Altro che privacy, a salvarci da Facebook sarà l’educazione digitale

Secondo un sondaggio americano le persone chiedono più regolamentazione e maggior tutela della privacy. Eppure tra gli esperti prevale l’ottimismo, perché per ogni aspetto problematico del digitale c'è una soluzione. Per trovarla, servono competenze ed educazione digitale

SAUL LOEB / AFP

Recuperare credibilità e migliorare la propria reputazione sono gli obiettivi delle piattaforme digitali. Le performance economico-finanziarie e il rapporto con gli inserzionisti dipendono soprattutto dal livello di fiducia che gli utenti sono ancora disposti ad accordare. Ecco perché si susseguono sondaggi e interviste per valutare l’atteggiamento delle persone nei confronti dei big tech dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. L’ultimo studio in ordine di tempo è il Tech Media Telecom Pulse Survey di HarrisX. Come riporta il Guardian, dalle interviste di un campione di 2500 americani adulti emerge che la maggioranza delle persone (83%) vuole che le compagnie tecnologiche vengano regolate e che vengano sanzionate in caso di violazione della privacy degli utenti. Inoltre l’84% ritiene che queste società siano considerate responsabili per i contenuti ospitati. In particolare oltre la metà degli intervistati, per la precisione il 53%, pensa che il settore debba essere disciplinato alla stregua di quello bancario e a pensarla così è addirittura il 62% dei baby boomer.

Le ultime vicende hanno condizionato l’opinione pubblica, infatti a novembre dello scorso anno davanti alla stessa domanda, solo il 49% ha dato una risposta affermativa. Secondo il sondaggio di HarrisX gli Americani non considerano Facebook una piattaforma neutrale, perché per il 66% delle persone viene data priorità a determinati contenuti e per il 55% è frequente il pregiudizio politico e la censura. Il 44% pensa che Facebook non si preoccupi della privacy e il 46% è convinto che non protegga le informazioni personali degli utenti. Subito dopo Facebook ad essere criticato è Twitter ma tra i due, il primo social network è considerato responsabile del peggioramento delle condizioni della salute mentale degli utenti per il 44% degli intervistati, contro il 32% di Twitter. Queste percentuali ci portano a considerare altri dati, quelli di uno studio condotto dal Pew Research Center e dall’Elon University’s Imagining the Internet Center. Ad essere interpellati sono stati in questo caso 1150 esperti di tecnologia, di salute e studiosi in generale, che hanno risposto, argomentandola, a questa domanda: “nel prossimo decennio, in che modo i cambiamenti nella vita digitale incideranno sul benessere generale delle persone fisicamente e mentalmente?” In questo caso, l’ottimismo prevale sul pessimismo perché per il 47% ci saranno più benefici che problemi. A pensarla in maniera diametralmente opposta è il 32%, mentre il restante 21% non prevede molti cambiamenti sul benessere delle persone rispetto allo scenario attuale.

Eppure l’ottimismo prevale sul pessimismo perché per ogni aspetto controverso o problematico indotto dall’ambiente digitale viene ipotizzata una possibile soluzione. La tecnologia pone delle sfide più che delle minacce e dobbiamo farci trovare pronti

Tra i benefici apportati dal digitale, il Pew Research Center riporta la possibilità mettere in contatto le persone tra loro, la creazione di relazioni sociali, l’accesso a risorse illimitate e a una miriade di informazioni negli ambiti più svariati e le infinite possibilità economiche offerte a produttori e consumatori. Tra i rischi vi è però il pericolo della dipendenza dal digitale, il sovraccarico di informazioni, l’aumento di emozioni negative come paura e ansia o di dinamiche come insonnia, stress e apatia. Alcuni accusano il Web di essere responsabile di divisioni e sfiducia nel confronto faccia a faccia e dunque nel dialogo in senso lato, senza considerare i rischi per la democrazia e i danni arrecati alla privacy e alla sicurezza, che sono sostanzialmente i temi all’ordine del giorno da settimane. Eppure l’ottimismo prevale sul pessimismo perché per ogni aspetto controverso o problematico indotto dall’ambiente digitale viene ipotizzata una possibile soluzione. La tecnologia pone delle sfide più che delle minacce e dobbiamo farci trovare pronti.

Nel report pubblicato lo scorso 17 aprile, il Pew Research Center riporta le dichiarazioni di molti esperti, tra questi Micah Altman , del MIT, ha evidenziato che molti progressi tecnologici non sono stati distribuiti equamente, tuttavia il potenziale delle innovazioni nel campo dell’informatica, delle scienze dell’informazione, della statistica e delle scienze sociali è enorme e bisogna intervenire per rendere più omogenea la loro diffusione. Grazie al Web è infatti possibile accedere alle pubblicazioni scientifiche e a una miriade di risorse educative ma tale facoltà va resa concreta per il numero più elevato possibile di persone in giro per il mondo. Oltre agli ostacoli di natura tecnica e politica, l’accesso a questi strumenti è reso difficile dalla mancanza di competenze e capacità specifiche. A questo proposito, Alex Halavais , dell’Arizona State University, ha evidenziato la necessità che le persone fin da piccole imparino a capire come interagire con le tecnologie digitali in rete e come usare i social media. È fondamentale capire appena possibile il meccanismo di funzionamento degli algoritmi e delle tecniche di marketing, usate da aziende, governi e altri tipi di organizzazioni. L’opinione pubblica è ormai consapevole dei processi in atto ma il mutevole atteggiamento nei loro confronti non deve far dimenticare l’esigenza che spetta a ciascuno di noi, quella di puntare ad acquisire sempre più competenze per utilizzare in maniera costruttiva i nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia.

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