Quanto è pericoloso il populismo?
Di fronte alla minaccia populista, le élite europee sembrano mostrare le proprie pulsioni suicide, osserva Paul Mason dalle pagine del Guardian. In seguito all’esito delle primarie in Francia, in un eventuale ballottaggio alle prossime presidenziali potremmo trovarci a scegliere tra François Fillon (il “Thatcher francese”) e Marine Le Pen (la “Mussolini francese”). Il romanzo Morte a Venezia di Thomas Mann è una buona metafora della situazione: le autorità della città negano l’esistenza di un’epidemia – il populismo – e così facendo ne favoriscono la diffusione. Così come la hall multiculturale dell’albergo del romanzo, l’edificio europeo è una costruzione fragile nella quale è sufficiente che un solo elemento ceda, perché crollino tutti gli altri. Judy Dempsey (Carnegie Europe) offre una visione meno cupa: citando un rapporto della Germany’s Bertelsmann Foundation osserva che il gradimento dell’UE dopo la Brexit è in realtà salito al 62% (agosto 2016), dal 57% di marzo. Lo studio mostra anche che il ritorno ad un’Europa fatta di stati-nazione non è un’opzione praticabile se si vuole far fronte alle ramificazioni economiche, sociali e politiche della globalizzazione. L’UE resta popolare per il progetto Erasmus, per l’apertura dei confini e per i liberi flussi di scambi commerciali e capitale.
Secondo l’Economist, dopo la Brexit e l’elezione di Trump gli europei guardano con preoccupazione ai prossimi appuntamenti elettorali – dall’Austria ai Paesi Bassi alla Francia – nel timore di assistere a un consolidamento dei populismi. In ogni caso, anche senza vincere le elezioni le forze populiste stanno ridefinendo l’agenda politica dell’UE: basti pensare alle politiche commerciali, sulle quali il dibattito gli argomenti populisti anti-globalizzazione hanno riacceso i riflettori. Anche sull’immigrazione e la gestione dei rifugiati, la pressione populista ha ridotto il dibattito pubblico a una discussione su come tenere i migranti fuori dai confini. Più in generale, si osserva una tendenza a evitare le decisioni difficili, in particolare per quanto riguarda le riforme fiscali e strutturali. Se le spinte populiste non pongono sempre rischi concreti, inseguendone le proposte si corre il rischio di offrire legittimazione a chi le propugna agli occhi degli elettori. Grahame Thompson sul Telegraph afferma che l’aspetto chiave del populismo come programma politico non sta tanto nelle affermazioni dei populisti, ma piuttosto in come stanno riconfigurando le istituzioni della vita sociale e politica. Vogliono riformare la famiglia, le istituzioni religiose, i media, i partiti politici, e infine – ciò che è più pericoloso – lo stato di diritto.
Un futuro neoliberale?
Ci sono stati dei progressi sul versante delle politiche sociali grazie all’Autumn Package della Commissione, come spiegano Fintan Farrell e Sian Jones su Euractiv: siamo ancora lontani da un cambiamento di paradigma, dato che l’Europa si trova ad affrontare sfide epocali nel pieno di un vuoto di credibilità presso i cittadini. Per ritrovare legittimità il progetto l’UE deve cambiare passo: l’European Anti-Poverty Network sta svolgendo un monitoraggio perché – in particolare nelle procedure del Semestre Europeo – ai nuovi “diritti e standard sociali” venga data uguale importanza rispetto alle questioni economiche. Zsolt Darvas osserva che il coefficiente di disuguaglianza del reddito disponibile (indice di Gini) misurato a livello UE è più basso che in altri paesi del mondo, e che in realtà è diminuito tra il 1994 e il 2008. Tuttavia, le disuguaglianze possono rivelarsi problematiche a livello locale, e in vari paesi – così come a livello dell’UE – dovrebbero essere intensificati gli sforzi per farvi fronte.
Come sostiene Philippe van Parijs, la descrizione più lucida della situazione dell’Unione Europea di oggi si trova nel libro di Hayek “Le condizioni economiche del federalismo tra stati”, ristampato nel suo “Individualismo e ordine economico”. Nel 1939, Hayek apprezzava il mercato comune in quanto avrebbe limitato le prerogative degli stati nell’imporre regole: dovendo mediare tra paesi con sistemi economici diversi, sprovvisti di un’identità condivisa e quindi meno propensi a politiche di solidarietà, le istituzioni federali avrebbero avuto per forza di cose un potere limitato. Oggi, se si esclude la possibilità di passi indietro rispetto al processo di integrazione – ad esempio attraverso il ripristino dei confini nazionali – c’è una sola opzione praticabile: piuttosto che lasciare i sistemi politici nazionali alle prese con i vincoli imposti dal mercato unico, occorre costruire un vero sistema politico europeo che comprenda il mercato unico stesso. Se questo ad oggi appare uno scenario utopico, occorre porne le basi analitiche e politiche per renderlo possibile in futuro.
Leggi anche:
Brexit: What Next? Maybe No Exit At All… – Social Europe
Trump Spells End of Normality for Europe – Spiegel Online
Why I will vote against triggering article 50 – The Guardian
Sooner or later, May and Hammond will have to put Britain before Brexit– The Guardian