Nazionalismi e “hard” Brexit: quando la volontà popolare è una grana da risolvere

C'è chi considera un tradimento al voto popolare ogni tentativo di salvaguardare l'accesso al mercato unico da parte del Regno Unito. Mentre si cerca una soluzione. la sterlina crolla ai minimi dal 2010

Sul Guardian, Joris Luyendijk si chiede se sia realistico attendersi un atteggiamento indulgente dell’UE nei confronti del Regno Unito: l’Unione difenderà i propri interessi di potenza globale, e l’asimmetria di potere tra i due attori in campo non potrà non avere effetti sugli esiti del negoziato.

Dalle parti dell’Economist invece ci si domanda se una spinta verso un soft agreement non possa venire dalla Germania – il più influente tra gli Stati membri: il Regno Unito è il terzo maggiore mercato per le esportazioni tedesche nel settore automotive, e il surplus commerciale tra Germania e UK è secondo solo a quello con gli Stati Uniti. In ogni caso, dichiarazioni dagli ambienti dell’industria tedesca non escludono che alla fine “la politica prevalga sugli interessi economici”.

Polly Toynbee dalle pagine del Guardian critica i sostenitori di una hard Brexit, secondo i quali ogni tentativo di salvaguardare l’accesso al mercato unico sarebbe un tradimento della volontà popolare espressa nel referendum. Zoe Williams invece sottolinea che mentre il dibattito pubblico si concentra sullo scivolamento a sinistra del partito Laburista, sta passando completamente sotto silenzio il fatto che il partito Conservatore sia in mano a nazionalisti estremisti.

Sempre sul Guardian, Andrew Rawnsley discute i pro e i contro della svalutazione della sterlina per l’economia britannica. Rawnsley invita a diffidare degli effetti positivi della svalutazione, ricordando che se si importa inflazione attraverso i beni intermedi si può finire per danneggiare il proprio stesso export. Ci sono inoltre anche effetti distributivi, visto che l’inflazione tende a colpire con più forza chi ha redditi bassi. Da ultimo, a beneficiare degli effetti di una sterlina debole saranno principalmente gli investitori stranieri, che potrebbero approfittare di un mercato immobiliare più accessibile.

La crescita degli estremismi di destra e il declino della democrazia. Owen Jones fa un appello alle istituzioni europee perché si oppongano agli estremismi di destra – al governo e non – in Europa, e richiama l’attenzione sul caso dell’Ungheria. La scorsa settimana un giornale ungherese di opposizione è stato chiuso, e secondo il giornalista “il futuro del paese assomiglia in modo sempre più preoccupante all’Europa del passato”. Secondo il presidente Orban infatti le liberaldemocrazie non sono in grado di mantenersi competitive sugli scenari globali. Jones passa in rassegna gli strumenti per contrastare le tendenze illiberali e xenofobe che attraversano gli stati membri: l’Art. 7 del Trattato di Lisbona permetterebbe all’UE di attivare sanzioni contro le violazioni alle norme del Trattato stesso da parte di stati membri: le sanzioni possono arrivare anche alla sospensione dei diritti di voto. Tuttavia secondo Jones il contrasto più efficace a queste tendenze passa attraverso lo sviluppo di forze di sinistra credibili e alternative all’establishment, in grado di rispondere alle minacce e alle sfide del mondo post-crisi economica.

Su note simili Alena Kremapska, dalle pagine del New York Times, parla dei preoccupanti sviluppi politici in Slovacchia: l’autrice – che lavora in un’organizzazione per la protezione dei diritti umani a Bratislava – racconta di essere stata aggredita da estremisti di destra dopo essere stata pubblicamente additata da Igor Matovic, leader del partito conservatore OĽaNO (Gente Comune). Secondo Kremapska, in Slovacchia si sta assistendo a una forte crescita di movimenti e partiti di destra antisistema che fanno leva sulla delusione dei cittadini nei confronti del partito socialdemocratico, e in generale sull’incapacità dei partiti tradizionali in epoca post-comunista di assicurare condizioni di benessere economico alla popolazione.

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