«Suoniamo Mozart e Jimi Hendrix: l’importante non è il genere, ma il mood del momento»

Federico Marchesano da vent'anni alterna basso e contrabbasso suonando jazz, rock e classica: «I musicisti dovrebbero mettersi in gioco di più, suonando in location inconsuete, e i direttori artistici dovrebbero creare stagioni più accattivanti»

Nel suo nuovo libro «Beethoven e la ragazza coi capelli blu» (Mondadori 2016) l’autore, il direttore d’orchestra e pianista Matthieu Mantanus, mette al centro della storia una giovane musicista che suona ad alto livello sia il basso elettrico in una rock band sia il contrabbasso in un’orchestra sinfonica. Musicisti “di confine”, ma non così rari come si potrebbe pensare. Con la rubrica #Beethoveninblue il JeansMusic Lab raccoglie e racconta le loro storie in una serie di interviste “crossover”

Quarant’anni, più di 50 dischi pubblicati e un’intensa attività da musicista, Federico Marchesano non ama includersi in un genere: «Cerco solo di vivere la musica del mio tempo, qualsiasi essa sia». Contrabbassista e bassista, dal 2013 fa parte del Quintetto Bislacco, formazione classica nell’organico – cinque strumentisti ad arco – ma decisamente di avanguardia nell’esecuzione. «Suoniamo diversi capolavori della musica intrecciandoli a irriverenti gag, musicali e non, passando da Mozart ai Cugini di Campagna fino a Jimi Hendrix». E l’effetto per chi ascolta è entusiasmante: l’eleganza della classica unita alle contaminazioni della musica moderna a cui si aggiungono look e scenette dei musicisti convincono gli spettatori ad ascoltare fino all’ultima nota. A Torino, dove è nato e vive, Marchesano ha fondato con Stefano Risso nel 2015 una nuova etichetta italiana: la Solitunes Records. L’idea è produrre solo dischi di musicisti solista. Anche lui l’ha appena fatto con The inner Bass, il suo disco per contrabbasso solo.

Quando è nato l’amore per questo strumento?

Ho iniziato a suonarlo a 14 anni, una scelta in un certo senso obbligata: avrei voluto studiare il basso elettrico, ma all’epoca l’unico modo per studiare musica seriamente era iscriversi al Conservatorio dove quel corso ancora non esisteva! Così scelsi lo strumento che più gli assomigliava: il contrabbasso. Due anni prima, però, avevo già cominciato con il basso elettrico. E in realtà da bambino avevo anche studiato pianoforte. Dopo sono passato al basso elettrico per poi riprendere gli studi classici con il contrabbasso. Sono stato incoraggiato a suonare uno strumento in diverse occasioni: i miei genitori amavano la musica e in casa si ascoltava di tutto, da Jimi Hendrix a Bach passando per Battiato. E oggi quando voglio ascoltare musica non decido mai in base al genere. Piuttosto cerco un artista che sia nel mood del momento.

Nel 1999 ha vinto l’audizione per l’European Union Youth Orchestra e ha partecipato a un tour europeo di concerti: come ricorda quell’esperienza?

Fantastica: lavorare con direttori come Bernard Haitink e Colin Davis, suonando nelle più importanti sale da concerto d’Europa non è una cosa che capita tutti i giorni. Ho fatto parte dell’orchestra per un anno, poi ho iniziato a studiare alla Stauffer. All’estero, però, ho suonato anche jazz con la Europe jazz Odissey. E che si tratti di jazz o di classica posso dire che l’attitudine fuori dall’Italia è un po’ più rock ‘n roll. Si respira un’aria meno accademica, più festosa. Il pubblico è più caloroso.

Sono fortunato: suonare in diversi ambiti significa vivere diverse esperienze, conoscere altri punti di vista. Penso che le diverse tradizioni musicali si differenzino anche per le emozioni che veicolano. E a me interessa l’aspetto emozionale.


Federico Marchesano

C’è un professore di musica che ha inciso nella sua vita?

Il maestro Emilio Benzi: quando lo conobbi mi trasmise immediatamente il suo entusiasmo per la musica e per il contrabbasso, allargò notevolmente il mio repertorio e le mie vedute. Era totalmente dedito all’insegnamento – tanto che anche in estate, a scuola chiusa, ci invitava a casa sua a fare lezione sui passi d’orchestra, sempre gratuitamente. Fu il primo a dirmi chiaramente che il contrabbasso mi avrebbe dato da mangiare un giorno, spronandomi a studiare ancora di più.

Ha suonato in orchestre come l’Accademia di Santa Cecilia e quella da camera di Salvatore Accardo: i suoi colleghi classici cosa dicono del suo essere musicista “di confine”?

Ho sempre ricevuto rispetto e stima dai musicisti classici per le mie competenze extra accademiche. Io stesso ammiro molto le persone che suonano più di uno strumento. Alla fine quello che conta sono i risultati e l’impegno con il quale si affrontano i diversi studi. Se non tutti i musicisti classici suonano altra musica, e lo stesso si può affermare per i jazzisti o per i rockers, è solo perché spesso l’ approccio ad altre musiche è veicolato dallo strumento che si suona e dalla tradizione che porta con se. Il contrabbasso, ad esempio, è fondamentale sia nella classica che nel jazz e in tutte le loro derivazioni, per questo molti contrabbassisti suonano più di un genere musicale. Sebbene molti strumenti dell’orchestra abbiano oggi una “doppia vita”, rimane comunque meno scontato che un fagottista o un oboista si esibiscano in un jazz club. Ma anche qui ci sono notevoli eccezioni come Rino Vernizzi o Christian Toma!

Si sente diverso per questa capacità di suonare classica, rock e jazz?

No, e non penso di esserlo. Credo però di essere fortunato: suonare in diversi ambiti significa vivere diverse esperienze, conoscere altri punti di vista. Penso che le diverse tradizioni musicali si differenzino anche per le emozioni che veicolano. E a me interessa l’aspetto emozionale. Sono gli elementi in comune tra le diverse esperienze ad interessarmi maggiormente e a costituire il nucleo del mio lavoro, ed è quello che ho cercato di fare nel mio disco The inner bass.

Il rapporto con il pubblico cambia a seconda del genere?

Di solito quello che cerco di fare quando sono sul palco, al di là del genere che sto suonando, è di concentrarmi il più possibile sulla musica, sul controllo del corpo e dei movimenti che devo fare per suonare. Se questo “esperimento” riesce, allora anche il rapporto con il pubblico ne giova.

Uno dei gruppi di cui fa parte sono i 3Quietmen

Suoniamo insieme da circa vent’anni! È un trio formato da me al basso e contrabbasso, Ramon Moro alla tromba e Dario Bruna alla batteria. Hanno definito il nostro genere come Math Jazz, Post Rock, Avantgarde…. Ci siamo formati suonando al Jazz Festival di Magdeburg. Ad oggi abbiamo inciso sette album, due dei quali insieme al pianista ECM Stefano Battaglia. Il nostro disco Bartokosmos, uscito per la Auand e dedicato alla musica di Bela Bartok, ci ha portati a suonare fino in Cina, dove abbiamo fatto un tour esibendoci anche nella Concert Hall della Città Proibita, oltre che al Roma Jazz Festival. Attualmente stiamo lavorando ad una particolare forma di improvvisazione, che abbiamo chiamato Instant Song.

Il contrabbasso è fondamentale sia nella classica che nel jazz e in tutte le loro derivazioni, per questo molti contrabbassisti suonano più di un genere musicale.


Federico Marchesano

Continua a suonare anche in orchestre “classiche”?

L’insegnamento e l’attività di freelance negli ultimi due anni hanno preso decisamente il sopravvento, ma continuo a farlo. In particolare suono nell’Orchestra Filarmonica di Torino, con cui collaboro dal 1998. Far conciliare i diversi impegni è la parte più difficile del mestiere di musicista. E nel caso del contrabbasso anche il fisico deve avere il tempo di adattarsi, sia la tecnica dell’arco che del pizzicato richiedono molto studio e preparazione.

Rock, jazz, classica: quale genere preferisce?

La soddisfazione più grande la ottengo dal comporre musica e suonarla in gruppo: normalmente per i miei gruppi jazz, come 3quietmen ed Eternauta. Mi permette di non concentrarmi troppo sullo strumento, ma di avere una visione più ampia della musica che sto suonando. Quando suono classica, mi concentro molto sullo strumento, sul suono che voglio ottenere, sul come superare le difficoltà tecniche e su come realizzare le idee musicali. Una volta fatto questo, cerco di liberarmene e di godere della musica. Nel rock, invece, posso permettermi di avere un approccio più istintivo fin dal primo momento. La materia musicale è più semplice, le cose che contano sono il giusto suono, anche in termini di decibel, ed avere la giusta attitudine.

Lei insegna contrabbasso in un liceo musicale: come si riavvicina il pubblico più giovane alla classica?

Chi si iscrive ad un liceo musicale o a un Conservatorio ha già intrapreso un percorso in tal senso. La musica classica dovrebbe essere insegnata e diffusa in tutte le scuole, dovrebbe ritornare nei palinsesti televisivi e radiofonici, come fa la tv franco-tedesca ARTE. E dovrebbe essere più presente sui social, tornare ad essere argomento di discussione. Ma il vero, unico modo per diffonderla sono i concerti: per quanto i social siano efficaci, rimangono sempre un mezzo impersonale e freddo. La musica va ascoltata dal vivo! Gli stessi musicisti dovrebbero mettersi in gioco un po’ di più, suonando in location inconsuete e i direttori artistici dovrebbero creare delle stagioni più accattivanti: non scegliere brani orecchiabili ma creare una narrazione contemporanea intorno alla musica. Basterebbe svecchiare un po’ tutto il settore. E anche rivedere impianti scenici e scenografici durante i concerti potrebbe decisamente aiutare.

Intervista di Marianna Lepore per JeansMusic Lab

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