Certo, se Guccini la sua canzone l’avesse chiamata “Chef Express” l’effetto sarebbe stato diverso, anche se una rima l’avrebbe trovata (“tanto l’è l’istess”, da scommetterci). Alla fine abbiamo imparato a conoscerlo con quel nome, autogrill, che come lo scotch, il cellophane e le jeep è un marchio usato come nome comune. È quel posto dove ci fermiamo in autostrada e che i Gem Boy hanno decritto in maniera sublime: i mucchi di salami, i cd pacco, i gratta e vinci, i pupazzi di animali che cantano e le scritte sui bagni. E che scritte. Questo mondo, in realtà, monolitico lo è sempre di meno. L’estate 2016 ce ne ha dato una riprova. Chi viaggiava non poteva accorgersene, ma alla fine di giugno si sono chiusi i bandi per una delle maggiori gare di sempre, per queste che in senso tecnico si chiamano aree di sosta (di servizio se non c’è la pompa di benzina). Delle 463 aree diffuse in Italia tra autostrade, tangenziali e raccordi, ne sono state contese 160. E competizione c’è stata: rilanci mai visti, vincitori e sconfitti. Un vincitore, in particolare: l’emiliana Chef Express, ramo di ristorazione commerciale del gruppo Cremonini di Modena, noto soprattutto per la produzione e distribuzione di carne.
I dati che girano sono provvisori (79 esiti di gara su 160), li ha raccolti il sindacato Filcams-Cgil e Linkiesta li pubblica in anteprima. A fine settembre arriveranno quelli definitivi e quelli relativi all’Autobrennero. Per ora emerge che la società di Modena ha perso una sola delle aree che gestiva, ne ha mantenute quattro. E ne ha strappate 13 ai concorrenti. A colpi di rilanci. Di contro Autogrill ha mantenuto 46 aree, ne ha guadagnate otto nuove e ne ha cedute 13. Senza contare quelle che un decreto ministeriale ha stabilito si avviino a chiusura. MyChef ha chiuso quasi a quota zero sul tabellino: un punto vendita esistente mantenuto e due persi, a fronte di numerosi bandi a cui ha partecipato. Pesa la decisione presa di concentrarsi soprattutto sugli aeroporti. Stesso orientamento e stessa debacle per Lagardère (la ex Ristop del gruppo veneziano Airest) che cede ben quattro aree, ne mantiene una e ne guadagna un’altra. Numeri parziali per gli altri, anche se sembra che la catena Sarni (formata da due società, Maglione e GustoFast) abbia mantenuto la posizione nelle sue aree storiche, nel Centro-Sud.
Delle 463 aree diffuse in Italia tra autostrade, tangenziali e raccordi, ne sono state contese 160. E competizione c’è stata: rilanci mai visti, vincitori e sconfitti. Un vincitore, in particolare: l’emiliana Chef Express
«Era il nostro obiettivo, l’abbiamo raggiunto», fanno sapere da Cremonini. Dopo le gare Chef Express in autostrada non avrà solo il 25% di punti vendita in più, ma anche un fatturato destinato a crescere del 50 per cento. Ci arriverà con un’offerta rinnovata: ha raggiunto un accordo con la Coldiretti per la vendita di prodotti tipici, ha presentato dei format nuovi che eviteranno le consuete gincane per uscire dai locali. E, soprattutto, ha issato le bandiere su aree grandi, che portano ricavi pesanti. Tra questi c’è uno storico locale a ponte di Novara, che originariamente apparteneva alla Pavesi e poi si trasformò in Autogrill. Per chi non lo sapesse, Pavesi fu la prima società in Italia a creare questi locali sulle autostrade. L’idea l’ebbe proprio Mario Pavesi, il creatore dei pavesini: ispirato dai grill room, piccoli ristoranti disseminati sulle interstatali americane, negli anni Quaranta aprì uno spaccio di biscotti con bar sulla Milano-Torino, all’altezza del casello di Novara. Negli anni Cinquanta fu aggiunto un ristorante, con il nome di Autogrill Bar Pavesi. Nel settore si lanciarono altri due marchi storici dei dolci: Motta e Alemagna. Si combatterono a colpi anche di architettura: nel 1959, a Fiorenzuola d’Arda, Pavesi diede il via alla stagione dei ponti, novità mondiale, con la firma dell’architetto Angelo Bianchetti. Nel decennio successivo ne furono realizzati altri 11 da parte anche dei concorrenti. Poi arrivò la crisi petrolifera, i conti andarono in rosso per tutti e l’Iri riunì le tre società decotte nell’Autogrill, che poi fu privatizzata negli anni Novanta e finì alla famiglia Benetton, proprietaria anche di Autostrade per l’Italia.
Autogrill nel frattempo è diventata una società internazionale, che ha acquisito nomi di primo piano nella ristorazione nei luoghi di viaggio, come l’americana HMHost. A lungo, fino al 2013, è stata proprietaria dei duty free britannici e spagnoli del World Duty Free Group. L’Italia è diventata meno centrale e meno redditizia e la parola d’ordine è diventata “selezione”. Nelle gare del 2014 furono lasciate andare ai concorrenti più di 20 aree di sosta autostradali. L’aria era di dismissione. Oggi, invece, il clima è diverso, fanno notare dall’headquarter di Assago. Le aree meno profittevoli sono state lasciate al loro destino. Per quelle grandi si è deciso di rimanere al tavolo al costo di rilanci da duri. Ci sono, anche in questo caso, format nuovi da valorizzare, come quello realizzato con Eataly a Secchia Ovest (Modena).
Autogrill è diventata una società sempre più internazionale. L’Italia è diventata meno centrale e meno redditizia e la parola d’ordine è diventata “selezione”
Ma che è successo per creare una rinnovata voglia di competizione? Per capirlo meglio, conviene fare retromarcia. Il business della ristorazione nelle aree di sosta ha avuto momenti di gloria ma dalla fine degli anni Duemila è diventato sempre più stentato. La tornata di gare del 2014 è stato uno dei punti più bui. Competizioni disertate, scontri tra concessionari e società di ristorazione sulle condizioni contrattuali e un traffico in calo che riduceva la torta per tutti. A soli due anni di distanza molto è cambiato. Il traffico è risalito e questo ha semplificato le cose. Ma, soprattutto, è arrivato un decreto interministeriale, del ministero delle Infrastrutture e Trasporti e di quello dello Sviluppo economico, che ha svelenito il clima. Ha stabilito che, in un Paese con la maggiore densità di aree di soste in Europa, 25 location fossero da chiudere. Erano troppo piccole e rappresentavano ormai solo delle zavorre per i gestori. Altre 14 sono state avviate ad accorpamenti: quando due aree piccole si trovano su lati opposti della strada possono avere una gestione unica. Ulteriori 119 hanno invece visto il futuro passaggio a una gestione integrata: un unico gestore per bar/ristorante e pompe di benzina.
Non c’è però solo questo, nel decreto. C’è anche la previsione di un abbassamento delle basi d’asta delle royalty, cioè la percentuale dello scontrino che le società di ristorazione devono girare alle concessionarie (le più note sono Autostrade per l’Italia e quelle che fanno riferimento alla famiglia Gavio). C’è l’invito alle stesse concessionarie a dare più peso alla parte tecnica che a quella economica. C’è il riconoscimento che la durata della concessione deve essere congrua a far rientrare gli investimenti, tra i 9 e i 12 anni (in passato si era scesi fino anche a 5 anni). Tutto questo, per dirla con le parole di un operatore, «ha rimesso appetito alle aziende». Le quali hanno ottenuto anche una cosa che chiedevano da tempo: che in alcuni punti vendita (71 per la precisione) fosse prevista la “selfizzazione” (il termine, ahinoi, è nel decreto) dei servizi oil e la chiusura notturna, perché la gestione di notte è considerata troppo costosa dove c’è poco traffico. Il decreto (almeno nella sua versione finale) ha accontentato in parte anche i sindacati, perché ha fatto riferimento alla necessità di tutelare i posti di lavoro, in caso di cambi di gestione. A rasserenare il clima (per ora) c’è stata anche una sentenza del Tar del Lazio, che ha ribaltato una multa dell’Antitrust a Chef Express e MyChef, per un presunto cartello. L’autorità per la concorrenza ha fatto ricorso al Consiglio di Stato.
Il decreto interministeriale sulle aree di sosta
Il decreto interministeriale che ha svelenito il clima nel settore non ha portato solo all’abbassamento delle basi d’asta. Ha deciso che 25 aree di sosta saranno chiuse, altre accorpate. E rotto un tabù: 71 punti vendita di notte potranno chiudere
Questo appetito alle aziende è venuto mangiando. Uno degli effetti che più hanno caratterizzato la tornata di gare è l’entità dei rilanci. Sul mensile retail&food, rivista di riferimento per il settore, il responsabile sviluppo e gestione delle aree di servizio di Autostrade per l’Italia, Giorgio Moroni, ha parlato di rilanci nell’ordine del 60-70 per cento. «Si è arrivati ad aggiungere un 50-60% di rilanci rispetto alla base d’asta delle royalty, che partiva bassa, anche al 15%», dice a Linkiesta l’amministratore delegato di MyChef, Sergio Castelli. Si arriva, quindi, attorno al 22 per cento dei ricavi da girare alle concessionarie. In passato si era giunti spesso e volentieri al 30% e passa, fino a follie come il 49% di un’area dell’Autobrennero. Follia perché, a quelle condizioni, il livello dei servizi, anche di quelli igienici, crollava – per paradosso in una delle regioni più attente alla cura degli spazi pubblici, il Trentino-Alto Adige.
Anche in questa tornata i problemi ci sono stati, spiega Castelli. «È stata pessima – dice -. Noi non abbiamo vinto praticamente niente perché ci siamo posti dei limiti su offerta e royalty, oltre i quali è impossibile avere un guadagno minimo». I margini potenziali, aggiunge, non sono stati erosi tanto dalle royalty ma da un insieme di fattori. «Il conto economico è condizionato da tre elementi: le royalty, l’entità degli investimenti e la durata delle concessioni. Se nell’offerta tecnica un competitor offre di demolire e ricostruire un’area per una concessione di sei anni, il conto economico si sballa». Anche perché i prezzi non si possono, almeno in teoria, gonfiare. «Autostrade per l’Italia ha creato un paniere di beni. Chi indicava il prezzo più basso, per esempio per il caffè, otteneva punti». «Magari – conclude Castelli – chi ha vinto finirà per rinegoziare i contratti per far quadrare i conti».
La tornata di gare? «È stata pessima. Noi non abbiamo vinto praticamente niente perché ci siamo posti dei limiti su offerta e royalty, oltre i quali è impossibile avere un guadagno minimo»
Questa è anche la preoccupazione dei sindacati, come la Filcams-Cgil, dove la guardia sarà tenuta alta soprattutto verso chi ha rilanciato molto (Chef Express in primis), e verso i new comers. «È preoccupante, dal nostro punto di vista, la presenza di nuovi operatori locali, come Sirio ed Hermes», dice Christian Sesena, segretario nazionale della Filcams-Cgil. Nella prospettiva che molti cambi di gestione avrebbero potuto provocare tagli, i sindacati hanno chiesto e ottenuto delle garanzie, attraverso un accordo siglato all’inizio di agosto con l’associazione di categoria Fipe-Confcommercio. «Abbiamo trovato la strada», commenta la funzionaria nazionale della Fisascat-Cisl Elena Maria Vanelli. La “strada” è stata evitare che l’articolo 18 fosse cancellato in caso di cambio di mano. Quando c’è un subentro, prevede l’accordo, avviene una cessione di azienda o di ramo d’azienda. Questo evita che ci sia una rescissione del contratto e la stipulazione di uno nuovo. Chi è assunto non si ritrova con il nuovo contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, e vede la sua posizione più tutelata. Almeno, sulla carta.