Trump cattivo? Non proprio: in Europa solo tre paesi rispettano gli accordi sull’inquinamento

Tutti i leader europei criticano fortemente la scelta di Trump di recedere dagli accordi di Parigi, ma solo Svezia, Germania e Francia sono sulla giusta via per rispettare i target imposti dal trattato

Dopo l’annuncio del presidente degli USA di recedere dagli Accordi di Parigi, si è consumata la rottura tra principali paesi europei e il presidente-tycoon. In prima linea ad abbandonare l’alleato a stelle e strisce c’erano Germania, Francia ed Italia. La scelta del Tycoon è stata fortemente condannata da tutta l’opinione pubblica, poiché gli accordi di Parigi sono la via per raggiungere l’obbiettivo di una crescita sostenibile.
In teoria va tutto bene: l’Europa si distacca dal leader populista, rafforzando la sua posizione ambientalista. Nella pratica, invece? Nella pratica i leader europei mettono in mostra una grande dose di ipocrisia.
Come rivela uno studio realizzato nello scorso marzo ad opera delle organizzazioni non governative Transport&Environment e Carbon market watch, solo tre paesi europei sono sulla giusta strada per raggiungere i target fissati dagli Accordi di Parigi. Un risultato ampiamente insoddisfacente, che premia come nazioni virtuose solo Svezia, Germania e Francia mentre condanna al gruppo di coda l’Italia.

Solo tre paesi europei sono sulla giusta strada per raggiungere i target fissati dagli Accordi di Parigi. Un risultato ampiamente insoddisfacente, che premia come nazioni virtuose solo Svezia, Germania e Francia mentre condanna al gruppo di coda l’Italia

Fa riflettere che la Germania e la Francia, nonostante detengano gran parte delle quote di emissioni inquinanti europee (rispettivamente il 22,9% ed il 9,8% nel 2016) siano due delle tre nazioni che rispettino i target imposti dai trattati. Il motivo è semplice: la classifica stilata dalle due organizzazioni non governative non si basa sulla quota di emissioni nocive, bensì sull’impegno di cui i singoli paesi si faranno carico per ridurre il riscaldamento globale, in seno ai prossimi accordi ambientali che l’UE dovrà stilare. A riguardo, lo studio identifica cinque criteri di valutazione, con un punteggio massimo di 100 punti:

  • L’anno di partenza: calcolare la riduzione delle emissioni considerando come anno di riferimento uno dei prossimi anni (in cui verosimilmente le emissioni saranno minori rispetto a quelle proposte come base dall’UE, ovvero la media tra il 2016-18) è meno oneroso rispetto al parametro UE. In questa sezione gli stati possono ottenere da 0 (se propongono di utilizzare come anno base uno precedente rispetto a quello europeo) a 35 punti
  • L’azione di assorbimento delle emissioni delle foreste: da 0 punti (per chi vuole considerare il patrimonio già esistente) a 20 per chi vuole eliminare totalmente questo parametro di valutazione
  • I permessi di inquinamento negoziabili (ETS): le imprese virtuose che emettono meno CO2 di quella prevista nei limiti, possono vendere queste quote di inquinamento alle imprese con tecnologie più sporche. Alcuni paesi vogliono ridurre le quote di permessi, altri vogliono aumentarli, mentre l’Europa intende mantenere costante la misura. Da 0 a 8 punti
  • Il numero di controlli: la Commissione intende operare dei controlli solo nel 2027. Chi vuole più controlli ottiene 2 punti, chi ne vuole meno 0, chi sta con l’UE 1
  • L’ambizione: da 0 a 35 punti assegnati per l’impegno assunto nel voler ridurre le emissioni. Il target è una riduzione del 30% entro il 2030. In questa sezione primeggia la Svezia che si è assunta l’onere di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2045

La posizione dei paesi europei rispetto a questi nuovi trattati mette in evidenza, come abbiamo detto all’inizio, che solo tre di questi continuerebbero sulla strada tracciata dagli accordi di Parigi, nonostante nel 2016 l’Europa abbia diminuito globalmente le sue emissioni dello 0,4% rispetto al 2015.
D’altronde, questo non è un problema nuovo: era già successo con il protocollo di Kyoto, proposto ma non firmato dagli USA, i cui standard sono stati rispettati da pochissimi paesi.
Il problema del non rispetto dei target fissati dai trattati è enorme: nel suo libro Global warming: a very short introduction Mark Maslin, professore all’University College London, sostiene che un aumento di più di 2 °C della temperatura causerebbe un aumento esponenziale del rischio di malaria e di mancanza d’acqua. In questo senso oltre al rifiuto di Trump, è altrettanto grave il mancato rispetto degli obbiettivi da parte di tutti gli altri paesi, o quasi. Forse, prima di lanciarsi in proclami fasulli e accuse politiche strumentali, sarebbe il caso di fare della salvaguardia dell’ambiente un obbiettivo politico serio. Cosa che finora non è successa.

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