Si sono sloggati dalle app. Hanno organizzato biciclettate, flash mob e pure un’assemblea con i colleghi europei al G7 di Torino. I rider del food delivery finora le proteste se le sono organizzate da soli, sfruttando Facebook e Whatsapp. Ma dopo il rinnovo del contratto nazionale della logistica, che per la prima volta ha riconosciuto la figura del fattorino in bici o in moto, i sindacati stanno finalmente facendo capolino tra i nuovi operai della gig economy. E dalla Cgil ora arriva la proposta del tutto nuova di “contrattare gli algoritmi”. «Se è l’algoritmo che organizza il lavoro, che decide quando e come lavori, allora va inserito nella contrattazione, per eliminare i pericoli di discriminazione», spiega Alessio Gramolati, responsabile per la Cgil dell’Ufficio progetto lavoro 4.0. «È già successo con i primi lavoratori Foodora che hanno scioperato. Non è che dopo le proteste sono stati licenziati. Semplicemente l’algoritmo non ha più dato loro la possibilità di lavorare».
Da Amazon a Deliveroo, le proteste dei lavoratori del digitale quindi non possono più essere ignorate.
In tutto il mondo stanno esplodendo contraddizioni sociali evidenti. Le persone che sono chiamate a lavorare attraverso queste nuove straordinarie tecnologie non riconoscono in quello che gli viene offerto un patto giusto. Ce ne occupiamo ora che qualcuno ha detto basta. Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano e anche le formiche si sono messe in movimento. Di queste iniziative ne è pieno il mondo. È in movimento un processo che contesta un modello organizzativo.
Cosa chiedono queste persone?
Non la soppressione di questi luoghi, ma di poter stare in questi luoghi con un ragionevole grado di sicurezza. Una tecnologia che assume una dimensione straordinaria in nome del progresso e dell’umanizzaizone del lavoro in realtà per alcune persone si sta rivelando il suo esatto contrario. A questa novità manca una proposta di diritti sociali adeguata. C’è bisogno che questi soggetti negozino. E per costruire un ambiente favorevole al negoziato, bisogna impedire che i negoziatori siano discriminati. Serve un quadro normativo per evitare la diffusione del nuovo caporalato digitale.
Cos’è il caporalato digitale?
Pensiamo alle immagini straordinarie del film Fronte del Porto di Elia Kazan, in cui si vede una persona che decide arbitrariamente chi lavora e chi no. Al posto di questa persona ora c’è l’algoritmo. Che, ricordiamo, non è qualcosa che ci arriva da una volontà divina, ma è scritto dall’uomo. Se l’algoritmo viene utilizzato ai fini del controllo, diventa uno straordinario mezzo di coercizione che riduce la libertà delle persone. Non c’è la persona che sceglie sul fronte del porto, ma c’è l’algoritmo. Ai lavoratori di Foodora, Deliveroo, Uber spesso viene negata la possibilità di lavorare sulla base della valutazione di un algoritmo. Sei sempre disponibile e hai buoni commenti? Puoi lavorare. Protesti e scioperi? Resti a casa.
Pensiamo alle immagini straordinarie del film Fronte del Porto di Elia Kazan, in cui si vede una persona che decide arbitrariamente chi lavora e chi no. Al posto di questa persona ora c’è l’algoritmo. Che, ricordiamo, non è qualcosa che ci arriva da una volontà divina, ma è scritto dall’uomo
Cosa serve?
Servono anzitutto delle norme per inquadrare queste persone. Uber ha perso tanto nelle vertenze quanto nel contenzioso giuridico, a dimostrazione che un impianto legislativo aiuta questi lavoratori a essere meglio tutelati e crea un ambiente favorevole alla contrattazione. Non a caso Elisabeth Warren, liberal americana, nella sua proposta di legge per i lavoratori della gig economicy sostiene il diritto alla contrattazione collettiva. E Uber nel rispondere al proliferare di contenziosi ha risposto che l’algoritmo deve comunque garantire un minimo di corse a chi lavora. L’algoritmo non è nulla se non la determinazione della volontà delle persone che lo costruiscono. In questo senso va contrattato.Cosa chiedete quindi?
Chiediamo da una parte una legge che consenta a queste persone di potersi tutelare collettivamente, dall’altra attraverso la contrattazione vogliamo dare a queste persone la facoltà di eliminare quelle parti dell’algoritmo che sono discriminatorie nei loro confronti.Cosa cambia per i rider con il nuovo contratto della logistica?
Abbiamo dato un nome e un volto a questa figura. Dare un nome alle cose significa poter cominciare a occuparsene. Queste persone oggi sono diventate una figura contrattuale, e come tale avranno la possibilità di contrattare la loro condizione di lavoro.Finora però i sindacati sono rimasti fuori dalle proteste dei rider italiani.
Tutti i sindacati del mondo sono stati spiazzati dalla velocità di queste tecnologie. Questi non sono luoghi di tradizionale insediamento del sindacato. Però il processo che queste persone hanno messo in movimento è un processo a tutti gli effetti di natura sindacale. Se il sindacato saprà interpretare questo processo, potenziarlo e organizzarlo, facendo sì che la figura del rider non resti semplicemente un nome su un contratto nazionale, allora avrà vinto la sfida. Il punto è che le modalità che stanno caratterizzando queste lotte sono circolari, del tutto nuove per il sindacato tradizionale. Spesso questi lavoratori usano le piattaforme, che sono il mezzo del loro sfruttamento, come strumento delle loro stesse vertenze. È chiaro che anche il sindacato deve avere la capacità di appropriarsi di questi strumenti.Chiediamo da una parte una legge che consenta a queste persone di potersi tutelare collettivamente, dall’altra attraverso la contrattazione vogliamo dare a queste persone la facoltà di eliminare quelle parti dell’algoritmo che sono discriminatorie nei loro confronti.
Quindi c’è un tentativo da parte del sindacato di avvicinare i gruppi nati sui territori?
Assolutamente sì. Il fatto stesso che si sia costruita la figura contrattuale del rider dimostra la volontà di farsi carico di questa dimensione. D’altra parte, anche questi lavoratori si rendono conto che avere un dialogo con il resto del mondo del lavoro è per loro un punto di forza e non un punto di debolezza. La prima condizione perché una vertenza abbia successo è non rimanere isolati.Ma l’algoritmo potrebbe non far lavorare più un rider che sia delegato della Cgil.
Questo è il rischio! Per poter esercitare una libera azione contrattuale di natura collettiva servono delle norme che tutelino la libertà di associazione ed evitino la discriminazione.Ma a che punto è la discussione in Italia sulla regolamentazione della gig economy?
In questo Paese ci siamo dati un quadro normativo all’altezza di ciò che abbiamo di fronte, ma di ciò che abbiamo alle spalle. Con il Jobs Act abbiamo pensato a un mondo e a un mercato del lavoro che era quello del passato. Pensiamo al controllo a distanza o al demansionamento. Posso leggerle una cosa?Certo.
“Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto in caso di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento senza sua colpa a una indennità proporzionata agli anni di servizio”. Questa è stata salutata come una delle più grandi innovazioni del Jobs Act, giusto? È la famosa soppressione dell’articolo 18. In realtà quello che le ho letto è l’articolo 17 della carta del lavoro del 1927. Siamo ancora molto indietro.***
LA PRECISAZIONE DI FOODORA
Rispetto a quanto detto nell’intervista riportata nell’articolo di oggi, ci tenevamo a fare 2 importanti precisazioni.
1. Foodora ribadisce che nessun rider coinvolto nelle richieste di ottobre 2016 è stato licenziato. A tutti è stata data la possibilità di rinnovare il contratto in scadenza e a nessuno è stato tolto l’accesso alla piattaforma.
2. Rispetto all’algoritmo, i clienti possono ordinare tramite app o sito. Una volta ricevuto l’ordine, la richiesta di consegna viene inoltrata a un rider in base alla posizione (il più vicino al ristorante).
Il rider decide quindi se accettare o meno di svolgere la consegna. Qualora un rider non dovesse accettare, la richiesta di consegna verrà inoltrata a un altro rider.
Ovviamente è sempre il rider a decidere poi il percorso per raggiungere il ristorante e quello per recarsi dal cliente.