«Il ricambio è fisiologico e umano». Il leader del Pd Matteo Renzi lo ha spiegato qualche settimana fa, presentando le liste elettorali del suo partito. Ma la sensazione è che stavolta qualcuno abbia davvero esagerato. Tra debuttanti e dilettanti, il prossimo Parlamento finirà in mano a centinaia di esordienti. Deputati e senatori di prima nomina candidati un po’ da tutti i partiti. Cinque anni fa il 66 per cento degli eletti era alla prima esperienza, un dato già molto alto. Ora il tasso di rinnovamento rischia di essere ancora maggiore. Molto dipenderà dal risultato alle urne, ma secondo alcune stime potrebbe raggiungere il 70 per cento. L’invasione dei principianti. Intanto le competenze e l’esperienza lasciano il posto alla novità. La politica diventa un mestiere da mettere nel curriculum. Magari una professione part time, tra un’occupazione e l’altra.
Il dato è evidente. Una recente analisi dell’Istituto Carlo Cattaneo mette in luce la tendenza al ricambio. Nei collegi uninominali i principali partiti hanno schierato quasi tutti esordienti. Il 75 per cento dei candidati non ha alcuna esperienza parlamentare. Spiccano le percentuali di rinnovamento tra le liste di Liberi e Uguali e Movimento Cinque stelle: con un tasso di debuttanti pari rispettivamente al 92 per cento e all’86 per cento. Percentuali che scendono al 57,5 per cento nel caso del centrosinistra. E poco di più nel centrodestra, che nei 346 collegi uninominali schiera 261 esordienti. In questo caso c’è però una spiegazione, raccontano gli esperti. Centrodestra e centrosinistra controllano già un numero di seggi sicuri. Possono candidare i dirigenti con maggiore esperienza dove sanno di avere più chance di vittoria, insomma. Lasciando agli ultimi arrivati le sfide più difficili. È lo stesso motivo che spiega l’alta percentuale di novità tra i candidati di LeU. Sapendo che quasi ovunque sarà impossibile conquistare un seggio, la lista di sinistra si può “permettere” di candidare i volti meno noti.
«Il ricambio è fisiologico e umano». Il leader del Pd Matteo Renzi lo ha spiegato qualche settimana fa, presentando le liste elettorali del suo partito. Ma la sensazione è che stavolta qualcuno abbia davvero esagerato. Tra debuttanti e dilettanti, il prossimo Parlamento finirà in mano a centinaia di esordienti. Molto dipenderà dal risultato alle urne, ma secondo alcune stime il tasso di rinnovamento potrebbe raggiungere il 70 per cento. L’invasione dei principianti
In realtà anche nei collegi plurinominali il tasso di innovazione nel reclutamento dei candidati è piuttosto elevato. Qui i candidati alla prima esperienza rappresentano il 79 per cento del totale. 1561 su 1979. Certo, come mostra l’analisi dell’Istituto Cattaneo, gli esordienti sono spesso nelle ultime posizioni delle liste. Con meno possibilità di essere eletti. Eppure la presenza delle new entry è imponente: Fratelli d’Italia schiera il 95 per cento di candidati esordienti, la Lega il 93 per cento e Liberi e Uguali l’85 per cento. Per i politici più esperti questa campagna elettorale è stata un bagno di sangue, molti di loro sono stati sacrificati sull’altare del rinnovamento. «Quando vai a chiudere un elenco con meno spazi di prima c’è amarezza e dispiacere» ha ammesso Renzi. Il segretario dem non ha esitato a definire «devastante» l’esperienza di comporre le liste elettorali facendo fuori un gran numero di parlamentari uscenti. Nel prossimo Parlamento i deputati e senatori con più anzianità di servizio saranno una rarità. All’uninominale i candidati che hanno cinque o più legislature alle spalle si contano sulle dita di una mano. Il più longevo è Pier Ferdinando Casini. Se conquisterà il seggio nella sua Bologna potrà festeggiare la decima esperienza in Parlamento, trentacinque anni dopo il suo primo ingresso a Montecitorio. Nei collegi plurinominali ci sono in totale una quarantina di parlamentari di lungo corso, quelli che possono vantare almeno quattro legislature alle spalle. Non sono poi così tanti. Spiccano Massimo D’Alema, Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Emma Bonino e Roberto Calderoli, tutti con sette legislature nel curriculum.
Secondo uno studio dell’Istituto Carlo Cattaneo, anche nei collegi plurinominali il tasso di innovazione nel reclutamento dei candidati è piuttosto elevato. Qui i candidati alla prima esperienza rappresentano il 79 per cento del totale. 1561 su 1979
Aria fresca, si volta pagina. Ma è davvero necessario? La prima conseguenza di quest’ondata di nuovismo non sembra particolarmente rassicurante. Gli italiani eleggeranno schiere di parlamentari che neppure conoscono. L’introduzione dei collegi uninominali doveva riavvicinare i cittadini alla politica, ma rischia di allontanarli ancora di più. Questa campagna elettorale dà visibilità solo ai leader e ha tolto dalla scena i candidati meno noti. E così il 65 per cento di chi andrà alle urne, oggi ammette candidamente di non sapere neppure il nome dei candidati presenti nel proprio collegio uninominale. Lo rivela un sondaggio SWG per il Messaggero: il 20 per cento degli elettori conosce il candidato che voterà. Solo il 4 per cento sa chi sono i candidati dei principali partiti che troverà sulla scheda elettorale.
La riconoscibilità dei candidati non è l’unica incognita. Un Parlamento formato da deputati e senatori alle prime armi non rischia di rinunciare a troppe competenze? Va bene il ricambio, ma se davvero il turnover interesserà la stragrande maggioranza degli eletti non si limita la qualità del potere legislativo? Dai debuttanti ai dilettanti il passo è breve. Lo sa bene Pino Pisicchio, parlamentare di lunghissimo corso, stavolta non ricandidato. Pochi anni fa ha dato alle stampe un libro per raccontare la nuova tendenza al rinnovamento. I dilettanti. Splendori e miserie della nuova classe politica. Senza indagare troppo sui limiti degli esordienti, colpisce l’entità del fenomeno. «Le ultime tre legislature all’Assemblea Nazionale francese – si legge – fanno registrare il 37,6 per cento, il 22,87 e il 30,32 di cambiamento. Nella Camera dei Comuni inglese in questa legislatura il tasso di rinnovamento è del 34,92 per cento. Abbastanza alto, considerate le due legislature precedenti: 18,30 e 14,1 per cento». Il confronto è impietoso. In Italia, tra poche settimane, la percentuale di parlamentari di prima nomina potrebbe sfiorare il 70 per cento.