«Quella che chiamano rottamazione è stata un riciclaggio». Luca Telese (scrittore, giornalista, conduttore di Matrix, su Canale5) conosce le parole, quindi riconosce le affabulazioni. Lo storytelling non l’incanta. Prima che la rottamazione diventasse il nuovo assoluto intenzionale verso cui tendere ogni manifesto e azione politico-culturali, poco dopo la prima Leopolda, quella quasi carbonara del Renzi esordiente, Telese auspicava (si legga il suo “Gioventù, amore e rabbia”, Sperling & Kupfer, 2011), che un ricambio generazionale sgorgasse l’Italia, almeno per vederli all’opera, i giovani. Qualcosa, poi, è effettivamente accaduto. Successione, rottura e conflitto hanno collimato e il Parlamento ha aperto le sue porte ai quarantenni e ai castigatori del potere, probabilmente assorbendoli. La generazione del precariato ha adesso i suoi rappresentanti nelle aule di governo e un divario di fattezze ataviche, già assai visto, s’è spalancato tra la prima e i secondi. Fuori dal governo, le cose per i trenta-quarantenni non sembrano essersi risolte.
La rottamazione è andata storta?
La scalata della rottamazione e l’ascesa dei rottamatori non è il fenomeno generazionale che auspicavo. Il paese è rimasto prigioniero della logica del precetto, la stessa della classe dirigente dei baby-boomer. Le porte di accesso sono tutte sbarrate, gli ascensori sociali sono bloccati. La politica ha preso a un certo punto a perpetrare il paradosso del cretino di Cipolla (leggere il suo “Allegro ma non troppo”, ndr).
Cioè?
Un gruppo dirigente mediocre seleziona uno più mediocre e così via, fino a che, del tutto inavvertitamente, l’ultimo dei mediocri seleziona uno intelligente.
E poi che succede?
In Italia è successo che sono arrivati i barbari, oi barbaroi, quelli che parlano un’altra lingua, menano ed esercitano il potere senza le buone maniere. Per consolidarsi, hanno precettato la vecchia classe dirigente trasformista e quindi non è cambiato niente. I rottamatori sono diventati legislatori e gruppi dirigenti dei gruppi intermedi sono rimasti esattamente gli stessi.
Mi faccia qualche esempio.
Queste amministrative sono un campionario perfetto. A Napoli Bassolino che si ricandida diventa quasi un’opzione di rinnovamento rispetto a Valeria Valente, che sarà pure una quarantenne ma ha dimostrato di essere una giovane vecchia, quindi che l’anagrafe è una condizione dello spirito. A Roma, Raggi assicura che non sarà revocata da Grillo, perché Grillo è solo una garanzia, una figura simbolica che assicura un protettorato. È assai curioso che il Movimento 5 Stelle sia il movimento dei giovanissimi, che però alle strette si svelano null’altro che avatar di un settantenne.
«In Italia è successo che sono arrivati i barbari, oi barbaroi, quelli che parlano un’altra lingua, menano ed esercitano il potere senza le buone maniere. Per consolidarsi, hanno precettato la vecchia classe dirigente trasformista e quindi non è cambiato niente»
Neanche il rinnovamento renziano c’è stato?
Ci sarebbe stato se Renzi si fosse candidato e avesse vinto con le sue forze, invece c’è stato solo un presunto nuovo che ha patteggiato col passato le condizioni della discontinuità, seguendo una logica da Gattopardo di Tomasi Di Lampedusa.
Dopotutto, Renzi rivendica Berlinguer (disse a Grillo di sciacquarsi la bocca prima di nominarlo) per accreditarsi politicamente e culturalmente dentro la tradizione della sinistra.
Tutti usano Berlinguer combattendolo: è incredibile. Che i 5 Stelle non possano nominarlo è evidente per un fatto semplice: Berlinguer fu, a torto o a ragione, uno strenuo sostenitore della democrazia dei partiti, mentre loro sono contro il partito. Renzi, invece, usa Berlinguer per rottamare la Costituzione.
È il segno di un decadimento culturale?
C’è un uso scomposto e irrispettoso del passato: la vicenda Boschi ne è un esempio lampante e quasi esilarante. Lo strumento è quello della decontestualizzazione: tutto può essere trasformato in un tweet, in uno slogan. Di quello che ha detto Ingrao si fa un cioccolatino da usare per dimostare che sarebbe stato favorevole alla riforma della Boschi, anche se quando Ingrao parlava il ministro era ancora all’asilo. Il trasformismo ha prodotto un maquillage che ha ringiovanito gli stili e i modi, ha ridotto l’appartenenza culturale a delle slide, creando una paccottiglia postmoderna: questa è la sola innovazione avvenuta e, francamente, fa rimpiangere il passato.
«Il trasformismo ha prodotto un maquillage che ha ringiovanito gli stili e i modi, ha ridotto l’appartenenza culturale a delle slide, creando una paccottiglia postmoderna: questa è la sola innovazione avvenuta e, francamente, fa rimpiangere il passato»
Possibile che sia solo colpa del sistema e non, anche, dei giovani?
Per me un giovane rappresentativo degli italiani è Giulio Regeni, non Alessandra Moretti. Regeni voleva vedere il mondo e capirlo, non fare l’assessore del sottogoverno. Anche Letta è stato un giovane quarantenne al potere, ma lo aveva precettato un presidente della Repubblica novantenne, non era stato eletto da un movimento generazionale.
I sessanta-settantenni di oggi sono quelli della fantasia al potere. Possibile che siano stati padri così deludenti?
Nel ‘68 c’erano i padri fascisti e i figli comunisti, i padri comunisti e i figli brigadisti. Questa overdose del conflitto ha spinto quei figli, una volta diventati padri, a evitare di perpetrarlo, rifuggendolo del tutto. Così, sono diventati dei fratelli maggiori e il conflitto generazionale si è estinto.
E cosa l’ha sostituito?
Un misto di fraternalismo e paternalismo che ha portato a rimpiazzare il buon vecchio autoritarismo con il cinismo, unito alla resa a una condizione cronica spacciata per principio: se sei giovane, hai meno diritti. Quando sul sito dell’Inps fu messo a disposizione degli utenti il calcolatore della pensione, solo chi aveva più di quarant’anni poteva usarlo: i più giovani no, perché altrimenti – lo dichiarò Mastropasqua – sarebbe scoppiata la guerra civile. Ora è arrivata la busta arancione, che ha sancito definitivamente un divario generazionale incolmabile.
«Per me un giovane rappresentativo degli italiani è Giulio Regeni, non Alessandra Moretti. Regeni voleva vedere il mondo e capirlo, non fare l’assessore del sottogoverno»
Più della pensione negata, penso sia grave che a prendere la parola siano gli stessi che dichiarano di aver fallito. Su La Repubblica del 27 maggio, Cacciari ha dichiarato che la sua generazione ha sbagliato tutto, eppure continuiamo ad ascoltarlo.
Cacciari si è tirato indietro e fa l’intellettuale. Io non sono un tagliatore di teste: se un novantenne ha delle idee, per me, è un valore. Il paradosso, più che altro, sta nell’assuefazione dei ragazzi italiani. A Parigi per una legge che è la copia carbone di quella votata da noi, hanno fatto 15 giorni di sciopero e la benzina non è arrivata ai distributori.
Questa assuefazione non è la conseguenza di una disabitudine al conflitto? E torniamo al punto precedente: la colpa è stata dei padri troppo fraterni?
Un padre fraterno non è il tuo nemico di classe: al massimo può essere una rotella dell’ingranaggio del consenso che ti fa accettare la realtà. I veri nemici sono la classe dirigente obsoleta, i giovani vecchi. Il padre complice è contraddittorio, morettiano, ma è fuori dai giochi: è già uno sconfitto.
Allora dovremmo smetterla di parlare di padri e figli, cominciare a pensare che il presente è responsabilità dei figli?
I partigiani ebbero padri fascisti che li crebbero da balilla, ma ebbero la forza di ribellarsi, da soli. I padri inteneriti, quegli ex sessantottini, sono solo effetti, non cause.