Ilva, dopo sei anni siamo ancora nel caos, peggio di prima

Altra “settimana decisiva” per il destino dell’acciaieria di Taranto. Sei anni dopo il sequestro del 26 luglio 2012, la fabbrica ha quasi prosciugato tutta la cassa, il risanamento ambientale non c’è stato e molte fette di mercato sono andate perse

Undici decreti, un processo in corso, sei anni e innumerevoli vertici al Mise dopo, il caos Ilva è sempre lì. Anche questa sarà la «settimana decisiva» – parole del ministro Luigi Di Maio – per il futuro dell’acciaieria di Taranto. Il 5 settembre è fissato il primo appuntamento al ministero dello Sviluppo economico. Ed entro la metà del mese il gruppo, commissariato dal 2013 e in amministrazione straordinaria dal 2015, dovrà avere il nome del nuovo proprietario. Anche perché il 15 settembre termina la gestione commissariale (già prorogata dal 30 giugno) e finiranno i soldi in cassa. A sei anni dall’avvio dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”, l’acciaieria funziona a scartamento ridotto e perde 1 milione di euro al giorno, 30 al mese. L’amministrazione straordinaria è ormai agli sgoccioli, poi la cassa andrà in negativo. Con i camionisti che hanno hanno già esaurito il portafoglio per pagare il gasolio e spostare l’acciaio. Intanto 13.522 dipendenti aspettano di sapere che fine faranno, i sindacati hanno proclamato uno sciopero per l’11 settembre e Confindustria minaccia di appoggiare la protesta dei lavoratori in caso di un mancato accordo con ArcelorMittal. Come ha scritto il segretario della Fim Marco Bentivogli sul Foglio, “l’Ilva è lo specchio di un Paese in guerra con se stesso”.

Nessuno finora è riuscito ancora a sbrogliare la matassa dello stabilimento siderurgico di Taranto, conciliando salute e lavoro, ambiente e occupazione. L’acciaieria dei Riva è stata al centro delle attenzioni di governi di ogni colore. Prima del 26 luglio 2012, il famoso giorno x in cui il gip di Taranto Patrizia Todisco sequestra gli impianti dell’area a caldo, già nell’estate del 2010 il quarto governo Berlusconi, con Stefania Prestigiacomo all’Ambiente, aveva varato il primo decreto salva Ilva innalzando i limiti di emissione del benzo(a)pirene. Nel 2012 poi arriva il sequestro senza facoltà d’uso per gli impianti, a cui l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini (governo Monti) risponde con un decreto che consente all’Ilva di produrre per i 36 mesi successivi in attesa di adeguare gli impianti alla nuova Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Con l’apertura dell’inchiesta “Ambiente svenduto”, partono sia la procedura di commissariamento sia la gara per la riassegnazione: sei anni fa.

Nessuno finora è riuscito ancora a sbrogliare la matassa dello stabilimento siderurgico di Taranto, conciliando salute e lavoro, ambiente e occupazione. L’acciaieria dei Riva è stata al centro delle attenzioni di governi di ogni colore

Nell’aprile 2013 i cittadini di Taranto vengono chiamati alle urne per un referendum consultivo sulla chiusura dell’Ilva. Partecipa solo il 19,5% degli aventi diritto, senza raggiungere il quorum. E a Tamburi, il quartiere rosso di polvere minerale, vicinissimo allo stabilimento, l’affluenza è la più bassa della città. Due mesi dopo, a giugno, il governo Letta approva il decreto di commissariamento della società, con la nomina di Enrico Bondi, che pochi mesi prima era stato scelto proprio dai Riva come amministratore delegato, poi succeduto da Piero Gnudi e Corrado Carruba. Finché dal 2015 l’Ilva finisce in amministrazione straordinaria, guidata da un collegio commissariale composto dal trio Gnudi, Laghi e Carruba. A giugno 2017, un anno e mezzo dopo la pubblicazione del bando (gennaio 2016), si conclude la gara tanto discussa per la riassegnazione, aggiudicata dalla cordata AmInvestco con l’avvio la trattativa di acquisizione. Trattativa ancora in corso, con posti di lavoro e bonifiche che continuano a traballare. I sindacati puntano a zero esuberi, ArcelorMittal non va oltre la soglia delle 10.500 assunzioni.

Nel frattempo le proposte per l’Ilva non si sono risparmiate. Nel 2014 Renzi, con il consigliere Andrea Guerra, propone di nazionalizzare l’Ilva per sette anni con l’aiuto di Cdp con l’obiettivo di rilanciare la produzione. Il piano non vedrà mai la luce. Finché i Cinque stelle in campagna elettorale annunciano di voler chiudere del tutto lo stabilimento prima, e poi – una volta arrivati al governo – avanzano dubbi sulla gara, chiedendo il parere dell’Anac, dell’Avvocatura dello Stato e del ministero dell’Ambiente. Con il rischio che sia tutto da rifare e che si debba ripartire dal via. Il 7 settembre Di Maio deve chiudere la procedura amministrativa aperta per verificare la validità della gara, e rendere pubblico il parere dell’Avvocatura richiesto.

Sei anni dopo quel famoso 26 luglio 2012, la fabbrica è sotto sequestro con facoltà d’uso, e senza soldi. Otto operai intanto hanno perso la vita in incidenti sul lavoro. Il risanamento ambientale non c’è stato. E l’Ilva ha visto svanire enormi fette di mercato

Sei anni dopo quel famoso 26 luglio 2012, la fabbrica è sotto sequestro con facoltà d’uso, e senza soldi. Otto operai intanto hanno perso la vita in incidenti sul lavoro. Il risanamento ambientale non c’è stato (i lavori per la copertura dei parchi minerari sono iniziati solo nel febbraio 2018). E l’Ilva ha visto svanire enormi fette di mercato, con l’avanzata dei concorrenti cinesi. Mentre il processo per disastro ambientale è entrato nel vivo delle udienze solo pochi mesi fa.

Dopo un’estate caldissima, tra le accuse del ministro Di Maio sulla illegittimità della gara e l’assegnazione ad Arcelor Mittal, si brancola ancora nel buio a pochi giorni dalla fine della gestione commissariale. Con il risultato di aver creato un inedito scontro sul caso Ilva: il governo Lega-Cinque Stelle da un lato e Confindustria, lavoratori e sindacati dall’altro. Si apre un nuovo capitolo nella drammatica saga dell’acciaieria di Taranto.

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