Brexit e nazionalismi: l’Europa delle democrazie in crisi

Spagna, Germania, Regno Unito: l'incertezza domina in Europa e la politica è alla ricerca di contrimusre per sopravvivere e salvaguardare la democrazia

Lo stato della democrazia in Europa. Parafrasando Hannah Arendt, si può dire che sono tempi bui, quelli in cui il mondo si fa incerto. Secondo Roger Cohen del New York Times ci troviamo in un’“età della sfiducia”, contraddistinta da un senso di perdita di controllo e di sospetto nei confronti della democrazia. Nonostante la criticità di questo momento storico, sul lungo termine Cohen si proclama ottimista. Secondo Judy Dempsey (Carnegie Europe) i leader europei sono consapevoli del rischio di implosione dell’edificio europeo, e si sta lavorando al superamento di una narrativa basata su pace prosperità e valori, mettendo al centro questioni quali l’immigrazione, il terrorismo e la globalizzazione. Questa nuova narrativa dovrebbe fermare la marea montante dei populismi che caratterizza lo scenario politico europeo attuale. A questo proposito, Richard Young su Politico invita gli analisti a guardare con attenzione a quanto sta succedendo in Spagna. Dal suo punto di vista, l’esperienza spagnola mostra che le proposte populiste si rivelano inefficaci se non riescono a tradursi in un vero progetto politico, in grado di rappresentare una costituency ampia e variegata. In altro senso, Tommaso Segantini su Opendemocracy sottolinea che il declino del “centro estremo” è un fatto innegabile, che si spiega a partire dai catastrofici risultati politici e dai macroscopici errori di prospettiva delle élites degli scorsi decenni. Per opporsi a questa tendenza, Martin Mycielski su EuObserver propone di sostenere i movimenti della società civile e le ONG che operano per difendere gli ideali e i valori europei. In risposta a populismi e nazionalismi, le istituzioni europee dovrebbero attivamente partecipare a iniziative pubbliche, ad esempio attraverso la creazione di un fondo per lo sviluppo della società civile. La situazione attuale è comunque molto complicata, sottolinea l’Economist: l’ultimo meeting di Bratislava si è concentrato sulla crisi dei migranti e sulle questioni di sicurezza, ma non è servito a superare l’ormai abituale clima attendista, e anzi ha mostrato plasticamente la difficoltà di trovare un terreno comune sui dossier più difficili.

Tempi difficili per Angela Merkel. Secondo Joerg Forbrig (Politico) il risultato elettorale di Berlino ha acceso il dibattito sul futuro politico di Angela Merkel. Stante il clima politico altamente surriscaldato, non è chiaro se Merkel verrà riconfermata nelle prossime elezioni. Come è noto, il problema principale di Merkel riguarda la gestione della crisi dei migranti, e su questo punto la discussione è più che mai aperta. Secondo Natalie Nougayrède (the Guardian) sarebbe un bene per l’Europa se la Germania riuscisse a gestire con successo la questione dei rifugiati, anche e soprattutto dal punto di vista della percezione pubblica. Analogamente, Nikos Konstandaras sul New York Times sostiene che l’opposizione di Merkel ai populisti che rifiutano di accogliere i rifugiati è un tentativo di tenere accesa la fiammella di una politica ispirata a principi più alti: è quanto mai necessario che la sua voce e la sua autorità morale continuino ad essere ascoltate in Europa. Il board editoriale del Telegraph, al contrario, sostiene che la posizione di Merkel sui migranti sia stata un madornale passo falso, dal momento che l’Europa non sembra pronta per questa sfida, se si considerano la porosità dei suoi confini, la mancanza di frontiere interne, e l’incapacità di mettere in atto un sistema equo di ripartizione dei costi.

After Brexit. Christopher Howarth su Conservativehome osserva che le trattative in tema di accordi commerciali nel dopo-brexit sono un compito difficile, ma non impossibile. Barry Eichengreen su Social Europe si esprime sull’attuale svalutazione della sterlina, concludendo che alcuni effetti positivi sono visibili, ma sarebbe sbagliato sopravvalutarli. In effetti, situazioni analoghe nel 1931 e nel 1948 hanno portato benefici sostanziali anche grazie a specifici accordi commerciali, a condizioni favorevoli di domanda estera e produzione interna, e minore incertezza politica. Peter Lilley su Conservativehome sostiene che per ridurre l’incertezza è fondamentale che la procedura di uscita del Regno Unito sia quanto più rapida possibile. In prima battuta – e paradossalmente – tutte le regolamentazioni europee andrebbero convertite in diritto inglese. Questo faciliterebbe il processo di uscita e renderebbe meno incerte le prospettive per le imprese. In secondo luogo, ai cittadini europei nel Regno Unito dovrebbe essere concesso di potervi rimanere, mentre quanti volessero stabilirsi in UK in futuro dovrebbero poterlo fare alle stesse condizioni dei cittadini di altri paesi amici. Ciò getterebbe le basi per due possibili esiti, entrambi accettabili e realistici: il mantenimento del libero commercio o l’adozione di un regime di dazi standard ai sensi del WTO. David Babbs (Conservativehome) ritiene sia essenziale costruire un consenso nazionale sulle trattative della Brexit, e che il referendum debba considerarsi il punto di partenza di un processo di consultazione con l’opinione pubblica, e non già la prima e unica occasione per il popolo di esprimersi. A prescindere dai risultati delle trattative tuttavia, secondo Philippe Van Parijs Brexit è da considerarsi un evento drammatico: un gruppo consistente di cittadini ha deciso di allontanarsi non solo dall’Unione Europea, ma da un più vasto processo di civilizzazione, nel quale faticosamente si lavorava per sostituire la trattativa con la discussione, il negoziato con la deliberazione e un processo diplomatico governato dall’interesse nazionale con uno ispirato alla giustizia democratica. Un’altra conseguenza grave, secondo Jan Zahradil, è che Brexit finirà per ridurre il peso delle voci liberali nel dibattito politico europeo.

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Europe doesn’t threaten national identity – EuObserver

How OECD countries can address the migration backlash – EUROPP

Europe’s Greek tragedy deepens out of sight – OpenDemocracy

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