Ecco perché finanziare il nostro debito chiedendo aiuto alla Russia è una pessima idea

Il QE di Draghi finirà presto ma il nostro debito pubblico rimane enorme. Per finanziarlo Paolo Savona propone di chiedere supporto alla Russia, Paese che annulla le aste sul proprio debito e ha il rublo sotto pressione. Un'idea che conferma la perenne confusione del governo

TIZIANA FABI / AFP

Il tempismo non è il punto di forza dei membri di questo governo. Mentre impazzava la polemica sull’opportunità del selfie vacanziero e sorridente del ministro Toninelli, a parere di molti stridente con l’eco ancora recentissima della tragedia di Genova e delle comunicazioni al riguardo alle Camere fissate solo per la prossima settimana, ecco che a infiammare il dibattito politico ci ha pensato il ministro dei Rapporti con l’UE, il professor Paolo Savona, già al centro della disputa fra M5S e Lega da un lato e Quirinale dall’altro, con coté di annunciata richiesta di impeachment contro il presidente Mattarella, presto scioltasi come neve al sole. La Stampa riportava infatti il Savona-pensiero riguardo l’annoso dibattito sul nostro debito pubblico e sulla sua gestione post-QE, aperta di fatto in maniera abbastanza clamorosa nel fine settimana dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, il quale in un’intervista con Il Messaggero auspicava un’estensione del programma di acquisto della BCE come schermo contro attacchi speculativi, riconoscendo un tratto da vera e propria assicurazione sulla vita all’operato dell’Eurotower. La stessa, giova ricordarlo, tacciata di intelligenza con il nemico da M5S ma anche dal partito dello stesso Giorgetti, poiché rea di aver fatto sponda all’opposizione del Quirinale verso Savona attraverso la diminuzione degli acquisti di BTP per sostanziare un aumento artificiale e tutto politico dello spread nel mese di maggio. E cosa ha detto il ministro del “piano B”, relativamente al nostro debito? Che senza scudo BCE, di fatto la garanzia chiesta a Francoforte anche dall’altro sovranista tout-court Claudio Borghi, l’Italia dovrà immaginare un’alternativa esterna, “magari sotto forma di garanzia russa, un’ipotesi che stiamo esaminando”. Insomma, se il complottista Draghi non forzerà i termini statutari del QE, arrivando di fatto alla guerra totale con la Bundesbank a fine mandato, il Tesoro busserà alla porta del Cremlino, presentandosi poi sui mercati internazionali con la credenziale di un “mi manda Putin” che dovrebbe aprirci le porte del finanziamento a prezzi calmierati, ovvero senza premio di rischio commisurato alla nostra realtà macro, di fatto ciò che indica lo spread con il Bund. Idea di per sé abbastanza balzana politicamente, come fatto notare nell’editoriale del direttore de Linkiesta ma che, al netto delle interpretazioni tutte italiane del concetto di sovranismo ricucciano per conto terzi, si scontra con un paio di realtà fattuali, decisamente sgradevoli per le intuizioni da scatola della ACME di Will Coyote delle menti economiche del governo (Giorgetti a parte, non a caso voce solitaria nel deserto). La prima realtà è strettamente connessa al concetto di timing espresso in apertura di articolo. Quando l’eco delle parole di Savona era appena uscito dalle rassegne stampa e faceva il giro di Twitter, ecco che il ministero delle Finanze russo emanava un bel comunicato ufficiale, il cui testo era tanto breve quanto esemplificativo dei tempi che corrono: “Le aste di OFZ (i titoli di Stato russi, ndr) previste per il 22 agosto non si terranno. La decisione è dovuta all’aumento delle volatilità sui mercati finanziari ed è soggetta ai suggerimenti di frequenti partecipanti alle aste. Le quali torneranno regolarmente una volta ritrovata una stabilizzazione sul mercato del debito”. Ovvero, chissà quando. Settembre? Ottobre? Inizio 2019? Insomma, quello che nelle intenzioni del ministro dei Rapporti con l’UE dovrebbe essere il risolutivo “acquirente marginale”, per usare la definizione scelta da Goldman Sachs nel suo ultimo report relativo all’eurozona post-QE, dal quale si desume che l’anno prossimo l’80% delle nostre nuove emissioni di debito dovrà essere assorbito da soggetti privati esteri per pareggiare l’assenza degli acquisti pressoché primari e secondari della BCE degli ultimi trimestri, come mostra il grafico sotto, ha appena annullato aste del PROPRIO debito per condizioni sfavorevoli di mercato.

E, in effetti, questi grafici parlano chiaro:


Se Mosca ha cancellato emissioni per la prima volta da aprile è perché non solo l’OFZ decennale paga un rendimento dell’8,5%, addirittura un livello precedente all’elezione di Donald Trump ma anche che gli yields sovrani russi sono peggiori di quelli del Messico e poco migliori di quelli sudafricani, con il sistema bancario che già subisce il contagio (basti vedere il rendimento del bond 2022 di Sberbank) e il rublo sotto pesante pressione nei confronti del dollaro, anche a causa delle neo-annunciate nuove sanzioni statunitensi in chiave elettorale verso il mid-term di novembre (senza contare il potenziale fall-out politico della condanna di Manafort, ex capo della campagna elettorale di Trump). Insomma, diciamo che ci sono soggetti più solidi di Mosca su cui fare affidamento per riuscire a soddisfare le nostre enormi necessità di rifinanziamento annuale del debito, soprattutto se passerà la linea deficitaria di chi vuole infischiarnese dei vincoli europei, pur di dare vita a una versione anche raffozzanata delle promesse elettorali che rispondono al nome di flat tax e reddito di cittadinanza (la rottamazione delle Legge Fornero è ormai passata in cavalleria).

Anche perché questo grafico ci mostra come, dopo aver liquidato praticamente tutte le sue detenzioni di debito USA (90 miliardi di dollari di controvalore fra aprile e maggio), Mosca a luglio di quest’anno abbia acquistato 839mila once d’oro per diversificare i propri investimenti e allontanarsi (in chiave più politica che strategica, almeno per ora) dal dollaro. Sicuri che dopo aver scaricato debito USA, perché ritenuto rischioso rispetto alla poca remunerazione che offre, il Cremlino sia così intenzionato e felice di comprare il nostro? E qui si presenta la seconda criticità. La BCE, infatti, starebbe già pensando a uno “schermo” per i Paesi più fragili, leggi Italia e Spagna e all’interno del board si parla con sempre maggiore insistenza di una versione europea dell’Operation Twist per garantire la compressione dei rendimenti obbligazionari anche dopo la fine del QE, come fatto dalla FED nel 1961 e poi, soprattutto, nel 2011. Cosa significa? Facendola molto breve e semplificando, rimpiazzare i bond a breve scadenza in maturazione con altri a lunga scadenza, in modo da allungare la durata del portafoglio di detenzione obbligazionaria, ad oggi per un controvalore di 2,6 triliardi di euro. Di fatto, un’operazione chiave per mantenere basso il costo di finanziamento nell’eurozona anche dopo il 1 gennaio 2019. Soprattutto perché, al netto della speculazione, a Francoforte si teme il declassamento e l’espulsione di Deutsche Bank dallo Stoxx 600, l’indice benchmark europeo, quando a inizio settembre si darà vita alla sua revisione in base alle performance di Borsa: l’addio del colosso tedesco all’indice europeo per antonomasia sarebbe un segnale psicologico devastante e prodromico di potenziali scossoni sistemici. Certo, Mario Draghi potrebbe anche andare alla guerra con il rigorismo tedesco, essendo a fine mandato e con la quasi certezza che il suo successore sarà proprio un esponente dei falchi del Nord, tanto più che sia Berlino che Parigi hanno beneficiato ampiamente del QE, soprattutto a livello di acquisti di bond corporate, come mostrano i grafici


Ma se da un lato viene da chiedersi quanto il governatore voglia correre in soccorso di un governo che gli ha fatto la guerra fin dal primo istante di vita, dall’altro si sconta l’ennesima anomalia strutturale. Non più tardi di un mese fa, il premier Giuseppe Conte ha di fatto rotto i ponti non solo con Germania, Francia e Spagna durante la sua visita alla Casa Bianca ma anche con la Russia, non solo acquistando petrolio direttamente dagli USA ma anche appoggiando la scelta – oggi rivelatasi suicida, visto l’annuncio elettorale di Trump di dazi statunitensi del 25% sulle automobili europee – di acquistare più gas naturale liquefatto (LNG) americano, riducendo così la dipendenza energetica dalla Russia. Sicuri che una confusione tale, a livello di linea governativa, su temi centrali come la politica estera e l’approvvigionamento di fonti energetiche sia prodromica alla percezione di una nostra rinnovata affidabilità verso soggetti stranieri? E, soprattutto, Berlino, Parigi e Madrid quali costi accessori chiederanno che Draghi ci imponga per poter usufruire del potenziale “schermo” anti-spread, cui si sta pensando in sede BCE? E il Cremlino, davvero comprerà il nostro debito con il badile (visti i controvalori acquistati in questi anni dalla BCE per tenere artificialmente basso lo spread), dopo la dichiarazione d’amore di Giuseppe Conte verso Donald Trump e le parole del ministro Moavero sulla Crimea? Dubito che il ministro Savona si sia posto queste domande. Forse era occupato, stava già lavorando a un geniale piano C.

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