Non solo calcio: Carlo Tavecchio è il simbolo della mediocrità italiota

Non si parla solo di calcio: Tavecchio, dopo il fallimento del Mondiali, rischia di diventare il nuovo presidente della Lega Calcio di Serie A. Il simbolo di un'Italia che sguazza tra figuracce memorabili, ma è sempre colpa di qualcun altro

No, non è solo calcio. La vicenda di Carlo Tavecchio, possibile presidente della Lega Calcio di Serie A, non può essere limitata alla sia pur istruttiva parabola (fallimentare) del pallone degli ultimi anni. Tavecchio ci dice tantissimo dell’Italia di oggi. Un Paese che ha smarrito il senso di responsabilità e talvolta del ridicolo.

No, non è solo calcio, ma partiamo dal pallone: autunno scorso, la Nazionale ha appena centrato un risultato storico: non qualificarsi al Mondiale, l’Evento per eccellenza della religione laica dello Stivale. Psicodramma collettivo e capo cosparso di cenere un po’ da tutti. La gente, non solo gli appassionati, è furibonda, vuole la testa dell’allenatore (troppo facile, ma comunque perdendo la faccia salverà il portafoglio), ma non può bastare. Fuori tutti, a cominciare dal presidente federale, il massimo responsabile e – per quanto parzialmente semplicistico – il massimo colpevole. Tavecchio resiste, ma a tutto c’è un limite e, durante una delle più spettacolari e tragicomiche conferenze stampa a memoria d’uomo, alla fine molla. Indignato da tanta cattiveria, ma soprattutto – si badi – SORPRESO che si debba rispondere del proprio operato.

Siamo al punto: Tavecchio non sa spiegarsi perché gli chiedano in tanti di andar via, li identifica come nemici dell’ultima ora o ingrati ex-amici. Non viene neppure sfiorato dal dubbio che andar via sia l’unica cosa sensata e dignitosa da fare. Siamo onesti, non sarà mica il simpatico Tavecchio l’unico a pensarla così… in Italia, il problema non è tanto che non si dimetta mai nessuno (vero fino a un certo punto), ma che si escluda anche la sola possibilità di dover rispondere delle proprie scelte.

C’è sempre un Piano B, ma non per il Paese, per se stessi. Puntualmente, il Plan B arriva: la Lega, pomposamente definita la ‘Confindustria del calcio’, non riesce a darsi un presidente da una vita e va commissariata. A termini di regolamento, tocca a lui, il nostro. Non passandogli neppure per l’anticamera del cervello l’idea di passare la mano, Tavecchio zompa agilmente da una poltrona a un’altra e aspetta. Perché l’uomo è naif, ma tutt’altro che sprovveduto e sa che potrebbero presto venire da lui. Così, appena due mesi dopo la vergogna svedese, ineffabile e smemorato, l’ex-N.1 della Figc può dichiararsi disponibile a diventare il presidente della Lega Calcio. Eletto da quello stesso grumo di potere che lo portò in via Allegri.

Questa storia non parla solo calcio. E’ un virus italico, subdolo e con cui in tanti sono pronti a scendere a patti. Dalla politica all’imprenditoria, dal mondo della professioni a quello della formazione, in famiglia e a scuola, spesso semplicemente nessuno si assume le proprie responsabilità. Siamo abituati e quasi indifferenti, ormai, alle promesse disattese. Non ci aspettiamo più che possano esserci delle conseguenze, nel venir meno alla parola data. Assistiamo (o partecipiamo) a fallimenti e figuracce memorabili, ma è sempre colpa di qualcun altro. Gli irresponsabili abbondano, gli uomini scarseggiano. I Tavecchio d’Italia, però, ci ricordano le nostre di responsabilità: come società abbiamo tollerato il tramonto dell”hombre vertical’, le donne e gli uomini che mettano davanti a tutto e tutti la propria faccia, la propria dignità.

Vale tutto e sempre più spesso non vale niente.

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