Bisogna rimettere i fatti davanti alle parole (e per farlo serve un buon storytelling)

Nell'era della post-verità non bisogna dimenticare che una buona narrazione può trasmettere valori e migliorare la società. Se si vuole combattere gli storytelling di un certo tipo, occorre trovare il modo di raccontare i fatti in maniera efficace senza distorcere la realtà

Di tanto in tanto si sente parlare di storytelling, ma una narrazione efficace può davvero contribuire a cambiare la società? Post-verità è stata la parola dell’anno del 2016 secondo Oxford Dictionaries, dal momento che i fatti risultavano via via sempre meno incisivi nel contribuire a formare le opinioni delle persone. Molto più determinanti erano invece contenuti con un forte impatto emotivo. Chi proponeva numeri e dati a sostegno delle proprie idee veniva inevitabilmente superato da chi puntava sulle emozioni del proprio pubblico. A distanza di due anni si continua a parlare di post-verità e nelle varie forme di comunicazione si riscontra ancora una tendenza a puntare sulle emozioni e sul coinvolgimento delle persone.

Dobbiamo quindi rassegnarci al declino dei fatti? Evidentemente no e ancora una volta può correre in aiuto proprio lo storytelling. Frasi a effetto e immagini possono colpire nell’immediato ma fatti, eventi e dati collocati all’interno di una sapiente narrazione possono fare ancora la differenza. Lo scorso 27 giugno è stato pubblicato un articolo di Garth Japhet e Warren Feek, sul World Economic Forum dall’evidente titolo “in che modo lo storytelling può essere una forza per il cambiamento sociale”, che sostiene proprio questa tesi. Gli autori elencano una serie di esempi di narrazioni che hanno contribuito a creare consapevolezza su un fenomeno oppure a incentivare determinati comportamenti sociali. Molti studiosi ritengono ad esempio che “la capanna dello zio Tom” pubblicato da Harriet Beecher Stowe nel 1852 abbia contribuito a modificare le opinioni in tema di schiavitù.

Gli aneddoti da annoverare sono molteplici, le religioni si basano su uno storytelling ante-litteram, quindi non si tratta di una tendenza temporanea e soprattutto, gli ambiti di applicazione sono molteplici. Vi sono trasmissioni televisive che mirano a stimolare certi comportamenti, alcune iniziative puntano a educare letteralmente le persone affinché acquisiscano determinati atteggiamenti e non altri. Sul World Economic Forum viene ricordato che diversi ricercatori hanno dato basi scientifiche al potere della narrazione, perché descrivere un’immagine, un profumo o una scena in maniera dettagliata e coinvolgente, equivale quasi a far vivere quell’esperienza. Uno degli autori dell’articolo, Warren Feek, fa parte di The Communication Initiative, una vera e propria rete che adopera i media e le strategie comunicative per attuare iniziative contro la povertà e per prendere misure su altri grandi problemi grazie all’apprendimento, al dialogo e alla condivisione. L’idea di base è che uno storytelling efficace, che unisce i fatti in una cornice narrativa adatta, possa contribuire a divulgare norme, diffondere valori e in senso lato, a migliorare la società.

Lo storytelling però non ha in sé né un’accezione positiva né negativa. Le strategie comunicative che ne sono alla base possono variare ma è il messaggio che conta. In altre parole, una comunicazione può essere buona e veicolare un messaggio sbagliato, viceversa una narrazione può non essere efficace pur trasmettendo un concetto giusto e condivisibile

Da anni ormai lo storytelling viene applicato a varie discipline per rendere più proficua la comunicazione. Se a usarlo è un imprenditore, servirà a rendere più appetibile un prodotto per i consumatori o a favorire un brand rispetto alla concorrenza. In politica la narrazione è funzionale alla propaganda. In generale però, ogni volta che vogliamo veicolare un messaggio, dobbiamo prestare attenzione al modo in cui lo facciamo, in altre parole dobbiamo contestualizzarlo e costruire una cornice di senso che renda quelle parole significative e destinate a essere ricordate.

La scorsa settimana abbiamo ricordato alcune riflessioni di George Lakoff sulle sofisticate tecniche comunicative usate dal quarantacinquesimo presidente Usa. Lo storytelling però non ha in sé né un’accezione positiva né negativa. Le strategie comunicative che ne sono alla base possono variare ma è il messaggio che conta. In altre parole, una comunicazione può essere buona e veicolare un messaggio sbagliato, viceversa una narrazione può non essere efficace pur trasmettendo un concetto giusto e condivisibile. La questione non è affatto di poco conto, perché spesso ciò che viene ascoltato più di frequente viene ritenuto giusto, opportuno e prevale quindi sul piano culturale. Nella società odierna l’idea dominante sembra essere quella della chiusura, della paura dell’altro e di chi è diverso da noi. Si parla di nuovo di confini, frontiere, dazi e in politica la generica etichetta di populismo sta cedendo il passo alla più netta categoria del sovranismo declinata in protezionismo nell’ambito economico. Nonostante i fatti dicano che non conviene penalizzare prodotti stranieri e i numeri dimostrino che non vi è affatto una invasione di immigrati, la tendenza della società è chiara. Può dunque servire uno storytelling efficace a rendere i fatti di nuovo rilevanti e a proporre una visione alternativa? La risposta a questa domanda, almeno sul piano teorico, non può che essere affermativa.

X