MADRID – Dietro la scritta a caratteri cubitali El Mundo, nell’open space dell’edificio in avenida San Luis, s’intravedono piccoli capannelli di giornalisti. Tra Opa e contro-Opa, di cui sono arrivati solo strascichi di notizie, di Urbano Cairo si sa ancor meno. Se non che il nuovo azionista di maggioranza di Rcs, in Spagna, vuole intervenire. E con urgenza. Il come è tutto da vedere. Nella centrale di Madrid già da tempo regna il caos. E da due mesi poi, va ancora peggio. Prima, il 4 maggio, lo sciopero generale (l’ultimo fu nel 1994). Poi, a venti giorni di distanza, la destituzione di David Jiménez, il giovane direttore votato alla tecnologia. E con questo fanno quattro in due anni e mezzo. A partire dal rimpianto Pedrojota, il fondatore del giornale, nel 2014.
«Viviamo in un Paese con un governo ad interim in un giornale ad interim», ironizza un redattore che preferisce rimanere nell’anonimato. Fa parte della lista dei 160 professionisti che, tra licenziamenti, prepensionamenti e dimissioni volontarie, Unidad Editorial – la controllata spagnola di Rcs Media group, cui fa capo il quotidiano generalista, insieme a Marca ed Expansión – sta già mettendo alla porta. C’è stupore, incertezza, preoccupazione, rabbia. «È normale aver saputo della rimozione del tuo direttore in radio?», si chiede attonita un’altra voce anonima del quotidiano. In effetti il termine “ex” si ascolta per la prima volta in diretta nel programma di Carlos Alsina, Mas de Uno, su Onda Cero, trasmissione mattutina tra le più seguite del Paese. Da qui i capannelli nei corridoi avevano portato lo stesso Jiménez a venir fuori dalle sue stanze per annunciarlo alla redazione. Pedro García Cuartango, della vecchia guardia, ha preso il suo posto, ma solo in attesa della nomina di un nuovo direttore. Il quinto. Che, a quasi due mesi di distanza, tarda a venire.
Poche ore prima la cacciata del direttore, raccontano alcuni, il vice Agustín Pery, uno degli storici de El Mundo, usciva a testa bassa, con le scatole di cartone in mano, come accadde per la Lehamn Brothers. «Me ne vado perché uno deve riconoscere quando è più un problema che una soluzione», ripeteva mentre svuotava l’ufficio. A pochi metri di distanza anche Santiago Segurola, vice direttore di Marca, si congedava dai suoi: il quotidiano sportivo non fermava le sue rotative da ben 78 anni. Come se non bastasse, al terremoto s’aggiungeva un altro sussulto arrivato in sordina: il direttore generale Javier Cabrerizo, il padre dei tagli “lacrime e sangue” di Unidad Editorial, entrava nel Consiglio d’amministrazione di Ficosa International (multinazionale del settore auto), proprio mentre si chiudeva la trattativa con il Cdr sulla terza tornata di licenziamenti da lui disposta. “Se si viaggia su un Titanic che affonda, chi può scappa”, taglia corto con sorriso amaro un altro cronista.
«Al Corriere della Sera hanno delle garanzie, come la cassa integrazione. Noi nemmeno quella. Qui patiamo col sangue le loro scelte manageriali insensate»
Bastano i dati per capire: il quotidiano che fino a un anno e mezzo fa vendeva 133mila copie al giorno, adesso ne vende 76mila, e il sito web, leader indiscusso da oltre quindici anni, è stato superato non solo dall’online de El País, ma perfino da quello del quotidiano madrileno Abc. Nella falcidiata redazione sono in molti a pensarlo: «Che fine hanno fatto gli italiani?». Come nel romanzo di Buzzati, la succursale iberica del fortino Bastiani subisce l’oscuro male: a turno tutti attendono che qualcosa si muova. La sensazione è che la rovinosa incursione da parte nemica, chissà, giunge dai torrioni. «Perché», s’interroga una redattrice, «hanno continuato a mantenere al vertice Antonio Fernández -Galiano? Quello che fece, per intenderci, il brutto affaire Recoletos e che ha fallito su tutti i fronti?». Il presidente di Unidad Editorial, l’8 maggio del 2009 approvava il primo Ere (in buona sostanza taglio del personale) della storia: 180 benserviti. L’inizio di una lista che, nel tempo, s’è ingrossata fino a 1.126 dipendenti (o meglio ex), il 53 per cento dell’organico del gruppo, che già dal 2012 ha tagliato gli stipendi di circa il 30 per cento. Sette anni dopo, l’amigo degli italiani continua ad essere a capo di un cda che, finora, ha intascato oltre 30,4 milioni di euro, senza contare benefit e liquidazioni milionarie. In redazione lo sanno tutti. Eppure resta l’unico sopravvissuto a tutte le burrasche degli ultimi anni, con il beneplacito indiscusso di via Solferino.
Difficile immaginare, allora, che qualcuno voglia davvero assumersi la responsabilità di gestire il profondo rosso della Spagna. Per Urbano Cairo il grattacapo iberico non sarà da meno, se tutti considerano inevitabile un bailout di Unidad Editorial (e di vendere se ne parla da tempi immemori senza risoluzione). «Gli italiani ci odiano, siamo la loro rovina», dicono alcuni redattori. D’altro canto l’invidia degli spagnoli è palpabile: «Al Corriere della Sera hanno delle garanzie, come la cassa integrazione. Noi nemmeno quella. Qui patiamo col sangue le loro scelte manageriali insensate». E Pietro Scott Jovane? «Chi l’ha mai visto? La sua amministrazione è stata pessima, se non inutile», dicono. La nuova ad Laura Cioli? «È presto per capire la sua linea, ma la sensazione è che Rizzoli non abbia la benché minima idea di cosa fare con noi», confessano preoccupati. L’arrivo di Cairo, chissà, potrebbe cambiare le carte in tavola: dividere e vendere alcune testate? Scommettere su El Mundo e Marca e abbandonare le prime pagine meno redditizie? Mettere alla porta lo stesso Fernández Galiano? A Madrid frattanto i tagli imposti in stile Angela Merkel da via Solferino sono piovuti a raffica perfino sul decoro aziendale: via l’acqua calda dalle toilette, per esempio, e luce con sensore di movimento negli angoli riservati ai distributori automatici. Come a dire, chi si siede a sorseggiare un café con leche qui è perduto.