Una nuova speranza per la Francia?
Il momento di largo consenso di cui gode Emmanuel Macron è sorprendente se si pensa che si tratta di un candidato giovane e privo del sostegno dei partiti tradizionali. Secondo Susan Milner tuttavia si tratta di un segno dei nostri tempi, in cui sono in molti a credere che i politici siano tutti corrotti. I punti deboli di Macron stanno nelle lacune programmatiche di fondo – che però sono rimediabili con il tempo – e in una visione politica ambiziosa ma rivolta soprattutto alle fasce sociali più abbienti. Se riuscirà o meno a tenere il passo dipenderà da quanto riuscirà a mantenere il controllo del centro dello spettro elettorale, assediato sia dal centro-destra che dal centro-sinistra.
Secondo Beatriz Becerra Basterrechea, Macron è una sorta di anti-Trump e la sua vittoria alle presidenziali significherebbe la vittoria dei valori illuministici sulla minaccia populista. Gli esperti in comunicazione sostengono che un candidato alle elezioni non dovrebbe mai parlare di Europa. Contravvenendo a questa regola e al contrario di altri leader che hanno già iniziato a strizzare l’occhio al populismo, Macron parla sempre di Europa, senza dimenticarsi di inserire la Francia e i suoi problemi all’interno di una dimensione globale. Catherine Fieschi è convinta che Marine Le Pen non sarà eletta presidente. Per quanto la Le Pen abbia beneficiato dei guai di Fillon, gli elettorati dei due candidati risultano profondamente diversi, quindi ogni vantaggio per lei risulterebbe marginale. Inoltre, la candidatura di Macron priva il Fronte Nazionale del “monopolio del rinnovamento”. Non bisogna sottovalutare la capacità di mobilitazione del FN, ma – secondo l’autrice – si può comunque ancora sperare in un rinnovamento di natura diversa.
Macron è una sorta di anti-Trump: se vincesse le presidenziali ci sarebbe la vittoria dei valori illuministici sulla minaccia populista. Tutto dipende da quanto riuscirà a controllare lo spettro elettorale, già assediato dal centro-destra e dal centro-sinistra
Navarro vs Germania
Su Bruegel Silvia Merler esamina la risposta data da eminenti economisti a Peter Navarro, capo del Consiglio Nazionale del Commercio degli Stati Uniti, che recentemente ha accusato la Germania di manipolazione dei tassi di cambio. Paul Krugman sostiene che Navarro abbia ragione solo in parte, perché se è vero che Berlino trae vantaggio da un euro svalutato, non vi è alcuna evidenza che ciò sia diretta conseguenza dell’influenza tedesca. Di altro avviso Jeromin Zettelmeyer, secondo cui l’affermazione di Navarro è priva di fondamento. La creazione della moneta unica non può ricondursi a una decisione da parte del governo tedesco di imporre il proprio tasso di cambio, e la competitività della Germania non nasce e non muore con la moneta unica. Anche Frances Coppola interviene sulla questione, sostenendo che l’euro sia sottovalutato per la Germania, ma che sia sopravvalutato per altri paesi dell’Eurozona. Se la moneta unica dovesse crollare, il vecchio marco tedesco si apprezzerebbe e le altre si svaluterebbero: nel complesso, gli Stati Uniti avrebbero poco da guadagnarci. Navarro sta di fatto chiedendo a sua volta un intervento manipolativo sui tassi di cambio, dato che preferirebbe che l’euro fosse mantenuto artificialmente al di sopra del suo tasso di cambio di mercato. Stando ai dati sull’offerta di moneta, secondo Laurence Kotlikoff non vi è alcun motivo di credere che la BCE abbia manipolato i tassi di cambio. E ancora, gli Stati Uniti sono i maggiori fautori di questa operazione, dato che la Fed ha passato gli ultimi dieci anni a svalutare per rendere meno costosi beni e servizi statunitensi.
La Germania è accusata di manipolazione dei tassi di scambio, ma non c’è evidenza che Berlino possa trarre vantaggo da un euro svalutato. Nel complesso, gli Stati Uniti avrebbero poco da guadagnarci
L’Europa sociale ed economica
È ammirevole che l’Europa ambisca a ottenere una “tripla A” in materia di politiche sociali. Tuttavia secondo Arnaldo Abruzzini le buone intenzioni resteranno sulla carta se non saranno accompagnate da una “tripla A imprenditoriale”. La competitività costituisce da sempre un principio fondante del progetto europeo, ma è arrivato il momento di farla ripartire. È necessario sostenere gli sforzi compiuti dalle piccole e medie imprese che cercano di farsi strada oltre i confini europei, dove – secondo la Commissione – nel prossimo decennio si concentrerà il 90% della crescita globale.
Secondo Marco Torregrossa il “Pillar of Social Rights” – che punta fortemente sul sostegno ai contratti a tempo indeterminato – si sta muovendo nella direzione sbagliata. Secondo l’Ocse e la World Employment Confederation Europe, una Employment Protection Legislation (EPL) più rigida protrae i periodi di disoccupazione e riduce l’imprenditorialità. Se da un lato l’EPL tutela i lavoratori riducendo il rischio di licenziamento, dall’altro aumenta però il costo associato alla perdita del posto di lavoro, rendendo più difficile il rientro nel mercato del lavoro dopo un periodo di disoccupazione. Una buona tutela diritti sociali non sempre va di pari passo con i contratti a tempo indeterminato. I lavoratori dipendenti sono sempre più divisi tra burn-out e bore-out: stress da superlavoro o da mancanza di lavoro. Serve piuttosto una politica che sostenga il passaggio verso la dimensione individuale dei contratti di lavoro, così da incrementare i tassi di partecipazione e di ingresso nel mercato.
L’Europa ambisce ad ottenere una “tripla A” in materia di poltiche sociali. Quello che serve è però il passaggio a una dmensione individuale dei contratti di lavoro, al fine di incrementare i tassi di partecipazione e di ingresso nel mercato
Leggi anche:
– Italy’s migration crisis is a clear threat to European unity – EUROPP
– What Hope For Civilisation If Apple Pays No Tax? – Social Europe
– Europe center-left risks Irrelevance – Social Europe
Traduzione dall’inglese a cura di Elisa Carrettoni