Partiamo da questo dato, fornito da Quorum a Sky Tg 24: gli under 35 che hanno votato “No” al referendum di domenica è l’81 per cento. Esatto. Avete letto bene. È questo il dato più spaventoso. Anche andando oltre la pesantissima sconfitta nostra e di Matteo Renzi in un voto popolare che, sbagliando, aveva impostato su se stesso. Il presidente del Consiglio più giovane della storia d’Italia e il mio partito non hanno saputo dare seguito alle enormi aspettative che avevano generato.
La realtà italiana, oggi, ci dice tutt’altro. Ci dice del 39% di disoccupazione giovanile. Ci dice di tantissime ragazze e tantissimi ragazzi pagati in nero o con i voucher. Ci dice di misure di inclusione nel mercato del lavoro inadeguate (e il Jobs Act, in alcune sua parti, è andato nella direzione opposta). Ci dice che il 31% dei nostri giovani non sta studiando, non sta lavorando, non si sta formando (i cosiddetti neet). Stanno aspettando, semplicemente. Un’occasione che forse non arriverà. Un’opportunità che non siamo stato in grado di dargli: fosse anche l’idea di poter costruire qualcosa di loro, senza ostruzionismi e senza la paura di fallire. Ci dice, questa realtà, di ragazzi che preferiscono andare a Londra, a Berlino, a Parigi ma non per fare i ricercatori universitari, ma i camerieri. Preferiscono farlo lì e non qui. Quello che mi spaventa non è la fuga dei cervelli e dei talenti, ma il fatto che nessuno sia intenzionato a venire o tornare in Italia. Io punto ai cervelli in movimento, a un Paese che lascia andare ma crea le condizioni per attrarre e far tornare. Per questo la nostra prospettiva deve essere una grande opera che non ha niente a che fare con i ponti e i tunnel, ma la più grande e autentica opera pubblica mai vista in questo paese: la politica giovanile.
«Io ripartirei da qui. Da una politica che prende atto della sua inadeguatezza, si fa da parte e cerca di capire come coinvolgere chi non solo rimane indietro, ma ad oggi non vuole nemmeno far parte del gioco»
Parliamo tanto di Paese reale. Ecco, provate a entrare in qualsiasi bar di qualsiasi quartiere di qualsiasi città o paese. Ditemi se i clienti si lamentano del governo che non fa niente per salvare le banche o del governo che non fa niente per i propri figli. Ditemi se il nostro dibattito pubblico deve essere invaso dalle misure necessarie per salvare istituti di credito vittime della loro stessa avidità. Ma cosa diavolo hanno fatto questi istituti per aiutare l’imprenditoria giovanile (e non)? Cosa diavolo hanno fatto per agevolare l’accesso al credito? Cosa diavolo hanno fatto per un giovane con un’idea e che voleva solo un sistema dalla sua parte? Cos’hanno fatto, insomma, per noi e per l’economia di questo Paese? Facciamo spesso il paragone con gli Stati Uniti, dove quando fallisci una volta hai una seconda opportunità, ma in Italia non riesci nemmeno ad avere la prima opportunità. Di cosa stiamo parlando?
Io ripartirei da qui. Da una politica che prende atto della sua inadeguatezza, si fa da parte e cerca di capire come coinvolgere chi non solo rimane indietro, ma ad oggi non vuole nemmeno far parte del gioco perché non ne riconosce le regole. Stiamo trasformando il più grande partito progressista italiano in un partito per anziani e tutelati, votato da anziani e tutelati. Noi dobbiamo occuparcene, certo. Il Pd deve restare un partito di massa. Ma la sua prospettiva non può essere questa: deve essere avvicinarsi a quell’81% che oggi non vuole parlare con lui. Interroghiamo i nostri giovani. Cosa vogliono, che futuro sognano, quale Paese e come costruirlo assieme. Smettiamola di applicare ricette facili, spot elettorali, misure che sulla lunga risultano inadeguate e pensiamo a proporci con un grande punto fermo, nel nostro programma. Questa grandissima opera pubblica che potrebbe davvero cambiare il volto del Paese dei prossimi vent’anni. Basta tornare a occuparsi di cose concrete e in modo concreto. I campanelli d’allarme sono suonati troppe volte. Adesso basta.
(*) Eurodeputato Pd