Tshabalala-la, Tshabalala-la-la-la

In ricordo del Mondiale sudafricano, il primo giocato nel Continente Nero. E di un gol bellissimo, il più bello di tutti

Johannesburg, Sowetho, Southwest Township, Soccer city, città del calcio in una città di pistole, muri di cemento e spazzatura, aria che rinfresca troppo lontano dal verde tiepido dell’Oceano Indiano e lontanissimo dal blu ghiacciato dell’Oceano Atlantico. 11 giugno del 2010, l’inverno è alle porte, la gente si accalca, impazzisce col suo modo rituale, prolungato e sempre uguale di impazzire. 83.548 teste, ottantatremilacinquecentoquarantotto vuvuzele. Pomeriggio di erba ben curata, stadio nuovo, proiettili e aria tiepida, filo spinato e terra rossa.

Lawrence Siphiwe Tshabalala, al cinquantacinquesimo minuto del primo tempo, è il primo a segnare. Prima di lui 55 minuti di noia, sulla sua testa 55 chili di capelli annodati che pesano sul cranio e sul collo e schiacciano la testa dentro le spalle larghe. Cinquantacinque minuti di vuvuzele, di impazzimenti previsti e niente di troppo preoccupante, in un crocicchio di nomi che sembrano significare una cosa e ne significano un’altra. Sowetho, magico regno di prima dei bianchi con la pelle che si brucia in pochi minuti e i giardini che non c’entrano niente con niente, è solo la sigla burocratica di una baraccopoli sudoccidentale. La squadra dei Kaizer Chiefs, imperiosa chimera nata dallo sfogo libidinoso di un imperatore e di un capo indiano, un toro tedesco seduto sulla terra bollente dell’Africa, è solo il delirio egomaniaco di tale Kaizer Motaung, viandante del calcio senza scrupoli e senza scarpe e senza amanti tra la città della Coca-Cola e quella delle miniere d’oro. Dopo 55 minuti segna Tshabalala, all’incrocio tra cose che non sono quello che sembrano.

Perché alla fine, dopo aver corso in modo scomposto prendendo schiaffi dall’aria del pomeriggio, quando arrivi davanti alla porta forse sarebbe meglio, molto meglio, aprire gli occhi e toccarla piano, nell’angolo o verso l’angolo approssimativo o sotto le gambe del portiere e comunque bassa, per togliere il tempo e togliersi il pensiero. Sarebbe molto meglio, certo, ma allora perché non chiudere gli occhi e tirare una bomba senza giudizio nell’angolo alto, cercando di scheggiare l’incrocio e farla schizzare fuori dallo stadio?

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