Scordatevi i compensi dei dirigenti e dei direttori dei tg della Rai. Se volete farvi un’idea di quanto (e se) ci sia un cambiamento in atto rispetto al passato e un vero spirito riformatore, guardate alle modifiche strutturali. Sono quelle le vere fonti di spreco, ben più degli ex direttori o inviati parcheggiati con stipendi da oltre 200mila euro senza che alzino un dito. E su questo il governo Renzi e la dirigenza da questi nominata deve ancora dimostrare la propria volontà e capacità di incidere a livello profondo. Ne è convinto Stefano Balassone, ex vicedirettore della mitica Raitre di Angelo Guglielmi e consigliere di amministrazione della Rai dal 1998 al 2002. Oggi insegna economia dei media alla Suor Orsola Benincasa di Napoli e alla Luiss di Roma ed è segretario generale dell’Anica (associazione di categoria del settore cinematografico). E per questo oggi è uno degli osservatori più ascoltati perché, spiega, «sono totalmente libero, perché non ho rapporti con la Rai se non di interesse culturale».
Come legge l’operazione “casa di vetro” che ha portato alla pubblicazione degli stupendi dei dirigenti che guadagnano più di 200mila euro e dei consulenti da più di 80mila? È un’operazione trasparenza o è una volontà di regolare i conti interni?
Più che un’operazione è un atto dovuto, che arriva dopo un anno dalla legge che lo prevedeva. Detto questo, evidentemente non si tratta di una materia neutra. In un mondo normale i livelli di retribuzione elevati di un’azienda come la Rai resterebbero riservati, perché non possono avere una diffusa accettabilità sociale. A chi prende 800 euro al mese, una retribuzione annua di 300mila euro a un dirigente Rai può sembrare uno sproposito, anche se può corrispondere a cifre inferiori al mercato. Elemento caratteristico di questa operazione trasparenza è che crea comunque un problema che va gestito.
Che tipo di problema?
È un problema che ha tutto l’impiego pubblico. La Rai, pur essendo una società giuridicamente privata (società per azioni, ndr) ma si motiva come servizio pubblico e viene percepita come pubblica quanto la polizia. Per questo la gente si chiede: “quando pago questi funzionari pubblici?”. Noi sappiamo che nelle tv private corrono stipendi di quella misura, questo è arcinoto, e che la Rai se vuole attingere a certe risorse professionali sul mercato è ovvio che non può non pagarli. Però il fatto di pagarli con soldi pubblici crea una faglia di incomprensione incolmabile con gli strati largamente maggioritari della popolazione che paga il canone, specialemente ora che lo paga in bolletta. Il problema è evidente. Fino a oggi ci si è convissuti nella misura in cui non se ne è parlato, finché si è praticato il contrario della trasparenza. Ha fatto bene il governo a mettere quella norma nella legge e hanno fatto il loro dovere i dirigenti Rai che hanno obbedito. Ma questo non garantisce affatto che la base di consenso della popolazione non venga intaccata.
L’amministratore delegato e direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, ne esce rafforzato? O sarà un boomerang, visto che stanno uscendo dei compensi per consulenti molto elevati, come Massimo Coppola (200mila euro) e Francesco Merlo (230mila euro)?
Questa è la domanda delle cento pistole. È perfino impossibile fare il saldo dell’operazione. Probabilmente uno stesso cittadino apprezzerà l’operazione trasparenza e si arrabbierà per i compensi alti. Io capisco che Carlo Freccero dica che il cda attuale non ha i poteri per cambiare situazioni passate, ma il punto è un altro.
Quale?
Chiedersi quale possa essere l’insieme delle motivazioni che può indurre manager e persone di valore un domani a preferire di lavorare per lo Stato, sia pure sotto forma di servizio pubblico televisivo, anziché per un privato che li pagherebbe dieci volte tanto. Questo certamente non è l’eredità delle lottizzazioni passate, dove il cemento era in larga misura costituito dall’abbondanza retributiva.
«È perfino impossibile fare il saldo dell’operazione “casa di vetro”. Probabilmente uno stesso cittadino apprezzerà l’operazione trasparenza e si arrabbierà per i compensi alti»
Lei si scandalizza per i 600mila euro a Campo dall’Orto e i 300mila euro ai direttori dei tg?
No, non mi scandalizzo. Per quanto mi ricordo, sono in linea con gli stipendi dei passati direttori generali, semmai con qualche briciolina in meno. La stessa cosa direi per il presidente.
Il precedente dg, Luigi Gubitosi, si abbassò lo stipendio da 650mila a 240mila euro, il tetto che era stato imposto ai dirigenti pubblici e che fu subito revocato quando la Rai cominciò a emettere bond, in questo modo accedendo alla deroga prevista dalla legge. Cos’ha pensato quando Campo Dall’Orto è entrato con 650mila euro di stipendio?
Che si è comportato come un manager sul mercato. Immagino che abbia valutato tutte le circostanze. Considerando che il mestiere del direttore generale della Rai è precario e ti fa bruciare un po’ di terra attorno, ha deciso di mettere un po’ di roba da parte. Mi chiederei, più che quanto prende Campo Dall’Orto, quanto prende Pier Silvio Berlusconi o l’ad di Sky Italia. Bisogna avere i termini di confronto, se stiamo parlando in livelli di mercato. Se si parla dello status speciale della Rai, in cui il valore è nello svolgere servizio pubblico, la cosa è diversa. Un tempo, parlo di 20 o 30 anni fa, ho avuto modo di conoscere una lista di persone che lavoravano con molta responsabilità sulle spalle e lo facevano per il piacere che ne provavano.
Rispetto ai 300mila euro dei direttori dei tg Rai Mentana prende un milione di euro, ha scritto il 24 luglio Il Messaggero.
Sì, però Mentana è anche uno showman, un autore in diretta e un format. È giusto che la cifra sia alta, anche perché è in onda un’incredibile quantità di ore. Il confronto lo farei con il direttore del Tg5.
Se le cifre riportate in questi giorni sono giuste, Clemente Mimum guadagna circa 700mila euro.
Appunto. Di cosa stiamo parlando?
Quindi l’indignazione per il compenso di dirigenti e consulenti è populismo?
È populismo, ma lo giustifico anche. Dipende anche da come le cose vengono presentate. La tv commerciale sembra che si abbia gratis. La tv pubblica si finanzia con il canone. È normale che il contribuente dica “e io pago”. Se ciascuno paga 100 euro di canone, ci vogliono tremila pensionati per arrivare a pagare uno stipendio di un dirigente. Però penso che la colletta nazionale ci debba essere, purché la Rai si riformi, altrimenti sono soldi buttati.
Il canone in bolletta, con i previsti maggiori ricavi, allontana la possibilità di riformare la Rai?
No, al contrario, può accelerare, rende più semplice la riforma.
La soluzione è la privatizzazione, almeno di una rete?
Privatizzare non ha alcun senso, è la via più breve per avere gli stipendi raddoppiati dei dirigenti.
«Campo Dall’Orto si è comportato come un manager sul mercato. Considerando che il mestiere del direttore generale della Rai è precario e fa terra bruciata attorno, ha deciso di mettere fieno in cascina. Mi chiederei, più che quanto prende Campo Dall’Orto, quanto prende l’ad di Sky Italia. Bisogna sempre fare confronti con il mercato»
La Rai renziana è diversa da quella precedente?
Sto ancora aspettando di capire cosa faranno. Hanno una loro idea editoriale, c’è gente più fresca e che si intende di tv. Ma il punto vero è quanto incisivamente si riformi l’attuale assetto organizzativo pulviscolare di testate e di edizioni.
L’attuale dirigenza è stata la calata dei barbari contro il potere costituito oppure no?
No, non mi pare. Si sono circondati di amici, o quantomeno di persone di cui si fidano. Chi arriva trova una Rai molto invecchiata e ha un grado di sfiducia molto elevato. Ma questo è solo un problema di galateo. Dal punto di vista del popolo sovrano, quello che conta è verificare se abbiano trasformato l’azienda o no. Trasformare, beninteso, non significa fare palinsesti indovinati, ma modificare le strutture profonde dell’azienda.
Quanto sono forti i renziani oggi in Rai?
Non ne ho idea. Non so neanche chi sono. Certo sulla trasformazione della Rai il governo si gioca molta della sua credibilità. Se prima dell’operazione trasparenza fosse stata fatta un’operazione di trasformazione strutturale, ci sarebbe stato di più da raccontare.
Una riforma interna è stata fare contratti triennali per dirigenti e non più a tempo indeterminato, come quello dell’ex dg Lorenza Lei.
È un primo piccolo passo. Che spiega anche il livello retributivo: non essendoci un paracadute come il contratto a tempo indeterminato, la maggiore incertezza viene quantificata nel contratto.
Che fare di Anna La Rosa, ex direttrice dei servizi parlamentari, e degli altri parcheggiati d’oro?
Non conosco i dettagli ma bisogna fare solo due cose: o licenziarli o trovare un accordo per rinegoziare i contratti.
Oggi sappiamo chi dei parcheggiati guadagna più di 200mila euro. È la punta di un iceberg quanto grande?
Può essere molto grande. Ma anche se tutti lavorassero non si risolverebbe l’impianto strutturale che produce sprechi.
Bisognerebbe quindi accelerare sulla newsroom unica per le redazioni dei tg?
Non voglio sposare una soluzione o l’altra. Di certo una riorganizzazione delle redazioni giornalistiche è necessaria.
«Sto ancora aspettando di capire cosa faranno i nuovi dirigenti della Rai. Hanno una loro idea editoriale, c’è gente più fresca e che si intende di tv. Ma il punto vero è quanto incisivamente si riformi l’attuale assetto organizzativo pulviscolare di testate e di edizioni»
A leggere l’ultimo bilancio Rai sembra che i risparmi siano stati ottenuti soprattutto per un maggiore utilizzo delle ferie, mentre ci sono state 400 assunzioni per stabilizzazioni di precari. Le diarie sono rimaste ferme a 34 milioni. C’è un cambiamento in Rai o no?
C’è sempre la possibilità, in ogni azienda, di fare le cose migliori di come sono. Ma mi creda, non c’è favore migliore che si possa fare a chi ha paura di cambiare che mettersi a fare la caccia agli sprechi. Questa caccia è utile per fare i titolini, è materiale da aneddotica. È come i resoconti dal disastro Italia che vengono fatti dopo un incidente ferroviario. Ma se uno vuole inchiodare la dirigenza Rai alle proprie responsabilità lo deve fare sulle strategie. Non solo e non tanto sulla gestione oculata.
E quindi come legge la richiesta di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, di pubblicare anche i compensi delle star, cioè dei conduttori dei programmi?
Come la dimostrazione che in Brunetta è stato completato il passaggio da un economista a un politicante.