Giulio Mozzi «Il mio miglior pregio? Non scrivere più nulla»

Intervista a Giulio Mozzi, punto di riferimento del mestiere di scrivere in Italia. Consulente letterario per Theoria, Sironi, poi Einaudi e infine Marsilio

Questo è il giardino (1993, Premio Mondello Opera Prima), sorprendente esordio per la mitica casa editrice Theoria, inaugura una nuova stagione letteraria, e diventerà un modello per molti. La felicità terrena (1996, finalista al Premio Strega) e Il male naturale (1998) seguiranno la stessa sorte (anche se con altri editori). Giulio Mozzi, classe 1960, “prende la parola” e fa scuola. Maestro nella prosa breve, sforna Il bambino morto (in La felicità terrena), uno dei racconti più disperati e ossessivi mai scritti. Narratology (in Fiction, 2001) è forse il miglior racconto di una intera stagione letteraria, almeno il più intelligente e impeccabile sul piano stilistico. Praticamente un manifesto di poetica, inarrivabile. Ma già prima, il racconto Amore (in Il male naturale) aveva fatto discutere. Al centro di una interpellanza parlamentare per l’argomento trattato (pedofilia), il libro che lo conteneva fu abbandonato a se stesso dall’editore scomparendo a poco a poco dalle librerie, e tuttavia lasciando il segno e un retrogusto amaro. Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, uscito per Einaudi nel 2001, registra vendite a due cifre, eppure ancora una volta fa da battistrada. Favole del morire (2015) contiene un racconto (Favola del morire) di potenza biblica. Ma Mozzi non è solo uno scrittore. È molto altro: talent scout (ha fatto esordire decine di autori, poi affermatisi), editor, consulente editoriale, docente di scrittura, intellettuale tout court e personalità di spicco sui social.

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