TaccolaL’Europa della proposta franco-tedesca, l’Italia ce la può fare (pagandola molto cara)

I sei punti della proposta elaborata da 14 economisti francesi e tedeschi vanno dal limite ai Titoli di Stato detenuti dalle banche a nuove regole fiscali che danno priorità al debito rispetto al tetto del deficit/Pil. Tutto razionale ma la tecnocrazia non può sostituire sempre la politica

Da anni le riforme europee si sono impantanate, perché non si è riusciti a dare una risposta comune a una semplice domanda: per l’Europa è arrivato il momento di condividere il rischio o bisogna prima ridurlo? “Condividere il rischio” è la posizione tradizionale dei Paesi della sponda Sud, di cui fanno parte la Francia e l’Italia. “Ridurre il rischio” è la posizione di tedeschi, olandesi e altri Paesi del Centro-Nord. L’impasse è durato anni e uno dei tentativi più seri di superare questa differenza di approccio è venuto nelle scorse settimane da un gruppo di 14 economisti franco-tedeschi, che hanno elaborato per il Cepr, Centre for Economy Policy Research, uno studio dal titolo esplicito: «Riconciliare la condivisione del rischio con la disciplina di mercato: un approccio costruttivo alla riforma dell’Eurozona». Che non si tratti di un semplice esercizio teorico lo dicono i profili dei 14 economisti, che sono indipendenti ma in molti casi molto vicini ai rispettivi governi. Tra loro ci sono Jean Pisani-Ferry e Philippe Martin, ex consiglieri del presidente francese Emmanuel Macron, Clemens Fuest, presidente del tedesco Ifo, Institute for Economic Research, o Isabel Schnabel, membro del consiglio tedesco degli esperti economici.

Ma quali sarebbero le conseguenze per l’Italia se questo sforzo di sintesi di posizioni diverse trovasse una risposta politica e fosse messo in pratica? Linkiesta ha ragionato sui sei principali punti proposti con tre economisti italiani: Nicola Borri (Luiss), Giorgio Arfaras (Centro Einaudi) e Paolo Manasse (Università di Bologna). Ecco le loro risposte.

Le proposte

1) Limiti ai bond per le banche

Il completamento dell’unione bancaria e del mercato dei capitali, attraverso misure che includono l’introduzione di un’assicurazione comune sui depositi, un concetto che è stato discusso a lungo. Proponiamo anche l’introduzione di un addebito per la concentrazione del debito sovrano. Ciò richiederebbe alle banche di accantonare più capitale se l’emissione di debito da parte di un singolo creditore – come lo Stato del Paese d’origine – eccedesse una certa percentuale del loro bilancio. Ciò eliminerebbe il “circolo vizioso” che rende interdipendenti banche e Stati”.

BORRI: «È opportuno che i bilanci delle banche siano diversificati. Chi non vuole limiti ai titoli di uno Stato detenuti dalle banche è perché pensa che non ci possa essere un default. I rischi invece ci sono e la diversificazione ha senso, soprattutto se in cambio si ottiene la banking union: è un obiettivo per noi troppo importante, che dovremmo perseguire. Il punto chiave è il tempo: se il tempo concesso per raggiungere l’obiettivo (nel paper si fa riferimento a una soglia di un terzo rispetto al capitale Tier-One, ndr) è breve, le banche entrano in seria difficoltà. Se fosse di 5-10 anni, non ci sarebbe, per esempio, necessità di aumenti di capitale. Si potrebbe prevedere, per esempio, che alla scadenza di un titolo di Stato italiano se ne debba comprare uno tedesco».

ARFARAS: «Il limite crea problemi per un Paese dove le banche hanno tanti titoli di Stato, ma non è la fine del mondo. Ha assolutamente senso perseguire l’obiettivo di abbassare i titoli di Stato detenuti dalle banche. Se il sistema bancario si riempie di Btp e poi il Btp crolla, per esempio se aboliscono la Riforma Fornero, la banca si ritrova con Btp dal valore abbassato, deve fare aumenti di capitale e non può più fare credito. Ce la faremmo tranquillamente con un orizzonte temporale lungo. La durata media del debito italiano è di sette anni”.

MANASSE: «L’obiettivo è giusto, cioè la diversificazione del rischio. Il meccanismo si può discutere. Un principio di mercato, legato al fatto che tutti i titoli abbiano un costo per il rischio, sarebbe preferibile. Per l’Italia in ogni caso questa misura dovrebbe essere messa in atto in modo graduale. In 3-4 anni sarebbe facilmente affrontabile.

Le banche italiane sono piene di titoli di Stato, soprattutto a partide dal 2011. Possono abbassarli come richiesto dai 14 economisti franco-tedeschi senza che i loro bilanci esplodano? I tre economisti sentiti da Linkiesta non hanno dubbi: sì, purché sia loro dato un tempo ragionevole, di almeno 5 anni

2) Addio 3%, tagli al debito nominale

Una nuova regola di spesa in sostituzione dei criteri di deficit di Maastricht. La regola di Maastricht, in base alla quale il deficit di bilancio di uno Stato membro non dovrebbe superare il tre per cento del proprio prodotto interno lordo, deve essere riformata. Nei momenti difficili manca di flessibilità e in tempi buoni manca di mordente. Dovrebbe essere sostituito da una nuova, più semplice regola sulla spesa. Il monitoraggio del rispetto della norma dovrebbe essere devoluto a controllori fiscali nazionali indipendenti, controllati da un’istituzione indipendente dell’Eurozona. I governi che violano la regola sarebbero tenuti a finanziare le spese in eccesso utilizzando delle obbligazioni junior (obbligazioni di responsabilità)”.

Nel paper si specifica che ogni anno il concilio fiscale nazionale di livello nazionale proporrebbe un obiettivo di riduzione del debito a medio termine (per esempio di cinque anni), che dovrebbe essere sottoposto all’approvazione del controllore europeo. L’obiettivo non sarebbe ancorato a una formula ma dipenderebbe dalla distanza dall’obiettivo di lungo periodo del rapporto debito/Pil del 60% e dalla sostenibilità fiscale assicurata dalle riforme. Come riferimento si terrebbe la spesa nominale, calcolata al netto del pagamento degli interessi e della spesa per i sussidi di disoccupazione.

BORRI: «Ci sono pro e contro. Il pro è che si supera la regola del deficit/Pil, per la quale quando c’è una recessione il Pil scende ed è complicato rispettare il debito. La proposta di porre dei limiti al Pil nominale semplifica la regola. Ma pensiamo all’esperienza degli Usa: l’esistenza di un vincolo nominale fa sì che si arrivi a momenti in cui il limite deve essere sforato, per esempio nel caso della spesa necessaria per salvare una banca, e si arriva ad automatismi come lo “shutdown” delle attività. Il contro principale è proprio la eccessiva rigidità. Se uno Stato sfora perché la spesa pubblica non viene tenuta sotto controllo è un conto, se un Paese è colpito dal terremoto è un altro. È come colpire un imprenditore in difficoltà facendogli pagare di più il finanziamento a prescindere dalle cause.

ARFARAS: «Mi piace. Quando nasce Maastricht il vincolo del 3% viene fissato sulla base di una crescita del Pil nominale del 5% (3% reale e +2% di inflazione), mentre il debito di riferimento del 60% era quello di Germania e Olanda. La nuova regola sembra tenere più conto del ciclo economico, perché prevede l’eccezione dei sussidi di disoccupazione. Dovrebbe tenere fuori anche gli investimenti. I bond subordinati sarebbero valutati dal mercato. Se lo sforamento fosse giudicato temporaneo lo spread rimarrebbe basso, si alzerebbe se le prospettive fossero di sforamento di lungo termine».

MANASSE: «È positivo superare regole attuali su cui è difficile trovare un accordo, come sull’output gap, e possono essere pro-cicliche. L’idea di semplificare le regole è condivisa da tutti. Ed è positivo concentrare l’attenzione sul debito. Il punto fondamentale, tuttavia, è che, invece che fare i conti con i “watchdog” europei ogni anno, bisognerebbe fissare un obiettivo a 3-4 anni e poi vedere i risultati dopo quel periodo. Sarebbero garantite sia la solvibilità del debito che l’indipendenza fiscale. Le decisioni su spese e tasse deveono essere lasciate alle singole nazioni. Sembra che invece abbia prevalso la sensibilità tedesca di un controllore occhiuto che controlla ogni anno; è un aspetto invasivo e inefficiente.

3) Niente salvataggio per chi ha troppo debito

“Porre le basi per una ristrutturazione del debito ordinata per i Paesi la cui solvibilità non può essere ripristinata con fondi condizionali di salvataggio. Le politiche e le condizioni del fondo ESM devono garantire che i Paesi con livelli di indebitamento insostenibile non ricevano alcun credito di salvataggio”.

BORRI: «A questo punto bisognerebbe opporsi. O partiamo tutti dallo punto o non ha senso. Si dovrà applicare quando tutti avremo un rapporto debito/Pil del 60 per cento».

ARFARAS: «Sembra soprattutto una posizione di principio. Un eventuale “avvocato” dell’Italia ricorderebbe che il nostro avanzo primario è positivo, avrebbe molti argomenti da contrapporre a questa impostazione».

MANASSE: «È giusto esplicitare che non ci sarebbero bail-out per Paesi con livello di indebitamento insostenibile. Oggi non è esplicitato e si creano degli incentivi distorti. È condivisibile il principio secondo cui prima di ricevere assistenza bisogna aver fatto una ristrutturazione dei debiti».

Superare il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil? Una buona notizia per tutti e tre gli economisti sentiti da Linkiesta. Così come il guardare prioritariamente alla riduzione del debito nel medio periodo e l’esclusione della spesa anticiclica come quella per i sussidi di disoccupazione. Ma il rischio è un’applicazione rigida delle regole a prescidenre dalle cause delle crisi

4) Un fondo per la disoccupazione in caso di crisi

Un nuovo fondo comunitario a sostegno dei singoli Paesi che stanno vivendo una crisi su vasta scala. I Paesi membri verserebbero le quote in un fondo, con i Paesi particolarmente soggetti a gravi perturbazioni economiche che pagherebbero contributi sproporzionati. Se l’occupazione precipita e/o la disoccupazione supera una soglia elevata e fissa, il Paese in questione può attingere al fondo”.

BORRI: «Non c’è niente di male a prevedere contributi sproporzionati in base al rischio, è il principio con cui funziona il Fondo Monetario Internazionale. A noi piuttosto servirebbe che l’aiuto fosse previsto non solo in caso di “crisi di larga scala” ma anche di semplice ciclo economico negativo.

ARFARAS: «Ha senso come regola, come accade con le assicurazioni delle auto, che costano più nelle città dove ci sono più incidenti. Se non succede niente i soldi restano lì. Si potrebbe ipotizzare un sistema bonus-malus».

MANASSE: «Il fondo sarebbe come un’assicurazione con quote diverse in base al rischio. È un principio condivisibile che evita che questo fondo sia vissuto come un trasferimento di denaro da un Paese all’altro. Aggiungerei che bisognerebbe considerare non una soglia assoluta di disoccupazione ma lo scostamento rispetto alla media storica di un Paese per poter attingere a un fondo, sempre per rendere non sistematici i trasferimenti da un Paese (come la Germania) all’altro.

5) Il bond sintetico per l’Eurozona

Un titolo sintetico per l’Eurozona che offra agli investitori un’alternativa alle obbligazioni sovrane. Diversificare e suddividere l’attività in una tranche senior e una subordinata renderebbe la tranche senior di questo nuovo prodotto finanziario – esplicitamente non Eurobond – un prodotto di investimento particolarmente sicuro. Gli Stati membri non sarebbero responsabili in alcun modo”.

BORRI: «È un punto positivo. È come la costruzione di un prodotto strutturato. Si crea un titolo che ha come sottostante gli altri altri titoli. La domanda dei vari asset aumenterebbe. L’impatto sarebbe positivo».

ARFARAS: «È uno strumento in più, non dobbiamo però avere troppe aspettative. È un titolo sintetico e come tale non esiste se non dietro altro. La parte senior, a basso rischio, sarà composta da titoli dei Paesi dal debito sostenibile, la parte junior da titoli di Paesi come Grecia e Italia. Noi entriamo come “cattivi” per via del rating, possiamo solo salire di grado. Ma non è c‘è condivisione dei rischi».

MANASSE: «Servirebbero più dettagli sul funzionamento di questi titoli sintetici. Un’obiezione è che comunque venga articolato, uno strumento unico non è compatibile con l’autonomia dei bilanci nazionali. Questi schemi presuppongono che ci siano o un bilancio unico o un controllo stretto sull’indebitamento dei Paesi, perché è come se gli altri Paesi si impegnassero a finanziare il debito altrui».

«Sui conti pubblici ci può essere anche un cane da guardia tecnico. Quello che importa, però, è la sensibilità con cui si applicherebbero le regole. La parte pubblica deve dire i “sì” e i “no”, la decisione deve essere di un organo politico»


Nicola Borri

6) Eurogruppo diviso tra la Commissione e un watchdog

Riforma delle istituzioni: assegnazione del ruolo di presidenza dell’Eurogruppo alla Commissione. L’Eurogruppo agisce attualmente sia come un decisore politico (“giudice”) sia come un cane da guardia (“procuratore”). Suggeriamo una separazione di entrambe queste funzioni con la creazione di un nuovo cane da guardia fiscale indipendente. Il ruolo di presidenza dell’Eurogruppo potrebbe essere assegnato alla Commissione, seguendo lo schema dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri”.

BORRI: «Ci può essere anche un watchdog tecnico. Quello che importa, però, è la sensibilità con cui si applicherebbero le regole. La parte pubblica deve dire i “sì” e i “no”, la decisione deve essere di un organo politico. Potrà succedere come negli Usa, dove c’è un organismo tecnico indipendente, il CBO, che è una sorta di Corte dei Conti rafforzata; ma dove le decisioni politiche passano dal Congresso.

ARFARAS: «È un’impostazione molto tedesca. I francesi pensano che la politica possa tutto. I tedeschi I tedeschi vogliono avere contropoteri infiniti. Più gli organismi politici sono privati di potetri, più passa il modello tedesco di una politica incatenata alle regole».

MANASSE: «La cosa importante sarebbe tornare a un meccanismo decisionale dove la Commissione sia più importante rispetto agli ultimi anni, in cui è stata marginalizzata (a favore del metodo intergovernativo, ndr). Sono scettico sugli organi indipendenti. Enti come l’Ufficio parlamentare di bilancio esistono e fanno un buon lavoro ma non sono i “watchdog” che devono regolare le politiche. Il punto importante della proposta è sottrarre al negoziato di bassa lega le decisioni e di attribuirle alla Commissione. È inevitabile che ci siano decisioni politiche.

Giudizio complessivo:

BORRI: «Molte delle proposte di questi economisti, che sono tutti seri e preparati, sono in linea teorica condivisibili. Ma viene il dubbio che siano credibili in caso di crisi. L’esperienza ci dice che nelle situazioni di crisi le regole sono piegate per evitare mali peggiori. L’errore maggiore del documento è l’eliminazione di ogni flessibilità. C’è troppa poca considerazione della parte politica».

ARFARAS: «Le differenze tra l’approccio francese, dirigista, e quello tedesco, mercatista, sono profonde e si possono far risalire alle riflessioni e alle condizioni seguite alla Seconda Guerra Mondiale. Nel documento franco-tedesco ci sono dei punti di convergenza, che però sono molto più vicini alla posizione tedesca che a quella francese. Non è necessariamente un male, per noi. Dobbiamo essere filotedeschi, altrimenti vincerà sempre il partito della spesa».

MANASSE: «In generale gli obiettivi sono condivisibili. Tecnicamente si può fare meglio. Spesso ci sono passaggi tecnici che rivelano l’approccio di micro-management tedesco e abbiamo visto non funzionare».

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