Vedere in un film persone che si drogano non è niente di speciale. Lo è, invece, analizzare i modi con cui i registi cercano di far sentire agli spettatori, per mezzo di trucchi visivi e sonori, gli effetti. Una droga può dare sensazioni confuse: provocare allucinazioni, indurre stati di calore o di freddo improvvisti, sbalzi d’umore positivi. Tutte cose non sempre semplici da rappresentare sullo schermo. E per questo il video realizzato da Philip Brubaker è molto interessante.
Come si spiega, si può scegliere di mostrare sia la visuale interna (il punto di vista di chi assume la sostanza) ma anche quella esterna (la stranezza dei suoi comportamenti agli occhi di chi non è sotto effetto). Terry Gilliam, in Paura e delirio a Las Vegas, cerca di fare entrambe le cose. Ma in molti altri casi, “la presenza di droghe nel film sono una scusa che permette al regista di comportarsi in modo strano”. Per mostrare il bizzarro mondo interiore di una persona che ha assunto una droga, le scelte delle immagini devono essere scollegate, ma in grado di restituire al pubblico le sensazioni del personaggio.
Dal momento che gli stati sono simili (o considerati simili) a situazioni oniriche, i registi si servono degli stessi accorgimenti delle scene di un sogno per definire una scena di droga. Cambiano il ritmo, la velocità, modificano i suoni (a volte assenti, a volte fortissimi, a volte deformati), le luci (spesso sgranate, sfocate, incerte, oppure – a seconda della droga – vivissime).
Alcuni trucchi sono ormai proverbiali: spostare in fretta la telecamera e alzare la musica di sottofondo? Vuol dire sniffare droga. Le pareti si modificano, il pavimento sprofonda stravolgendo l’ambiente circostante? È l’eroina. E ancora: sovrapporre immagini a colori e a suoni vari? Sono gli allucinogeni. Ma la regola generale, l’unica che c’è, è questa: se nessuno degli spettatori si sorprende per la rappresentazione degli effetti di una droga, allora è fatta bene.