Subiamo condanne per non aver rispettato i diritti umani, accumuliamo milioni di risarcimento ogni anno, non li paghiamo in tempo, né aggiorniamo velocemente le nostre leggi. E il gioco ricomincia.
L’Italia è il primo paese con più sentenze della Corte europea dei diritti umani non eseguite.
Secondo una tabella elaborata da Politico, su 9944 sentenze Cedu non implementate, 2219 riguardano l’Italia: il 22,3%. Per capirci, una su cinque. Distanza siderale rispetto a Francia con 56 sentenze non eseguite e Germania con solo 17. Stati non proprio famosi per il rispetto dei diritti umani come Russia (1540) e Turchia (1342) sono più virtuosi di noi. Insomma, facciamo peggio di tutti e 47 i Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa.
Dal 1949 l’Italia fa parte di questa organizzazione internazionale, che non c’entra nulla con l’Unione europea, creata per tutelare i diritti umani in Europa. E la Cedu, dal 1959, è la sua corte di giustizia alla quale tutti i cittadini dei 47 Paesi membri possono adire quando credono di aver subito una violazione dei propri diritti. Come ha fatto Silvio Berlusconi ricorrendo contro la Legge Severino che lo ha interdetto dai pubblici uffici dopo la sua condanna per frode fiscale.
La corte con sede a Strasburgo pronuncia le sentenze basandosi sulla convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata a Roma il 4 novembre del 1950. L’articolo 46 vincola gli Stati ad adeguarsi alle sentenze della Cedu: risarcendo con una “equa compensazione” chi vince la causa e, nel caso, imponendo ai governi di modificare o aggiornare una legge per tutelare in futuro chi subirà una violazione del diritto umano in questione.
Non importa come nel dettaglio, purché lo faccia. Lo Stato deve conformarsi quindi e anche velocemente e ha al massimo sei mesi per comunicare quali misure ha adottato o intende adottare. Se non lo fa, interviene il comitato dei Ministri, l’organo decisionale del Consiglio d’Europa, con dei richiami.
Il 94% dellle sentenze non eseguite (2105) sono o classificate come enhanced cioè hanno bisogno di azioni urgenti o riguardano cambi fondamentali nel sistema. Lo stesso comitato dei Ministri ci ha inserito nel gruppo di Paesi con problemi strutturali, alcuni non risolti da oltre dieci anni. Con noi ci sono anche Russia, Ungheria e Moldavia.
Nel nono rapporto sull’implementazione delle sentenze Cedu, pubblicato a giugno, il cdm segnala le sentenze italiane più gravi non eseguite.
A partire dal caso Richmond Yaw e altri c. Italia del 6 ottobre 2016 sull’ingiusta detenzione presso i CIE (centri di identificazione ed espulsione). Secondo la Corte manca una legge adeguata perché i risarcimenti si possono solo chiedere in un processo penale e sono troppo lenti i tempi di attesa per decidere se un rifugiato debba restare o meno nel Cie.
Non si tratta solo di leggi non approvate. Spesso il governo italiano è intervenuto modificando o adottando dei provvedimenti per rispondere alle sentenze della Cedu, ma non ha fatto abbastanza. Come nel caso del sovraffollamento delle carceri. Il comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva applaudito alla riforma voluta dal ministro Orlando per rimediare alle dure condizioni dei detenuti dopo la sentenza Torreggiani v Italia del 2013, definendola addirittura un “modello da seguire”. Ma secondo un report del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), pubblicato l’8 settembre il problema del sovraffollamento nelle carceri non sembra risolto. Sono ancora tanti secondo il report, gli istituti di pena che “operano al di sopra delle loro capacità”.
Non solo carceri. Dal 5 luglio l’Italia ha finalmente una legge sul reato di tortura e il Governo ha risarcito quasi tutti i 163 ricorrenti che hanno subito delle violenze nella caserma Diaz durante il vertice G8 di Genova del 2001. Ma non basta. La stessa presidenza del Consiglio dei ministri ammette nella relazione presentata al Parlamento il 1° settembre, che bisogna ancora adeguarsi perfettamente alla sentenza Cestaro del 2015, per evitare un’altra condananna legata alla violazione del reato di tortura (Art.3).
Negli ultimi tre anni il governo italiano sta cercando di smaltire l’enorme mole di sentenze non attuate. Secondo la relazione siamo finalmente usciti dalla classifica dei dieci Stati del Consiglio d’Europa con più condanne. Con “sole” 15 sentenze nel 2016, siamo passati da decimi a quindicesimi. Se diminuiscono i processi contro l’Italia, lo fanno anche i risarcimenti: dai 77 milioni di euro versati nel 2015, l’Italia è scesa a quasi 16 milioni nel 2016.
Ci sono ambiti dove il Governo si è finalmente adeguato alle sentenze della corte di Strasburgo. Per esempio sulle espulsioni di massa dei migranti verso la Libia, giudicate dalla Cedu una violazione dell’articolo 3 della Convenzione di Roma. Il faldone Italia è ancora corposo (i casi contro il nostro Paese sono il 7,8% del totale) ma secondo il Governo italiano la maggior parte riguarda l’eccessiva durata dei processi o l’insufficienza degli indennizzi Pinto, la legge che regola il risarcimento nei casi di violazione dei diritti umani. I provvedimenti in questo caso sono stati aggiornati e i casi simili saranno progressivamente chiusi.