La voce è pacata e appassionata al contempo. Si percepisce che ciò che fa non lo fa in modo frivolo, o superficiale. La parlantina è serrata. Ha palesemente tutto ben chiaro nella testa e lo squaderna senza tentennamenti. Paolo Borgognone è uno storico indipendente dal piglio filosofico. O, forse, meglio sarebbe dire un filosofo che rilegge la storia. Alieno alle facili dicotomie da militante (destra/sinistra, fascista/antifascista), egli è piuttosto un entomologo. Osserva e, successivamente, trae le debite conclusioni. Legge libri e giornali, senza sosta. Cataloga ogni informazione. È attento. Non trascura di decifrare tra le righe. Quando decide di trattare un argomento, dal fenomeno Trump alla Russia di Putin, ne riscrive sempre la storia evitando di ricadere nelle narrazioni mainstream ufficiali. I suoi interessi ruotano intorno a eventi a noi prossimi e alle varie declinazioni concrete assunte dal neoliberismo. In questo filone si inserisce Generazione Erasmus, Oaks Editrice, 2017, il cui sottotitolo non lascia adito a dubbi in merito alla sua valutazione del fenomeno: I cortigiani della società del capitale e la «guerra di classe» del XXI secolo. Siamo andati a intervistarlo per comprendere meglio cosa ci sia di paradigmatico in questa generazione, tanto da poterla prendere a pretesto per un libro.
Come definiresti, in breve, la generazione Erasmus a cui hai dedicato questo lungo e intenso volume?
La definirei l’esito politico-antropologico del modo di produzione postmoderno (flessibile). La categoria è chiaramente apologetica e forgiata ad hoc dal circo giornalistico mainstream, al fine di glorificare i processi di sradicamento e precarizzazione di massa. Nel libro io li descrivo come teenager globalizzati, il cui orizzonte di vita principale sembra essere quello della vacanza permanente, del divertimento inteso come adesione sic et simpliciter alle mode liberal americane in fatto di stili di vita, consumo e disincanto generalizzato. E direi che la narrativa imperante, tesa alla loro strenua difesa, è una strategia delle classi dominanti volta a conferire legittimità simbolica al regime del capitalismo liberale e della cosiddetta “società aperta”.
La categoria è chiaramente apologetica e forgiata ad hoc dal circo giornalistico mainstream, al fine di glorificare i processi di sradicamento e precarizzazione di massa. Nel libro io li descrivo come teenager globalizzati, il cui orizzonte di vita principale sembra essere quello della vacanza permanente, del divertimento inteso come adesione sic et simpliciter alle mode liberal americane in fatto di stili di vita, consumo e disincanto generalizzato
Qual è lo spartiacque? Quando ha inizio la generazione Erasmus?
Ho collocato questo spartiacque simbolico agli albori della movida spagnola. Era l’epoca della transizione dal regime franchista a una democrazia basata inequivocabilmente su formule ideologiche e contenuti politici riconducibili al capitalismo liberale. Ciò che ne è scaturito è una nuova categoria antropologica, degli “integrati” nell’ambito dei modelli economici e culturali generati dal processo di accumulazione postmoderno. Il regime capitalistico contemporaneo, parafrasando Costanzo Preve, «è di destra in economia (potere del denaro), di centro in politica (potere del consenso) e di sinistra nella cultura (potere dell’innovazione del costume). Lo smantellamento (di sinistra) delle vecchie forme di vita tradizionali, borghesi e proletarie, fatto in nome della modernizzazione nichilisticamente permanente, è funzionale a un allargamento globale del mercato e del connesso potere del denaro che questo comporta (di destra)». I teenager della Generazione Erasmus sono infatti, prevalentemente, di sinistra nella cultura (aderiscono all’ideologia della liberalizzazione dei costumi borghesi), di centro in politica (laddove il “centro” è, per definizione, il luogo d’incontro e mediazione degli interessi propri delle classi medie ideologicamente fedeli allo status quo) e di destra, cioè liberisti, in economia.
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