È stato un periodo intenso dal punto di vista geopolitico, con i movimenti e le parole del presidente Trump sotto i riflettori. Il suo stile divide et impera potrebbe essere paragonato a quello degli antichi romani, se non fosse che loro dividevano gli amici, non gli alleati. Trump, infatti, ha bacchettato gli europei, alleati nella NATO, e si è mostrato vicino a Putin. Il tutto mentre il Parlamento USA ribadiva la centralità dell’alleanza atlantica e nessuno, nemmeno il presidente, ha parlato di togliere sanzioni alla Russia. Qualunque sia il fine della politica estera della presidenza attuale – ammesso che ve ne sia uno – resta comunque una nota comune a tutti gli alleati USA: non si capisce se ci possiamo contare più. Qualcuno, come i tedeschi, lo dice esplicitamente; altri, magari con meno enfasi sui media europei, votano con i piedi, come dice un detto inglese. Mentre tutti stavano leggendo parole e revisioni sui tweet del biondo presidente, la Cina si muoveva per assicurarsi vie marittime strategiche, sia dal punto di vista del commercio che, in alcuni casi forse in prospettiva, da quello militare.
Alcuni anni fa Pechino si è assicurata una base navale militare nel Djibouti, piccolo Paese africano con un porto strategico davanti alla penisola araba, che ha ospitato basi navali europee ed americane per decenni proprio per la sua posizione strategica. I cinesi hanno investito molto per questa base, soprattutto considerato il piccolo PIL del Paese che la ospita. Dall’altra parte della penisola araba, i cinesi hanno recentemente scritto accordi con l’Oman, i cui porti sono parte della storica via della seta, e il Kuwait, Paese che, dopo la liberazione dall’Iraq nella prima guerra del Golfo, aveva sempre gravitato nella sfera americana.
Adesso prendete una cartina e cercate i siti appena menzionati: la Cina si sta assicurando porti strategici intorno alla penisola araba, sia ad ovest, verso il Canale di Suez, che ad est. Nella parte sud est in Oman, a nord est, vicinissimo all’Iran, in Kuwait. Che cosa può aver portato l’emirato liberato dagli americani a gravitare sempre più vicino all’orbita cinese?
Il Paese arabo ha da poco concluso un accordo che mette il proprio progetto “Vision 2035”, che prevede lo sviluppo di porti e città nel nord del Paese, con l’iniziativa Belt and Road cinese. L’Emiro del Kuwait si è recato a Pechino e, mentre tutti erano distratti dai movimenti del presidente americano, ha annunciato la conclusione dell’accordo che era stato negoziato già da mesi tra la scarsa attenzione di tutti. Una parte importante del progetto per il 2035 dell’emirato è lo sviluppo della “Città della seta”, da costruire sulla costa dove ora ci sono deserto ed isole. Il cuore del progetto sarebbe infatti la costruzione di un porto sull’isola più grande del Kuwait.
Adesso prendete una cartina e cercate i siti appena menzionati: la Cina si sta assicurando porti strategici intorno alla penisola araba, sia ad ovest, verso il Canale di Suez, che ad est. Nella parte sud est in Oman, a nord est, vicinissimo all’Iran, in Kuwait. Che cosa può aver portato l’emirato liberato dagli americani a gravitare sempre più vicino all’orbita cinese? Sicuramente le considerazioni sono state molteplici, non ultima l’intenzione mai negata di sostituire Dubai come hub dell’Arabia post petrolifera. La questione principale deve però essere stata l’incertezza di non poter contare sugli americani. In mancanza di affidabilità dei vecchi amici, in altre parole, gli arabi ne hanno cercati di nuovi, e li stanno trovando in Cina.
L’Europa intanto cerca se stessa e magari tra alcuni anni piangerà sul latte versato di un’incapacità di agire lasciando aree di influenza in Paesi che ci sono storicamente amici ad una potenza emergente che ci sta circondano. Solo il futuro ci dirà se l’abbraccio sarà quello morbido ed amichevole di un panda o quello pericoloso di un drago.