Durante l’estate del 2011, tra i funzionari dell’UNCHR di stanza a Lampedusa girava una storiella dal sapore distopico. La storiella raccontava di un manuale scritto da alti funzionari dell’ONU per la generazione di funzionari europei che sarebbe loro succeduta nei successivi vent’anni. Lo scopo? Saper affrontare le guerre civili che gli autori di quel misterioso manuale pensavano essere in procinto di scoppiare nel cuore dell’Europa. Lo scenario? Un’Europa profondamente scissa, il cui divario interno tra ricchi e poveri si sarebbe fatto ingestibile e avrebbe portato ad una sorta di “gentrighettizzazione”.
La tesi era tanto semplice quanto distopica, almeno all’epoca. Gli autori di quel misterioso manuale si immaginavano che, entro il 2030, le maggiori città europee sarebbero diventate il campo di battaglia di scontri sociali inediti. Da una parte, in centri storici militarizzati e isolati, la parte ricca della popolazione — sempre più ricca — avrebbe vissuto un’esistenza sempre più lunga e sempre agiata; dall’altra, in infinite periferie senza soluzione di continuità, una subumanità immiserita avrebbe condotto una vita di espedienti, senza alcuna giustizia, senza alcuna libertà, nemmeno quella di scegliere di che morire.
Quel manuale, che quasi certamente era una invenzione di qualche funzionario burlone che, annoiato dalla vita isolana a Lampedusa, riempiva i vuoti di noia con l’immaginazione e la fantapolitica, a distanza di cinque anni quella storiella la ritroviamo in un libro, anche questo di fantasia, intitolato Globalia ed edito da edizioni e/o.
Il mondo di Globalia somiglia molto al mondo immaginato da quella fantomatica e inesistente guida. E se l’avesse scritto un James Ballard, un George Orwell o un H.G. Wells, probabilmente ci farebbe poca impressione. Come poca impressione ci fa, quello stesso mondo, immaginato e messo in scena dal regista Neill Blomkamp in Elysium, con Matt Damon e Jodie Foster. Il problema è che, in questo caso, l’autore non è uno scrittore qualsiasi. Si chiama Jean-Christophe Rufin, medico, attivista e diplomatico francese, uno che nella vita ha fatto l’ambasciatore, il funzionario e il medico attivista, tra i fondatori di Medici Senza Frontiere. Uno che sa quel che scrive, anche se si tratta di fiction. Perché ogni fantasia pesca il suo materiale nella realtà. E, nel caso di Globalia, le fonti del reale sono molto evidenti. È proprio per questo che fa più paura.
«Ogni tanto gli scrittori vedono il futuro meglio che i sedicenti “specialisti”», risponde Rufin quando gli proponiamo la storiella del manuale delle guerre civili europee. E continua: «nesssun politologo aveva previsto lo scenario inaudito della caduta del comunismo, sebbene alcuni avessero intuito che non sarebbe stato un sistema eterno. L’evoluzione delle nostre società è una cosa che avvertiamo tutti, di giorno in giorno, ma chi si preoccupa delle grandi evoluzioni in corso sono solo i narratori. La fiction, come scriveva Solženicyn, spesso è più vera dei discorsi che pretendono di essere scientifici».
Il futuro che si è immaginato in Globalia è inevitabile? Che cosa possiamo fare per non finire così?
Temo che evoluzioni di questo genere facciano parte della struttura stessa delle società democratiche. Alexis de Tocqueville, quando descriveva l’America dell’inizio del XIX secolo lo aveva già intuito: nella democrazia è insita una potenzialità pericolosa, una deriva autoritaria: controllo dei cuori e dei corpi delle maggioranze subalterne, dittatura delle minoranze e recupero, sotto forma di spettacolo, di tutti i conflitti.
Se è inevitabile, perché la maggioranza povera della popolazione mondiale vive in attesa che la guerra e la miseria piombino loro addosso? Perché, se questo è il futuro, non c’è già la rivolta?
Il pericolo, soprattutto del terrorismo, non è una vera minaccia per le democrazie. Questi attentati sporadici, queste azioni portate qua e là contro i civili non costituiscono una vera sfida per delle società complesse, tanto che dire che siamo in guerra è una menzogna. La realtà è che queste società democratiche approfittano a mani basse di queste minacce.
Come se ne approfittano?
Permette loro di esercitare un controllo di polizia sempre più stretto sulla popolazione, permette loro di giustificare la costruzione di barriere per dividere “Noi” da “gli Altri”, ovvero quelli che vivono nei “non luoghi” del terzo mondo.
Chi sono questi “Altri”?
Sono le popolazioni escluse sul serio, quelle che vivono nel mezzo delle guerre vere e nella vera miseria, storie che esistono sempre di meno nella rappresentazione mediatica occidentale. Chi si preoccupa degli attentati quotidiani a Bagdad o in Nigeria? Salvo provare a scappare nei paesi del Nord sviluppato, cosa che è sempre più difficile, queste popolazioni subiscono la propria sorte senza avere nessuna soluzione.
Quanto ha influito l’esperienza di MSF nella nascita di questo romanzo?
Ho attraversato da anni la linea rossa che separa paesi in guerra e paesi sviluppati, le “non zone” dimenticate dai media dal cuore del sistema, chiaramente in Europa. Questa esperienza mi ha permesso di vedere poco a poco i due mondi che si allontanavano: il primo è un mondo dove si invecchia, dove la sicurezza diventa sempre più stringente, dove si proclama la democrazia, ma dove nessuno va più a votare. Dall’altra c’è un mondo che sopravvive in mezzo a guerre interminabili, governato da dittature da operetta, un mondo però estremamente giovane e dinamico.
Si parla sempre di più di un conflitto intergenerazionale latente in Europa, un conflitto tra vecchi e giovani. Perché? Rischiamo veramente una deriva simile?
I “vecchi” hanno preso il controllo della democrazia dal punto di vista economico, politico e sociologico. È ineluttabile. La promessa democratica è quella di una vita sempre più lunga e di una sanità sempre più efficiente. Vivere vecchi e morire giovani, è lo slogan di Globalia. Più si invecchia, più si resta in forma. La gente non ha più età. Non muore più nessuno. Le persone si occupano in maniera ossessiva dell’apparenza, della loro forma fisica, della loro capacità intellettuale. Nello stesso tempo, i giovani sono senza lavoro. È l’equazione che regge il mondo di Globalia, salvo rivoluzioni…
Le morti nel Mediterraneo sono ormai talmente numerose da essere scivolate via dalle prima pagine dei nostri quotidiani, relegate a pagine interne, o proprio ignorate. Ci abbiamo fatto l’abitudine alla morte degli altri? Possiamo parlare di volontaria sospensione della nostra umanità? La Storia ci giudicherà?
La crisi dei migranti che viviamo oggi segue altre crisi che abbiamo già vissuto — dai rifugiati albanesi degli anni Novanta alle piroghe che partivano qualche anno fa dal Senegal verso le Canarie. Queste crisi evolvono tutte nello stesso modo: emozione, poi abitudine, poi controllo dei flussi migranti direttamente alla fonte. Io sono convinto che questa crisi permetterà di costruire ancor meglio la nostra Globalia: barriere ermetiche tra il Dentro, ricco, e il Fuori, povero, rigettato dall’indifferenza. Questa crisi è una tappa della nascita di Globalia, ne sono convinto.
I ‘patafisici postulavano che bastava immaginare e scrivere romanzi che raccontassero storie terribili del futuro per evitare la loro esistenza nel mondo reale. Un po’ come il personaggio di quel racconto di Borges, che passa la notte prima della sua esecuzione a cercare di immaginare tutti i dettagli della sua fucilazione per evitare che succedano. Le teorie dei ‘patafisici e la storia di Borges senza dubbio appartengono al regno della finzione, ma, fuor di metafora, possiamo credere veramente che le invenzioni narrative, soprattutto quelle distopiche come Globalia, possano agire sulla realtà?
Nelle battaglie, diceva Cicerone, sono gli occhi quelli che vengono sconfitti per primi. Ed è pur vero che uno sguardo limpido e chiaro è una delle condizioni per l’azione. Mostrare è una delle funzioni del romanziere, certo, da qui a sapere che uso sarà fatto di quello sguardo, chi lo può dire?
Un’ultima domanda: ci resta ancora tempo per reagire?
Questo è il tempo in cui rendersi conto che le democrazie non sono per niente dei sistemi perfetti di per sé. Perché non sono in grado di assicurare il benessere a tutti come promettevano. È ancora il tempo di rendersi conto che devono essere messe in discussione, stimolate, interpellate, altrimenti ci condanniamo a dimenticarci la loro stessa ragion d’essere: essere al servizio degli uomini.