Dicono che sia un ex agente segreto, lo paragonano a Donald Trump per il linguaggio politicamente scorretto e a Silvio Berlusconi per i conflitti d’interessi tra media e politica. Lo accusano di aver usato la sua posizione di ministro delle finanze per dirottare 2 milioni di fondi europei nella sua azienda. Nonostante tutto questo, Andrej Babis, 63 anni, potrebbe diventare l’uomo più potente della Repubblica ceca. O forse lo è già. Il milionario euroscettico e ministro delle finanze uscente è il favorito alle prossime elezioni del 20 e 21 ottobre. Secondo gli ultimi sondaggi il suo movimento centrista e populista Ano (l’acronimo vuole dire “sì” in ceco) è al 25%. Più della somma dei due inseguitori. Il ČSSD, partito socialdemocratico e alleato di governo, è fermo al 12,34% mentre il partito comunista di Boemia e Moravia (KSČM) segue al 11,41%. Il 2017 elettorale, iniziato con le elezioni in Olanda, seguite da Francia, Germania ed Austria si potrebbe chiudere con la vittoria di un populista euroscettico.
Slovacco, ha costruito il suo impero economico a nove anni vendendo le palline da tennis lasciate nei campi da gioco di Bratislava. Dopo aver passato la rivoluzione di velluto in Marocco, è emigrato in Repubblica Ceca, ormai divisa dalla Slovacchia. Ora è il secondo uomo più ricco del Paese, il 489esimo al mondo. La sua azienda Agrofert, è una multinazionale con investimenti nella chimica, agricoltura e alimentazione. Una compagnia da 4 miliardi di dollari. E negli ultimi tre mesi il suo patrimonio è aumentato di mezzo miliardo
La campagna elettorale di questi giorni è l’ultimo atto della sua lotta personale contro l’establishment iniziata nel 2012. Prima ha fondato un movimento contro la corruzione: Akce nespokojených občanů (Azione dei cittadini insoddisfatti), poi ha comprato la casa editrice Mafra, che possiede il Mladá fronta Dnes e il Lidové noviny. Con un nuovo partito e l’appoggio mediatico dei due principali quotidiani cechi è arrivato secondo nelle elezioni dell’ottobre 2013, con solo tre seggi in meno dei vincitori, i socialdemocratici del ČSSD. In meno di un anno è diventato l’ago della bilancia della politica ceca.
Quattro anni da vicepremier e ministro delle finanze non hanno scalfito la sua immagine di anti establishment e forse l’hanno rafforzata. Ora si ripresenta per diventare primo ministro. Il motto del partito è Bude Lip, ovvero “tutto andrà meglio”. In patria apprezzano il suo lavoro pratico e non ideologico come ministro delle finanze: ha diminuito il debito pubblico, ha fatto ripartire l’economia e ha combattuto efficacemente la corruzione, introducendo anche il pagamento elettronico delle bollette per evitare i pagamenti in nero. Il suo consenso è trasversale, dagli elettori di destra e sinistra è considerato un outsider, fuori dall’intellighenzia, fuori dai palazzi corrotti del potere. Non un politico, ma un pratico. Un uomo del popolo, del fare. Vi ricorda qualcuno?
Secondo il Trumpability Index, l’indice redatto dal quotidiano Politico sui paesi europei più a rischio di eleggere un leader simile al presidente Usa, la Repubblica Ceca è arrivata prima. Babis si difende: «a differenza di Trump, le mie aziende non falliscono». Qualcosa in comune Babis e The Donald ce l’hanno. Per esempio il linguaggio politicamente scorretto. Il 1 settembre 2016 in visita a Varnsdord, definì il campo di concentramento di Levy, un semplice “campo di lavoro”: «Degli idioti scrivono nei giornali che il campo di Lety era un campo di concentramento, è una menzogna. Solo chi non lavorava finiva lì». In realtà tra il 1939 e il 1945 più di 50.000 rom sono passati lì. E non per lavorare.
Scivoloni verbali a parte, Babis non vuole erigere un muro come Trump od Orban. Preferisce tenere fuori i migranti con una fortezza. Secondo il magnate l’Unione europea dovrebbe essere un’enclave fortificata, utile a proteggere da un mondo ostile, come (parole sue) il villaggio di Asterix. Non una analogia felice. Il piccolo borgo degli irriducibili galli che si difendeva dall’esercito romano di Giulio Cesare nei fumetti di Goscinny e Uderzo, ha conquistato il cuore di molti lettori ma è sempre rimasto accerchiato e irrilevante politicamente. E noi non abbiamo nemmeno la pozione magica. Bubis vorrebbe lasciare i rifugiati nei centri d’identificazione fuori dai confini europei «anche gli Stati Uniti avevano un’Ellis Island» ha dichiarato in un’intervista a EurActiv. Anche per questo si è sempre opposto alla ricollocazione dei migranti e dall’agosto del 2016 non li ha accolti più nel Paese.
Jean Claude Juncker spinge per far entrare nell’eurozona tutti i Paesi che non hanno l’Opt out, cioè la clausola che esenta uno Stato dall’applicazione di alcune parti dei trattati Ue. Il presidente della Commissione europea l’ha promesso nel discorso sullo Stato dell’Unione. Ma Babis guarda il sondaggio di Eurobarometro: a maggio il 70% dei cechi ha detto di voler tenere la sua corona. «Non voglio fare da garante per le banche italiane e il debito greco.
L’eurozona era un progetto economico, ora diventato politico. E non voglio far parte di questo sistema perché non porterà nulla di buono» ha detto Babis in un’intervista a Ctk news
Il 9 ottobre i pm di Praga hanno formalmente accusato Babis di frode fiscale. Da ministro delle finanze avrebbe dirottato gran parte dei finanziamenti europei (2 milioni) alle aziende legate alla sua compagnia Agrofert. Anche l’Olaf, l’agenzia antifrode europea sta indagando su di lui. Per questo il premier socialdemocratico Bouhuslav Sobotka, ha indetto le elezioni anticipate. La motivazione perfetta per rompere con l’alleato scomodo di governo e lasciarlo a combattere in un processo mediatico e non.
Babis non ha preso mai in considerazione l’idea di lasciare la politica. «Non mi farete tacere non mi intimiderete, non mi fermerete, non vi libererete di me» ha dichiarato. Anche perché se diventasse ministro avrebbe di nuovo l’immunità che gli è stata revocata dal Parlamento. Anche questa una mossa politica voluta dal leader CSSD. Il milionario ceco ha impostato la campagna elettorale con toni ancora più duri sui migranti e ha costretto i socialdemocratici a seguire la sua agenda politica. Babis deve prendere almeno il 25% per evitare che gli altri partiti si alleino contro di lui. Ma l’ascesa del Psd, partito di un altro euroscettico di origine straniera, il giapponese Tomio Okamura, potrebbe volgere a suo favore.
Lo scandalo finanziario non è l’unico aspetto controverso di Babis. L’istituto della memoria nazionale slovacco, sostiene che negli anni ‘80 fosse un collaboratore dello Státní Bezpečnost, versione cecoslovacca del Kgb. Nome in codice Bureš. Ci sono 12 documenti dei servizi che proverebbero il suo collegamento con la “sicurezza di stato” ceca. Babis, figlio di due slovacchi molto legati al regime, il padre ingegnere e direttore di commercio estero, la madre segretaria dell’Istituto del Marxismo-Leninismo dell’Università Comenio a Bratislava, ha sempre negato l’etichetta di bambino della nomenclatura e ha vinto una causa nel 2014. Ormai il muro è caduto da quasi trent’anni si dirà, ma Babis ha tutto l’interesse nel chiarire la faccenda. La legge ceca infatti prevede l’interdizione ai pubblici uffici per le personalità coinvolte col regime sovietico.
Nella campagna elettorale non si è parlato molto di Ue. Quasi per nulla. La posizione dei cechi è chiara da tempo su molti argomenti. Dall’Euro, fino alla stessa permanenza nell’Unione europea. Ai tempi del referendum sulla Brexit molti analisti hanno scommesso su Praga come seconda capitale a uscire dall’Ue. Così non è stato ma i leader cechi non hanno fatto nulla per cambiare questo sentimento.
Babis non approva nemmeno il disegno d’integrazione di Macron. Un mese fa scrivevamo qui che Repubblica ceca e Slovacchia volevano avvicinarsi a Bruxelles per non perdere il treno dell’Europa veloce. Il governo però era a trazione socialdemocratica. Con premier Babis, la posizione cambia: «Macron dovrebbe risolvere i problemi della Francia prima di pensare a quelli dell’Europa» ha dichiarato il milionario.
Una vittoria del suo partito Ano, che anche se siede nell’eurogruppo dell’Alde non ha un’ideologia proprio liberale, potrebbe cementare le posizione anti-UE della Repubblica ceca e rafforzare il blocco di Visegrad. Si chiude così il ciclo elettorale di quest’anno che disegna un’Europa divisa in due. Nella prima metà dell’anno la stampa europea aveva gridato alla morte dei populismi con le vittorie di Rutte e Macron in Olanda e Francia nonostante gli ottimi risultati di Wilders e Le Pen (9 milioni di voti). Negli ultimi mesi invece c’è stata la vittoria incerta di Merkel e l’affermazione del partito xenofobo Afd in Germania. Questa e la vittoria del 31enne Kurz in Austria pronto a governare con gli ultranazionalisti del FPO è stata vista dai media europei come la rivincita dei populisti. In realtà solo mediatica. Gli euroscettici ci sono sempre stati e demonizzazioni a parte, rappresentano un vero malessere. Com’è giusto che sia in un’Unione europea che ancora non ha sconfitto i suoi fantasmi.
Ora l’Europa è divisa in due. Da una parte riformisti e dall’altra sovranisti euroscettici. Nel 2017 è finita 3 a 2 per gli eurofili con una quasi rimonta all’ultimo deI cosiddetti populisti. A prescindere da che parte stiate, questa è la partita che si giocherà nei prossimi due anni. In palio c’è l’Unione europea del futuro. Il campo però è asciutto, i tifosi di entrambe le squadre sono arrabbiati o delusi è c’è qualche zolla di troppo che potrebbe favorire chi sceglie di giocare duro e spazzare via il pallone in attesa del novantesimo.