Adesso forse sì che avremo un Governo, visto che ci dobbiamo attrezzare alla guerra di Usa-Francia-Regno Unito alla Russia per interposta Siria. Un Governo del Presidente, magari, con tutti dentro, perché l’ora è solenne, il Paese non può restare senza guida, il funzionamento delle Camere e bla bla bla. Il che, naturalmente, equivale ad ammettere che l’Italia la governano altri e che l’agenda di Washington ci mette in riga anche quando siamo divisi su tutto. Ma pazienza. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo, com’era scritto nelle pagine dei Promessi sposi che lo stesso Manzoni aveva definito “la notte degli imbrogli e dei sotterfugi”.
Una notte come questa, in cui quei tre grandi Paesi impugnano la bandiera della civiltà, ormai logora e sfrangiata, per insegnare a suon di missili la modestia al Cremlino, che a sua volta accarezza l’idea di accettare il confronto per mostrare al mondo che la Russia è tornata, c’è. Da noi, invece, l’imbroglio sta nel ragionamento che la derelitta sinistra moderata italiana, in fase reattiva contro Matteo Salvini, avanza in queste ore, desiderosa forse di chiuderla con l’agonia e compiere il harakiri finale. Il leader della Lega Nord aveva detto: «Chiedo al presidente Gentiloni una presa di posizione netta dell’Italia contro ogni ulteriore e disastroso intervento militare in Siria».
Anche il Pd, allora, ha lanciato i suoi missili: «Salvini vuole cambiare le alleanze internazionali del nostro Paese?», copyright Maurizio Martina, il segretario reggente. E l’onorevole Andrea Romano, di rincalzo, ricordava che “per la prima volta nella storia del secondo Dopoguerra l’Italia rischia una posizione isolata perché c’è un signore che si chiama Salvini”.
Purtroppo il punto non è questo. E’ chiaro a tutti che gli Usa continueranno a essere il nostro principale alleato in Occidente, che la Nato resterà il nostro principale riferimento nell’ambito della difesa, che la Ue sarà a lungo la nostra casa comune. Certi ancoraggi non si smantellano dall’oggi al domani, anzi: non si smantellano proprio.
L’Italia la governano altri e che l’agenda di Washington ci mette in riga anche quando siamo divisi su tutto. Ma pazienza. Così va spesso il mondo, com’era scritto nelle pagine dei Promessi sposi che lo stesso Manzoni aveva definito “la notte degli imbrogli e dei sotterfugi”
Ma ci sono molti modi per stare dentro le alleanze, soprattutto quando gli alleati non vedono l’ora di menare le mani. Se, come sembrano pensare Martina, Romano e molti altri, l’importante è starci, allora ci dicano se dobbiamo essere felici e contenti dei 30 soldati italiani morti in Afghanistan per partecipare alla spedizione Usa e Nato del 2001, il cui risultato è, finora, di circa 300 mila morti, con 10 mila civili morti o feriti nel solo 2017, roba da leccarsi i baffi perché in calo del 9% (dati Onu) rispetto al 2016 che, quanto a perdite di civili (e bambini, altro che Douma), ha fatto segnare il record. Del dramma afghano non si vede la fine ma va bene così, no? L’importante era restare fedeli alle alleanze.
Allo stesso modo dovremmo essere del tutto sereni sulla partecipazione italiana all’invasione dell’Iraq nel 2003. Che fu partecipazione vera, perché all’inizio non piantammo gli stivali nel deserto ma da subito fornimmo appoggio politico e logistico agli invasori, così bene che gli Usa ci inserirono tra i membri della Coalition of the Willing. Appena quel genio del presidente Bush disse che era tutto finito (“Mission accomplished!”, 1° maggio 2003), ci affrettammo a spedire in Iraq un contingente di 3.200 uomini, dei quali 24 (tra Nassiriya e altri scontri) non tornarono più. Anche l’Iraq produsse splendidi risultati, tipo un’ondata di attacchi terroristici superata poi solo dalle atrocità dell’Isis e, secondo le stime più conservative, circa 400 mila morti, dei quali circa 300 mila civili. Ma noi, come sembrano pensare Martina e Romano, eravamo coi nostri alleati di sempre, quindi tutto bene.
Anche nel 2011, nella guerra contro Gheddafi condotta dalla Nato, tenemmo fede alle alleanze. E non solo concedendo l’uso delle basi militari ma spedendo i Tornado e pure i cacciabombardieri della portaerei “Giuseppe Garibaldi” a scaricare bombe sulla Libia. Roba di cui andare fieri, visti i circa 30 mila morti, la distruzione di un Paese che era il più sviluppato dell’Africa, il caos che ne è derivato, le immense grane che in particolare l’Italia ha ricavato in termini di flussi migratori e le tante altre migliaia di persone che sono morte nel Mediterraneo salpando appunto da una Libia diventata paradiso per i trafficanti di uomini.
Anche nel 2011, nella guerra contro Gheddafi condotta dalla Nato, tenemmo fede alle alleanze. Roba di cui andare fieri, visti i circa 30 mila morti, la distruzione di un Paese che era il più sviluppato dell’Africa, il caos che ne è derivato, le immense grane che in particolare l’Italia ha ricavato in termini di flussi migratori e le tante altre migliaia di persone che sono morte nel Mediterraneo salpando appunto da una Libia diventata paradiso per i trafficanti di uomini.
Se stare nelle alleanze è ciò che davvero conta, allora dovremmo vantarci di quei disastri, ai quali abbiamo partecipato a titolo pieno o quasi pieno. C’è qualcuno che se la sente di dire che sì, Afghanistan, Iraq e Libia vanno bene così, perché non abbiamo tradito gli alleati? Martina, Romano altri, che ci dite in proposito?
Piantiamola, quindi, di discutere di fantomatiche alleanze con la Russia o di tentare il ricattino morale per cui se non segui la corrente sei un traditore dell’Occidente. Il problema non è se stiamo o no coi soliti alleati ma il modo in cui ci stiamo. Come dei servi sciocchi che si fanno coinvolgere ma non osano aprir bocca o come un Paese degno di questo nome, un Paese che ha un’idea del suo posto nel mondo, dei rapporti internazionali e di come questi rapporti influiscano sul suo interesse nazionale?
L’unica ipotesi che ci deve interessare è la seconda. Ed è quella che ci impone di riconoscere che tutte le ultime “imprese” dei nostri tradizionali alleati sono state un fallimento, un enorme spreco di risorse (l’Italia ha speso in Afghanistan quasi 8 miliardi; tenere un marine laggiù per un anno, anche se non esce mai dalla base e non spara un colpo, costa ai contribuenti Usa 4 milioni di dollari) e un gigantesco massacro di vite umane, soprattutto presso i popoli che volevamo beneficare. E’ sovversivo o populista riconoscere tutto questo?
La grande trovata è che non bombarderemo ma garantiremo alle basi americane di funzionare. Il che tecnicamente equivale a: io non sparo ma ti carico la pistola e te la faccio trovare bene oliata. Politicamente invece significa: ti do una mano con la guerra ma per favore non lo dire in giro. Una pena
Sovversivo e populista, oggi, è far finta di niente. Far finta che si possa ancora andar dietro agli Usa e alla Nato tenendo gli occhi chiusi e le orecchie tappate. Far finta che non ci sia, in questo, un problema morale non meno lacerante dell’uso vero o presunto delle armi chimiche in Siria o altrove. Tanto più che star dentro le vecchie alleanze in modo non supino né meschino è possibile. La Germania ha detto che non bombarderà la Siria e nessuno si è sognato di tacciare la Merkel di quinta colonna di Vladimir Putin o di traditrice dell’Occidente.
Si dirà: si, vabbè, ma la Germania è la Germania. Certo. Ma noi siamo l’Italia, un Paese pieno di basi Nato e di bombe atomiche americane. Siamo noi quelli distesi nel Mediterraneo, a un passo dall’area del potenziale conflitto tra Usa e Russia. Dovremmo essere i primi ad avere un’opinione forte, seria e precisa. E invece siamo ai soliti sofismi, ai giochi di parole che servono a dire nulla perché per dire qualcosa serve un minimo di palle.
La grande trovata è che non bombarderemo ma garantiremo alle basi americane di funzionare. Il che tecnicamente equivale a: io non sparo ma ti carico la pistola e te la faccio trovare bene oliata. Politicamente invece significa: ti do una mano con la guerra ma per favore non lo dire in giro. Una pena.