Se fossimo chiamati a interrogarci sul futuro, non potremmo non associarlo alla tecnologia, allo stesso modo se dovessimo valutare il nostro grado di fiducia, non potremmo ignorare le numerose attività che svolgiamo ogni giorno online.
A proposito di rete, sul New Yorker è stato pubblicato un articolo di Elizabeth Kolbert, vincitrice del premio Pulitzer nel 2015 per “The sixth extinction: an unnatural history”, dall’evocativo titolo “Who owns the Internet?” All’interno, tra le altre cose, si legge che Google controlla quasi il 90% della ricerca di pubblicità, Facebook una fetta del traffico social su mobile pari a circa l’80% e Amazon il 75% della vendita di e-book. Non si tratta quindi dei monopoli a cui siamo abituati dal momento che, come viene evidenziato, parliamo di società che non controllano un solo prodotto o un solo servizio.
A subirne implicazioni non è dunque soltanto l’economia, ma anche la cultura, la politica e la società. Internet ha stravolto la nostra esistenza e ne condiziona innumerevoli aspetti. Da tempo ormai è sorta la consapevolezza di dover studiare un fenomeno di cui evidentemente si ignoravano costi e benefici, pregi e difetti. L’unica certezza è che l’utilizzo della rete aumenterà nel tempo e indagarne tutti i risvolti è quindi necessario, senza lasciarsi tuttavia sopraffare né da un rassegnato disfattismo, né da un ottimismo superficiale. Il Pew Research Center ha provato a indagare quale scenario dobbiamo aspettarci dalla rete da qui a dieci anni, domandandolo a esperti di tecnologia, studiosi, leader, ecc durante l’estate del 2016 insieme all’Imaginig the Internet Center dell’Elon University. Le risposte raccolte sono state 1233 e partivano tutte dalla medesima domanda: “La fiducia delle persone nelle loro interazioni online, nel loro lavoro, nelle shopping, nelle connessioni sociali, nella ricerca della conoscenza e in altre attività sarà rafforzata oppure diminuirà nell’arco dei prossimi dieci anni?”
Il Pew ha evidenziato il carattere non scientifico dello studio ma è interessante scoprire cosa pensano gli esperti di vari ambiti sul tema. Non è facile quantificare in un certo senso, la fiducia, ancor meno è valutarla in termini di aspettative. Circa un quarto degli intervistati, per la precisione il 24%, è decisamente pessimista e ritiene che le persone saranno sempre più diffidenti. Chi ha risposto in questo modo ritiene che le grandi società finalizzino tutto ai profitti e i governi si preoccupino di difendere la sicurezza nazionale, non quella individuale e la privacy dei singoli utenti. Per questa fetta di esperti non è dunque detto che manipolazioni e comportamenti illegali siano destinati a ridursi.
Non si potrà parlare di fiducia o sfiducia in termini netti, perché come sottolineato da Andrew Walls, vicepresidente direttivo alla Gartner, ad esempio c’è chi diffida dei social network ma non esita a condividere dettagli della propria vita personale. La fiducia sarà sempre più un tratto dinamico delle relazioni sociali e mutevole per intensità
Un altro aspetto emerso è che secondo alcuni nel prossimo decennio avremo la sensazione di provare più fiducia nelle nostre attività digitali ma questa in realtà sarà solo una percezione. In altre parole, gli utenti saranno inconsapevolmente preparati all’eventualità di trovarsi in un ambiente che non gli permette di essere estremamente selettivi su quello di cui possono o non possono fidarsi. Non a caso quindi il 28% degli intervistati ritiene che il livello di fiducia resterà lo stesso di oggi. Resta quindi un consistente 48% decisamente più ottimista che ipotizza un rafforzamento della fiducia, coadiuvata da una tecnologia orientata a miglioramenti e da una regolamentazione più efficace. Non solo, a migliorare il quadro molti immaginano una maggiore capacità di adattamento degli utenti e una crescente emulazione dei giovani, ovvero dei frequentatori più assidui della rete, da parte di chi è ancora poco disposto ad accettare le innovazioni digitali.
Il documento pubblicato dal Pew Research Center è ricco di spunti e un aspetto non passa inosservato. A un certo punto viene infatti sottolineato che la natura del concetto stesso di fiducia diventerà più fluida. Più che parlare di cambiamento o meno del suo livello, ad esempio si dovrà capire di cosa si fideranno gli utenti, come evidenzia Aaron Chia Yuan Hung, dell’ Adelphi University. Inoltre, non dovremo riferirci a una caratteristica attribuibile a un individuo o a un’organizzazione, piuttosto essa andrà ricercata nella serie di relazioni e reti. Dovremo contestualizzare e non si potrà parlare di fiducia o sfiducia in termini netti, perché come sottolineato da Andrew Walls, vicepresidente direttivo alla Gartner, ad esempio c’è chi diffida dei social network ma non esita a condividere dettagli della propria vita personale. La fiducia sarà sempre più un tratto dinamico delle relazioni sociali e mutevole per intensità.
Da un lato quindi ci sono le grandi società digitali e i legislatori che avranno l’onere di occuparsi degli aspetti economici e normativi. Dall’altro però ci siamo noi, utenti che la rete la viviamo ogni giorno lasciando tracce che diventano preziosi dati, fissando opinioni che vengono tradotte in predisposizioni e magari in attitudini collettive. C’è chi possiede la rete e chi la abita e tutti, sebbene in misura diversa, siamo protagonisti della scena, una scena dove pubblico e palco sembrano intercambiabili e in cui siamo tutti attori e spettatori con un copione ancora da definire.