Dopo che il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha prima annunciato e poi ritirato un provvedimento sui fattorini delle piattaforme online, la giunta regionale del Lazio ha approvato – a tempo di record – una legge che ne disciplina aspetti lavoristici e previdenziali. Secondo Michele Tiraboschi, “toccando (anche) elementi dell’ordinamento civile e dei contratti di lavoro di competenza dello Stato, la legge è incostituzionale. Senza parlare della giungla normativa se solo ammettessimo leggi diverse per ogni Regione”. Di questo problema, lo stesso Zingaretti è pienamente consapevole. Tant’è che, intervistato da Radio 24, ha dichiarato: “innanzitutto è stata una provocazione perché era utile dare un segnale politico che qualcuno apriva le danze… Per come l’abbiamo scritta io credo che, anche se la competenza è statale, la legge si muova in ambiti che ne garantiscono l’efficacia quindi mi auguro che non venga impegnata. Ma comunque se questa nostra proposta aiuterà l’avvio di un dibattito nazionale ne siamo contenti”.
Nel merito, la legge è discutibile sotto diversi profili. Ma è il metodo a lasciare interdetti. Zingaretti non è un semplice politico: è un presidente di regione. Non ha solo il diritto di perseguire la sua linea politica, ma anche il dovere di amministrare – in scienza e coscienza – la seconda regione italiana per popolazione e Pil. Quando assume incarichi di governo, un politico guadagna la possibilità di incidere concretamente sul tessuto sociale ma perde, o almeno dovrebbe perdere, un poco della sua libertà di provocare. Le provocazioni sono utili stimoli intellettuali ma, appunto, pessimi strumenti di governo. Purtroppo, la norma di Zingaretti sui rider non rappresenta né il primo, né l’unico né il più grave caso di legge approvata anche se chiaramente inapplicabile o illegittima (altri esempi recenti sono la cosiddetta Airbnb Tax, introdotta l’anno scorso, o le bozze inizialmente circolate, e poi fortunatamente non confermate, dall’attuale inquilino del Mise).
Nel merito, la legge è discutibile sotto diversi profili. Ma è il metodo a lasciare interdetti. Zingaretti non è un semplice politico: è un presidente di regione. Non ha solo il diritto di perseguire la sua linea politica, ma anche il dovere di amministrare – in scienza e coscienza – la seconda regione italiana per popolazione e Pil
Questa prassi è una delle tante cause della percezione dell’Italia quale paese giuridicamente inconoscibile: come una specie di paese delle meraviglie nel quale tutto è e, al tempo stesso, non è. L’incertezza normativa è chiaramente identificata in letteratura come uno dei principali freni alla crescita economica: essa ostacola la concorrenza, genera contenzioso, impedisce l’innovazione. La confusione del quadro giuridico determina conseguenze particolarmente nocive quando colpisce settori (e periodi) che sono al centro di profonde innovazioni tecnologiche e organizzative. Se è vero che la stagnazione della produttività italiana affonda le radici nelle politiche di chiusura al cambio tecnologico (anziché governo dei suoi effetti) degli ultimi decenni, allora la creazione di un contesto opaco e privo di riferimenti ne è un elemento determinante.
Le scelte dei policymaker, infatti, hanno conseguenze di lungo termine nei confronti di future innovazioni relative a prodotti o a servizi. Le decisioni semplicistiche non permeano e non modificano i “fondamentali”, fallendo e facendo fallire le economie nelle quali sono adottate. Alimentando la percezione che qualunque problema, non importa quanto complesso, possa essere risolto da chiunque, non importa quanto titolato a farlo, attraverso l’adozione di un atto normativo, non importa quanto sbilenco, questi comportamenti finiscono per mettere benzina nel fuoco del populismo. In fondo, una possibile definizione di populismo sta proprio nella presunzione che merito, competenza e studio non contino nulla: come se l’attività di governo fosse un mero esercizio estetico, e non un compito faticoso e impegnativo che obbliga a misurarsi con questioni complesse e con innumerevoli vincoli all’azione.
Se l’innovazione investe ogni campo della vita, del lavoro, della produzione e della società, ogni decisione va adottata prefigurando gli effetti sui mercati, i vantaggi per i consumatori e la concorrenza, le conseguenze ambientali e persino esplorandone le implicazioni etiche. Liquidare tutto ciò a mera provocazione è offensivo per gli elettori che hanno dato fiducia, prima ancora che per la carica istituzionale occupata. Quando Lenin fece la famosa battuta sulla cuoca, era perfettamente consapevole del paradosso contenuto nelle sue parole. Non si sarebbe mai sognato di trasformare la provocazione retorica in decisione concreta. Dio ci salvi da chi non capisce l’ironia.