantomatica linea di demarcazione tra «libri» e «calcio», di cui ho parlato prima, in realtà non esiste, o meglio non dovrebbe esistere. Sono gli stessi scrittori e gli stessi libri a dimostrarcelo, in più di un’occasione.

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