Parlare di fumo è quasi un tabù: le pubblicità sono vietate, i servizi in televizione parlano di sigarette, con ragione, soprattutto per dire che fanno male. Ma in questo modo ci perdiamo il racconto su come stanno cambiando le abitudini di un italiano (adulto) su cinque. Sintesi: stanno cambiando parecchio. Tornano vecchi fantasmi, come il contrabbando. Si impongono prodotti low cost, ma anche quelli più tecnologici che evocano lo stile degli iPhone e che hanno macinato una crescita del 180 per cento. Risorgono categorie date per morte come le sigarette elettroniche. Comunque gli italiani fumano meno e il nostro è un Paese di ex fumatori. Mentre lo stesso non si può dire dei nostri nuovi residenti, soprattutto se provenienti dall’Europa dell’Est e dal Medio Oriente e Africa. È la loro minore sensibilità verso i rischi del fumo che i nostri tabaccai devono ringraziare. “Thank you for smoking”.
Cominciamo dai dati, che a Linkiesta dà in anteprima Euromonitor International, società di consulenza e ricerca sul mondo dei consumi che tra qualche settimana pubblicherà il rapporto sul tabacco in Italia nel 2016. Lo scorso anno si è chiuso con una discesa in volume (numero dei prodotti, non il prezzo) del 2,3%, che segue quella del 2,7% dell’anno precedente. Il calo va avanti da molto prima. Dal 2010 al 2015 il numero di fumatori è sceso di un decimo, se si guardano alle previsioni fino al 2020 ci sarà una discesa del fatturato di un 10 per cento abbondante. Se è vero che 9,5 milioni di italiani hanno ancora il vizio del fumo è anche vero che ben 6,7 milioni sono ex fumatori. Comprano sigarette più i maschi, più al Sud, più tra i 25 e 44 anni.
Perché il business cala? Per la crisi economica unita all’aumento dei prezzi; perché fumare – dopo i divieti nei luoghi pubblici – è diventato un fatto meno sociale e socialmente accettato; perché il divieto del 2016 alla vendita dei pacchetti da dieci sigarette ha alzato la soglia psicologica per l’acquisto. Poi contano naturalmente le ragioni legate alla salute. Anni di scritte e ora foto sui pacchetti ci hanno fatto capire quali e quante siano le malattie gravissime legate al fumo. Però, ci dice lo studio di Euromonitor, la popolarità del fumo sta scendendo anche per altre ragioni: perché la pubblicità è vietata e per alcune specifiche notizie di tipo medico. Gli uomini sono rimasti impressionati dagli effetti negativi del fumo sul numero di spermatozoi e sul contributo della nicotina all’insorgenza dell’impotenza. Le donne da quelli negativi sulla pelle e sui denti. Sul piano della comunicazione l’Italia, spiega la società di consulenza, è un campo di battaglia. Essendo il maggiore produttore europeo di tabacco, l’Italia vede «una forte lobby pro-tabacco» e il governo affronta «un conflitto di interesse intrinseco» tra la difesa della salute pubblica e le «pressioni per supportare il business domestico». Come reazione a questo conflitto di interesse, «ci sono molte Ong ben finanziate» (banalmente dal 5 per mille, ndr) che chiedono leggi più restrittive e campagne di educazione per la prevenzione. Viene citata come esempio la Fondazione Veronesi.
La popolarità del fumo sta scendendo per i prezzi alti, per l’assenza di pubblicità e per le preoccupazioi per la salute. Ma non c’entrano solo i rischi di cancro e infarto. Gli uomini sono rimasti impressionati dagli effetti negativi del fumo sul numero di spermatozoi e sul contributo della nicotina all’insorgenza dell’impotenza. Le donne da quelli negativi sulla pelle e sui denti
Se nel 2016 la decrescita è rallentata, spiegano da Euromonitor, è per due motivi: le condizioni meteorologiche favorevoli e il flusso migratorio. «È molto probabile che in Italia si avrebbe avuto un declino molto più considerevole nel numero di fumatori senza l’immigrazione dall’Europa Orientale» si legge in un’analisi dello scorso agosto. «I tassi di fumo nei Paesi dell’Europa dell’Est come la Romania, la Polonia e l’Albania sono significamente più alti di quelli in Italia». Senza tanti giri di parole politcamente corretti, lo studio continua: «Molti immigrati dall’Est Europa che vivino in Italia preferiscono prodotti di tabacco meno costosi che sono stati contrabbandati in Italia dall’Est Europa. Perciò l’effetto degli immigrati dell’Europa Orientale sulla vendita di sigarette è stato limitato».
Al di là dell’immigrazione, è un fatto che il contrabbando stia aumentando (il picco del fenomeno si ha in Campania e in particolare a Napoli). Il fenomeno delle vendite illegali pesa per il 6% dei volumi. «È alto e in crescita», sottolinea Damiano Aureli, lead analist di Euromonitor International. Nel 2016 l’incremento è stato del 3%, dopo una discesa del 2% l’anno precedente. Il contrabbando è invece in contrazione in Francia, Germania e Grecia, aumenta solo in Spagna dopo però un brusco calo l’anno nel 2015.
Il motivo del ricorso al contrabbando è piuttosto semplice: fumare costa sempre di più. Gli italiani hanno però cercato delle alternative legali. La più nota è quella del tabacco trinciato, quello che nel gergo delle statistiche si chiama RYO (Roll-your-own): nel 2010 le vendite valevano 275 milioni di euro, cinque anni dopo sfioravano il miliardo, circa un ventesimo del fatturato totale di tutti i prodotti di tabacco (19,97 miliardi di euro). Anche nel 2016 la crescita è continuata di un altro 5 per cento.
«È molto probabile che in Italia si avrebbe avuto un declino molto più considerevole nel numero di fumatori senza l’immigrazione dall’Europa Orientale»
Ma il trinciato è solo uno dei trend in crescita. L’altro è quello dei cigarillos, o sigaretti. Ce ne sono di diversi tipi (più simili ai sigari o più alle sigarette) e diversi prezzi e c’è anche parecchio confusione sulle loro caratteristiche. Quelli più economici costano poco meno di due euro, perché sono gli unici prodotti a poter essere venduti in pacchetti da dieci. Da qui deriva un piccolo balzo, nel 2016 pari al 6 per cento. Sono anche nella versione aromatizzata. Le sigarette al mentolo sono però in declino: pesano per meno dell’1 per cento e comunque dal 2020 la loro vendita sarà illegale, come conseguenza di una direttiva europea, la 2014/40/UE. Altri formati si sono diffusi perché, in assenza di altre leve nel marketing mix (comunicazione, prezzo, distribuzione), non rimane che agire sul prodotto e in particolare sul formato, sperando nel passaparola. Da qui la diffusione di novità come filtri bucati, filtri con palline aromatiche e filtri con disegni particolari. Le slim e mini-slim, assieme, pesano per il 7 per cento del totale.
Lo studio di Euromonitor segnala però un ultimo trend da non sottovalutare: il ritorno prepotente delle sigarette elettroniche. In Italia si era creata in pochi mesi una corsa all’apertura di punti vendita specializzati a ogni angolo di strada, subito spenta dall’aumento della tassazione su questi prodotti. Così il picco del 2013 (730mila “vaper”, pari al 7% del totale, per 566 milioni di euro di fatturato) era stato seguito da un tracollo nel 2014, con una perdita secca di oltre 100mila fumatori e di 110 milioni di euro di giro d’affari. E poi? Nel silenzio dei media, la corsa è ricominciata. Nel 2015 si era già tornati in volume ai livelli del 2013 e in valore a 499 milioni, segno che nel frattempo i prezzi medi si erano abbassati. Nel 2016 l’impennata: +22 per cento in valore. «Sono economiche e molti le usano per smettere di fumare, anche se molti fumano sia sigarette normali che quelle elettroniche», dice Aureli. In realtà anche in questo caso ci sono storie molto diverse. Le sigarette elettroniche sono di tre tipi: i sistemi chiusi, i sistemi aperti e le nuove sigarette “heat non burn”. I sistemi chiusi vanno male, hanno annoiato gli italiani soprattutto gli strumenti “cigalike”, cioè quelle sottili a forma di sigaretta. Mentre hanno successo quelle che si discostano completamente da quel formato e hanno, ad esempio, forma di ovetto.
Il successo dei sigaretti? Uno su tutti: i pacchetti da 10, al costo di 1,90 euro, mentre per le sigarette normali si parte da 4,50 euro
La nuova categoria in ascesa è però quella delle sigarette elettroniche “heat-not-burn”, ossia quelle che utilizzano del vero tabacco che viene riscaldato ma non portato al punto di combustione. Le vendite stanno andando forte: nel 2016 c’è stato un boom: +180% considerando le sole ricariche e +80% considerando anche l’hardware. «Il peso è ancora molto limitato e l’anno prima questi prodotti si vendevano solo a Milano e, fuori dall’Italia, a Tokyo. Ma la Philip Morris si aspetta che questi prodotti raggiungano il 2-3% di quota di mercato del tabacco in cinque anni. Anche le nostre previsioni sono di crescita per tutti gli anni», dice Aureli. Secondo il consulente è proprio l’hardware, in particolare quello dell’Iqos di Philip Morris, ad avere avuto successo. «Hanno scelto di puntare su uno stile che ricorda quello della Apple. Anche il packaging e l’unboxing ricordano quelli di un iPhone». Sugli effetti sulla salute di questi prodotti si sa ancora poco. Uno dei due principali produttori di questo prodotto, la Philip Morris (con il suo sistema Iqos) – l’altra è la RJ Reynolds, con il sistema Revo – ha appena annunciato che la Food and Drug Administration negli Usa ha iniziato il processo di review scientifica sul proprio sistema heat-not-burn. I primi risultati si potrebbero avere tra un anno ma probabilmente ne serviranno di più.
La nuova categoria in ascesa è però quella delle sigarette elettroniche “heat-not-burn”, ossia quelle che utilizzano del vero tabacco che viene riscaldato ma non portato al punto di combustione. Le vendite stanno andando forte: nel 2016 c’è stato un boom: +180% considerando solo le ricariche