TORINO – Riformare i sindacati, abbassare il costo del lavoro, investire in formazione e innovazione. Luigi Di Maio per il quarto anno di fila è stato ospite del Festival dei consulenti del lavoro. Ma stavolta da candidato premier del Movimento cinque stelle. E al Lingotto di Torino ha presentato il suo programma sul lavoro. Che fa l’occhiolino e non poco a imprese e professionisti (molti gli applausi in sala). E ricorda tanto il primo Renzi, quando dichiarò guerra aperta alle sigle sindacali e al posto fisso ipertutelato. «Con noi al governo o i sindacati si autoriformano o li riformiamo noi», dice il vicepresidente della Camera. «Non sono contro la flessibilità del lavoro, ma contro la precarietà».
Di Maio cita i dati venuti fuori dallo studio “Lavoro 2025” commissionato dai Cinque stelle a una rosa di studiosi. «Entro i prossimi sette anni il 60% dei lavori che conosciamo oggi si trasformerà o sparirà», dice, «e circa il 50% saranno professioni legati al settore creativo. Non parliamo di fricchettoni, ma lavori legati a turismo, cultura e nuove tecnologie».
E per dimostrare che il cambiamento è inevitabile, proietta sul maxischermo una copertina di Forbes del 2007, quando Nokia era il re dei telefoni. «Nel giro di dieci anni Nokia è sparita dai primi sette produttori di smartphone e sono saliti in vetta Samsung e Apple». Così come nel 2007 stava arrivando lo smartphone e chi non l’ha capito è sceso in basso alle classifiche, «oggi sta arrivando la “smart nation”, lo “Stato intelligente” che produce meno leggi», dice. «Ne sanno qualcosa quelli che in questo periodo stanno affrontando la giungla del pagamento dell’Iva trimestrale. Per impedire la fuga dei cervelli e aiutare chi si vuole cimentare in un’impresa o nell’autompiego dobbiamo abbattere il muro di gomma della burocrazia».
Quando il candidato dei Cinque stelle promette “meno scartoffie” ai professionisti per “lasciarli in pace a lavorare serenamente”, dai circa 500 consulenti del lavoro presenti in sala partono i primi applausi e qualche “bravo”. Ma c’è anche chi dalla platea commenta sottovoce: «È iniziata la campagna elettorale».
La promessa, in linea con le richieste di Confindustria, è anche quella di ridurre il cuneo fisclae per agevolare le assunzioni. Ma per farlo serve «una manovra shock», dice. «Facciamo un po’ di deficit produttivo e investiamo nel costo del lavoro e nei settori ad alta moltiplicazione. Così mettiamo in moto l’economia e aumentiamo il gettito dello Stato, riducendo il debito pubblico».
Se il nostro Paese non vuole far più scappare i giovani all’estero, deve prevedere anche un cambiamento radicale delle organizzazioni sindacali. Con noi al governo o i sindacati si autoriformano o li indurremo a una riforma
La prima uscita da candidato premier è stata tra le scrivanie del Tag di Milano. È a questo mondo di partite Iva e autonomi che “Giggino o’ webmaster”, come lo chiama Vincenzo De Luca per il suo passato da startupper, quando dice che «bisogna investire in innovazione per recuperare i posti persi e crearne di nuovi». E dà qualche numero: «Se avessimo investito il 35% in più nella diffusione di Internet, oggi avremmo il 5% della disoccupazione giovanile in meno. Se avessimo la diffusione di Internet che c’è in Olanda avremmo 270mila posti di lavoro in più».
Tra i totem da abbattere per cambiare il vecchio mondo del lavoro, c’è anche il sindacato. «Se il nostro Paese non vuole far più scappare i giovani all’estero, deve prevedere anche un cambiamento radicale delle organizzazioni sindacali», annuncia Di Maio. «Se cambia il lavoro anche il sindacato deve cambiare. Dobbiamo dare più possibilità ad aggregazioni giovani di contare ai tavoli di contrattazione, dobbiamo dare più possibilità di ricambio nelle organizzazioni sindacali, ma soprattutto un sindacalista che prenderà la pensione d’oro, prende finanziamenti da tutte le parti e sta lì a vita a fare il sindacalista ha ben poca credibilità di rappresentare un giovane di 31 anni». E poi l’aut aut: «Con noi al governo o i sindacati si autoriformano o li indurremo a una riforma, altrimenti si rischia di difendere solo posizioni di rendita».
Finita l’era del posto fisso, Di Maio dice: «Ormai il posto in quanto tale nessuno lo difende più. Noi qui siamo tutti disponibili a formarci, a rimetterci in gioco». Parla di formazione, riqualificazione e nuove competenze necessarie per ricollocarsi. E in questa cornice annuncia il progetto di riforma dei Centri per l’impiego con un investimento di 2 miliardi. «Dobbiamo riqualificare il personale dei centri», dice, «incrociare la domanda e l’offerta a livello nazionale, non solo regionale, e soprattutto puntare sulla formazione per avere forza lavoro qualificata».
La parola d’ordine che torna è “flexsecurity”. «Io sono contro la precarietà ma non contro la flessibilità del lavoro. Se c’è flessibilità nel mondo del lavoro, allora lo Stato ti prende per mano quando perdi il lavoro, ti riforma, ti riqualifica e ti reinserisce». Nel provvediemento dei Cinque stelle sul reddito di cittadinanza, è previsto un finanziamento totale di 17 miliardi di euro: oltre alla riforma dei centri per l’impiego, ci sono le pensioni minime a 780 euro e lavori di pubblica utilità da otto ore nei comuni in cambio di sostegni al reddito. E per chi «fa il furbo lavorando in nero per percepire il reddito di cittadinanza?». «Rischia fino a sei anni di galera». Che qui «non siamo in Svezia».