Pubblichiamo un estratto tratto da “Sicilian Comedi“ di Ottavio Cappellani, edito per Sem (società editrice milanese). uscito a settembre, dieci anni dopo il fortunato “Sicilian Tragedi” del 2007.
Mariamariamaria quanto tempo era che non fottevano così. Non perché Riddu (Wanda chiamava suo marito Turi Perrotta col vecchio soprannome di quando triturava i cadaveri nella betoniera, bei tempi in cui di soldi ce n’erano pochi, non c’era l’home teather, non c’era il tabbilet, non c’era una minchia, ma di minchia ce n’era tantissima perché, quando non avevi che fare, piglia e fottevi) non ci dava la sua dose santissima di minchia matrimoniale nel sacro vincolo del matrimonio, ma perché (mariamariamaria non ci potevano neanche pensare) si erano finalmente tolti la Betty di casa.
Non solo. Turi Perrotta detto Riddu Betoniera era riuscito nell’impresa diplomatica suprema, nella strategia dell’arte della guerra di Sun Tzu (se uno non puoi batterlo, almeno rompici la minchia): si era tolto sua figlia Betty di casa e ce l’aveva infilata a casa del suo peggior nemico, Alfio Turrisi, sancendo la pace tra le famiglie e la pace del suo ciriveddu, che non si doveva più somportare quella sciagura a forma di butt… di amatissima figlia!
Come conseguenza della vittoria che ti suscita l’ormone del masculazzo, a uso maschio alpha, a Riddu ci era attisata già in chiesa (si era fatto anche un paio di segni della croce perché non lo sapeva bene se era consentito l’attisamento durante la funzione matrimoniale), poi si era attisata ancora di più al ricevimento che sanciva definitivamente (definitivamente, minchia non ci poteva pensare) l’uscita cerimoniosa di casa della Betty!
Wanda, dal canto suo, vedendo che a Riddu ci stava attisando come ai vecchi tempi (nei quali il suo essere maschio dominante si appalesava ogni sera che il rumore di ossa di morto ammazzato scrocchiava nella betoniera), si era attizzata macari lei, tanto che durante la cena («Si dice pranzo!»), durante il pranzo, sotto il tavolo di Torre del Grifo Village, centro sportivo del Catania Calcio comprensivo di piscine, palestre, spa, centro congressi, sport resort, albergo e risto- ranti (al plurale), Wanda ci aveva dato una velocissima toc- cata alla minchia e sentendola dura dura la velocissima toc- cata era diventata quasi una minata vera e propria.
Alla fine, salutati con la manina la Betty e Alfio che si andavano a buttarsi nella movida catanese («Ciao ciao,» faceva Turi, abballando solo solo dalla contentezza «andate a but- tarvi, andate a buttarvi con la mia benedizione. Dai Wanda, daccela anche tu la benedizione che finalmente si buttano»), Turi ci aveva detto a Wanda: «Passiamo dall’esercizio», in- tendendo la concessionaria di veicoli industriali.
Wanda ci aveva fatto: «Veramente avrei voglia di minchia». «Ti fidi di tuo marito?»
«E fidiamoci.» Così se n’erano andati da Fatti-una-Ruspa Spa, Riddu aveva aperto la concessionaria, l’aveva portata nel garage deposito, c’aveva ammostrato una ruspa sorridendo.
Wanda aveva taliato la ruspa e c’erano incominciate a girare le palle. Lo sapeva che non glieli doveva fare bere quei sei Fernet, che non era più giovane come quando era giovane. «Non capisci, vero Wanda? E certo, sei fimmina, come fai a capire? Ma qui ci sono io, che sono tuo marito, e ora piglia e ti spiego, fimmina!»
E niente, non ci poteva fare niente: a Wanda, quando Riddu ci diceva “fimmina” ci veniva tutto un rimescolamento di dentro a uso di quando fai il cemento nell’impastatrice. «Trattasi di Ruspa Terna con Braccio Telescopico…» «Che sarebbe a dire?» «Che si allunga, Wanda… Si allunga e ruspa.» «Ah sì?»
Riddu annuisce competente e masculo. «Nella parte posteriore…» continua Riddu. «Sì, anche la parte posteriore è importante.» «E a me, me lo dici? Nella parte posteriore ho montato…» «Ah, monti?» «Monto Wanda, monto. Nella parte posteriore ho montato un braccio escavatore…» A Wanda ci viene un capogiro. «…con cucchiaia rovescia.» «Cucchiaia…» ripete Wanda con la voce che gli tremola e le ginocchia che iniziano a farle mao mao.
Riddu aveva fatto tintinnare qualcosa nella tasca dei pantaloni e ne aveva nisciuto un mazzo di chiavi: «Per portare la ruspa in giro la devi caricare supra a un càmio. Però, allora, io che ci sto a fare qui?».
E così, nella matinata che precede l’alba, quando tutto si tinge appena di un viola rosastro, con gli uccellini che timidi iniziano a cinguettare dandosi il buongiorno a vicenda, coi ratti tanti che si stiracchiano tra le aiuole, mentre nelle povere case dei lavoratori umili ma onesti iniziano a ribollire le caffettiere e le bestemmie, e nelle ricche case della borghesia i domestici si danno da fare tra divani zebrati, collezioni di zanne, lampade a stelo che sembrano minchie e amanti che sgattaiolano fuori dalle lenzuola di seta nera («Minchia signora bottana moltissimo», «Minchia signore puppo totale» spettegola la servitù filippina e mauriziana), nelle strade di Catania, Riddu e Wanda iniziano a cingolare sulla ruspa dell’ammore.