Avviso all’opposizione: usare i toni degli avversari non fa altro che rafforzarli

Quando Trump ha dichiarato la stampa una nemica, i giornalisti hanno negato la sua affermazione riattivando il concetto: esattamente ciò che non si dovrebbe fare. Per fare opposizione bisogna usare il proprio stile e il proprio linguaggio. Una lezione da applicare anche in Italia

SCOTT OLSON / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Da settimane proponiamo la lettura delle tesi di George Lakoff per comprendere le dinamiche comunicative e di formazione dell’opinione pubblica in Italia. Purtroppo anche il dramma di Genova ha confermato questa tendenza. Dopo 25 anni di polarizzazione, adesso siamo al punto più acuto di una stagione basata sul parossismo, sulla faziosità, sul tifo al posto della politica, in un meccanismo diabolico che rafforza le risposte semplificate, le scorciatoie, il continuo rilancio comunicativo senza mai affrontare in profondità i problemi. Proviamo a tornare per una volta a quello che sta accadendo negli USA per capire se ci sono lezioni da applicare in Italia.

In Usa lo scorso 16 agosto centinaia di giornali hanno pubblicato degli editoriali per difendere la stampa libera. Da tempo è infatti in corso un vero e proprio scontro tra la categoria dei giornalisti e Donald Trump, che in più di una occasione ha puntato il dito contro la categoria, accusandola di essere faziosa. Prendendo spunto da questa vicenda Lakoff ha riproposto un articolo scritto più di un anno fa per spiegare come va gestito il confronto con chi si trova su posizioni opposte alle proprie. Nel caso richiamato, il dibattito è tra l’inquilino della Casa Bianca e la stampa ma le considerazioni di Lakoff valgono in generale. La prima lezione da tener presente è che non va mai negata la cornice narrativa del proprio interlocutore, ovvero quel particolare modo in cui vengono declinati gli argomenti per renderli di parte. Infatti, anche solo negare la cornice narrativa dell’altro equivale ad evocarla e quindi paradossalmente a rafforzarla. Quando Trump ha definito la stampa nemica e i giornalisti hanno risposto con l’hashtag not the enemy, ovvero, non un nemico, hanno fatto esattamente ciò che andava evitato. Perché mai chi sa di fare cronaca e di lavorare per portare la verità dei fatti a conoscenza delle persone dovrebbe specificare di non essere un nemico del popolo americano? Chi si fida dei media non cambierà opinione, ma chi è scettico nutrirà più di un dubbio. Quando viene negato un concetto, quest’ultimo viene riattivato e Lakoff per spiegarne il motivo ha richiamato alcune nozioni delle neuroscienze. Inoltre, non bisogna imitare il linguaggio del proprio interlocutore, soprattutto se viene scelto lo scontro e se si usa l’accusa. Un tempo ci si illudeva che i fatti da soli fossero sufficienti a chiarire le cose. Poi abbiamo imparato che le opinioni ormai vengono considerate alla stregua dei dati oggettivi e che se non ci si fida di chi parla, gli argomenti passano in maniera inesorabile in secondo piano. In un contesto dove regnano sospetto, sfiducia e scetticismo, rispondere alle accuse, accettare lo scontro e replicare di volta in volta, rende il dibattito confuso, polarizza l’opinione pubblica e non serve sempre a chiarire davvero le cose. Si dovrebbe usare il proprio linguaggio e adottare il proprio stile, non quello altrui ma soprattutto, per evitare che la conversazione diventi autoreferenziale o per addetti ai lavori, la condizione preliminare di una comunicazione efficace è assicurarsi che le persone siano disposte ad ascoltare.

C’è molto da applicare alla vicenda italiane, non trovate?