Ecco perché una Consob senza presidente fa comodo a questo Governo

Nonostante Di Maio avesse assicurato la rapida successione a Mario Nava alla guida della Consob, la Commissione non ha ancora un presidente. Forse perché, tra i suoi compiti, c'è anche quello di segnalare e punire eventuali turbative dei mercati

La saggezza popolare, quando non si riesce a capire con precisione quanto una persona reciti o quanto sia naturale nelle sue non eccelse prestazioni, ricorre alla domanda retorica del “ci è o ci fa”: con il passare dei giorni, questo interrogativo si fa prorompente anche ai più alti livelli istituzionali italiani. Arthur Schnitzler scrisse che “è difficile decidere quando la stupidità assume le sembianze della furfanteria e quando la furfanteria assume le sembianze della stupidità, perciò sarà sempre difficile giudicare equamente i politici” ma c’è qualcosa di scientifico nella capacità di questo governo di infilarsi in potenziali cul-de-sac dagli epiloghi catastrofici. Talmente scientifico da far pensare che a una buona dose di genuina incapacità politica vada unita una propensione interessata al perseguimento della logica del “tanto peggio, tanto meglio”. Quasi si stesse seguendo la sceneggiatura apparentemente sgangherata di un’agenda nascosta che, in quanto tale, necessità di una buona dose di dissimulazione, onde non venire scoperta e tramutarsi nel proverbiale Re nudo.

Ad esempio, ci sono almeno due criticità che questo governo sta affrontando in queste ore febbrili con dilettantismo e leggerezza quasi epocali. Quindi, sospette. Eppure, tutto sembra scorrere normalmente dalle parti del consenso bulgaro che continua a ottenere, di gaffe in gaffe. Era il 17 settembre scorso, quando il vice-premier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, assicurò che la successione a Mario Nava alla guida della Consob sarebbe stata rapida. Per carità, sono passati venti giorni, non mesi ma – in caso l’esecutivo non se ne fosse accorto – i mercati non sono esattamente in luna di miele con il nostro Paese. E, dalla scorsa settimana, nemmeno con il resto d’Europa, visto che l’aumento dei tassi sui bond USA ha avuto come ripercussione immediata una sell-off generale sul comparto obbligazionario globale (nel silenzio totale, fra mercoledì e venerdì della settimana scorsa è stato perso valore di mercato per 876 miliardi di dollari, il peggiore shock dai tempi dell’elezione di Donald Trump) e l’aumento dei premi richiesti ai bond corporate europei, proprio in vista della fine del QE che ha garantito alle aziende un canale di finanziamento extra-bancario.

Luigi Di Maio, assicurò che la successione a Mario Nava alla guida della Consob sarebbe stata rapida. Per carità, sono passati venti giorni, non mesi ma – in caso l’esecutivo non se ne fosse accorto – i mercati non sono esattamente in luna di miele con il nostro Paese

Noi, poi, abbiamo dalla nostra non solo lo spread su Bund tedesco e Bonos spagnoli da tenere d’occhio, quello che il ministro Salvini non deve aver digerito a colazione, visto la retromarcia sul deficit 2020 e 2021 ma anche quello che sui mercati viene definito doom loop, ovvero il rapporto incestuoso fra banche e debito pubblico. Stando agli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi a maggio, in pancia ai nostri istituti di credito c’erano 325 miliardi di controvalore in titoli di Stato, cifra salita e di parecchio nel corso dell’estate, visto che solo a inizio giugno gli acquisti erano aumentati di circa 40 miliardi di controvalore (in ossequio al mantra dei “poteri forti” che farebbero la guerra all’esecutivo penta-leghista). Non a caso, nelle ultime settimane sono partite le prime vendite come reazione all’aumento dello spread, 17 miliardi scaricati dalle nostre banche: le quali, infatti, se cala il valore di quella carta, scontano le perdite a bilancio. E gli aumenti di capitale degli ultimi anni ci dicono che, al netto della BCE, non si nuota proprio nella liquidità. Aziende e famiglie ne sanno qualcosa.

E noi, al netto di un atteggiamento da Don Chiosciotte contro i mulini a vento nei confronti dell’UE, andiamo in guerra con una Consob con il pilota automatico, ovvero senza guida? Certo, non più tardi dell’altro giorno, il Commissario dell’authority di vigilanza dei mercati, Paolo Ciocca, ha rassicurato gli investitori, dicendo che anche senza un presidente, “la Consob è una lucertola con i piedi ben piantati sulla terra” ma, al netto delle belle parole, qualcosa non torna. Persino Giulio Tremonti nell’autunno 2011, quello dello spread impazzito, arrivò ad accarezzare l’extrema ratio di tenere chiusa Piazza Affari un lunedì, temendo la riapertura dei mercati. Possibile che, forti come sono a livello di eccelse menti economiche, al governo nessuno senta il bisogno di avere un riferimento chiaro alla Consob, in vista di più che probabili montagne russe sui mercati da qui all’inverno inoltrato? Eppure, per sua stessa ammissione, c’è anche l’uomo giusto, il professor Antonio Maria Rinaldi, discepolo del ministro Paolo Savona e animatore di un blog anti-euro molto apprezzato, oltre che docente presso il Link Campus dell’ex ministro Vincenzo Scotti. Insomma, un sovranista in Consob dopo un sovranista alla guida della RAI, sarebbe un colpaccio.

Perché non accelerare le pratiche, visto che fu lo stesso Di Maio a parlare di soluzione in tempi brevi, tre settimane fa? Forse perché la Consob ha, fra i suoi compiti, anche quello di segnalare e punire eventuali turbative dei mercati, quelle “parole che fanno danni” evocate da Mario Draghi e che con molta probabilità saranno state anche parte integrante del suo colloquio di mercoledì scorso con il presidente Mattarella?

Perché non accelerare le pratiche, visto che fu lo stesso Di Maio a parlare di soluzione in tempi brevi, tre settimane fa? Forse perché la Consob ha, fra i suoi compiti, anche quello di segnalare e punire eventuali turbative dei mercati, quelle “parole che fanno danni” evocate da Mario Draghi e che con molta probabilità saranno state anche parte integrante del suo colloquio di mercoledì scorso con il presidente Mattarella? In effetti, sarebbe spiacevole dover richiamare un paio di ministri e presidenti di Commissione al giorno per le loro ardite esternazioni a mercati aperti. Forse, meglio rimandare. Tanto, come confermato da Ciocca, la Consob continua a “eseguire con precisione e freddezza i suoi compiti”, tanto che quando gli si è fatto notare proprio la criticità rappresentata dalle esternazioni in libertà degli ultimi giorni (vedi Claudio Borghi sull’euro), ecco che il Commissario se la cava con un laconico “l’obiettivo importante per una autorità di Vigilanza è che le informazioni siano sul mercato. Non è certo compito di Consob andare a dire all’uno o all’altro se parlare o no”. Più chiaro (e disarmante) di così. Intendiamoci, la Consob – non trattandosi di soggetti di mercato, né tantomeno di società quotate o traders che operano su informazioni sensibili – non ha certo potere alcuno sulla politica, tantomeno sull’insindacabilità delle dichiarazioni di parlamentari nell’ottemperanza delle loro prerogative di mandato.

Ma occorre altresì far notare che una presa di posizione dura come quella del presidente della BCE contro la sindrome da esternazione del nostro esecutivo è semplicemente senza precedenti. E anche l’eventuale vulgata complottista che vedrebbe Mario Draghi in combutta con il Quirinale per far cadere il governo in nome dei poteri forti europeisti crolla di fronte al ruolo di acquirente di prima e ultima istanza della BCE del nostro debito pubblico, oltre che di finanziatore a tassi ultra-agevolati di aziende strategiche del nostro Paese (da Enel a Snam a Terna, solo per fare qualche nome) attraverso l’acquisto di obbligazioni corporate in seno al programma CSPP, quello contro cui la Bundesbank era pronta alle barricate (salvo poi rendersi conto che le aziende tedesche ne hanno beneficiato a piene mani, seconde solo a quelle francesi per numero di emissioni). Anche questa è la tanto vituperata Europa, non a caso i mercati di mezzo mondo tremano al pensiero di cosa potrà accadere dopo il 31 dicembre, quando la stampella del QE dell’Eurotower verrà a mancare.

“Il terremoto politico nell’UE ci aiuterà, dopo il voto cambieranno tutte le regole”, ha dichiarato Luigi Di Maio ieri, evocando la volontà di mercati, opposizioni e media di far cadere il governo

E, Financial Times alla mano, le aziende italiane hanno assorbito il primo shock sullo spread, quello di fine maggio, praticamente senza contraccolpi proprio grazie al cuscinetto di liquidità garantito dagli acquisti di bond dell’Eurotower. Insomma, se Mario Draghi ha proferito quella frase e se ha sentito la necessità di un colloquio a quattr’occhi con il presidente Mattarella, ancorché il Quirinale abbia ovviamente ridimensionato l’evento, parlando di pranzo in agenda da tempo, è perché sa non solo che i rischi questa volta sono davvero alti ma anche che, non fosse altro per il mandato temporale, la sua capacità di intervento salvifica non ha più la portata da bazooka del whatever it takes. Insomma, se fino a sei mesi fa si poteva bestemmiare in chiesa, tale era lo scudo di Francoforte, oggi conviene parlare a bassa voce anche nella curva sud dello stadio. Alla Consob questo lo sanno, occupandosi per lavoro e per statuto di queste dinamiche. Quindi pur non potendo intervenire direttamente, la rottura del tabù posta in essere da Draghi si pone come un precedente che fa giurisprudenza e anche costume: come dire, non posso essere io, né tantomeno il Quirinale, a ripetere quotidianamente ai bambini che la ricreazione è finita.

Qualcuno, però, alla luce dei tonfi del comparto bancario e dello spread in area di rischio dovrebbe e potrebbe farlo. Tanto più che, se la situazione precipitasse, potrebbe occorrere prendere anche decisioni drastiche, a partire dalla simbolica imposizione del divieto di vendita allo scoperto su certi titoli (facilmente aggirabile operando con le opzioni ma, quantomeno, una sorta di bandiera rossa a segnalare mare in tempesta) fino alla più drammatica sospensione della contrattazione di soggetti sotto attacco e troppo sistemici per subire speculazioni senza una reazione. L’attuale consiglio decapitato della Consob è pronto a tutto questo, al netto del mandato tacito di cui gode? O siamo davvero a un governo che pare invocare l’afflato schumpeteriano mal declinato (o totalmente travisato, quasi l’economista austriaco fosse un parente solo un po’ più educato dell’incendiario Max Stirner) solo perché in cerca dell’incidente che attende di accadere, al fine di evitare il redde rationem con la realtà dei conti e giocarsi tutto alla roulette del ritorno al voto, magari capitalizzando prima alle amministrative e alle europee? “Il terremoto politico nell’UE ci aiuterà, dopo il voto cambieranno tutte le regole”, ha dichiarato Luigi Di Maio ieri, evocando la volontà di mercati, opposizioni e media di far cadere il governo.

Pare sempre di più l’estensione delle braccia, preventiva e forzatamente scomposta, di chi sta cadendo volontariamente a terra, tanto per farsi soccorrere e rinfrancare dal suo elettorato. Martiri sulle barricate, meglio se trafitti dallo spread. Davvero non serve una Consob con una guida chiara e solida, magari anche amica come quella che garantirebbe il professor Rinaldi, certamente non tacciabile di ostracismo all’esecutivo? O, forse, davvero l’agenda di qualcuno al governo è differente da quella spacciata nei tweet o nelle ospitate ai talk-show? O, magari, mettere mano in questo momento al capitolo Consob potrebbe dover dire mettere anche mano al capitolo Generali, la vera cassaforte del Paese? La quale, stranamente, dopo l’addio di Bollorè al patto di sindacato non è precipitata nello sconforto e, soprattutto, fuori dai radar dell’interesse di mercato. Mentre infatti tutto il comparto crollava, la settimana scorsa Banca Generali trattava in controtendenza a Piazza Affari: questo nonostante, stando ai dati di maggio, porti in pancia qualcosa come 64 miliardi di controvalore in titoli di Stato. Ma si sa, quello è il salotto che conta davvero, le partite serie del capitalismo di casa nostra si giocano lì.

Un capitolo che è meglio lasciare fuori dall’agenda demagogica da spacciare al popolo, il quale potrebbe a breve già doversi rendere conto suo malgrado che la manovra a lui intestata rischia di tramutarsi in un colossale abbaglio

E, magari, dopo le figuracce di Toninelli con i plastici di Vespa, gli audio di Casalino, i ritardi sul decreto e sulla nomina del Commissario, troppo clamore attorno a Generali potrebbe smontare anche la vulgata da giustiziere dei Cinque Stelle nei confronti dei Benetton, i quali sono stati sì estromessi da Autostrade (a quale prezzo finale, si vedrà poi) ma paiono molto ben posizionati proprio per una scalata al Leone triestino attraverso Edizione Holding, in accoppiata da raiders con il gruppo Caltagirone. Insomma, un capitolo che è meglio lasciare fuori dall’agenda demagogica da spacciare al popolo, il quale potrebbe a breve già doversi rendere conto suo malgrado che la manovra a lui intestata rischia di tramutarsi in un colossale abbaglio, una sciarada degna di Eyes wide shut. E attenzione, perché se Generali è uno dei pochi grandi gruppi italiani che vanta un forte sviluppo internazionale e, grazie alla leadership nelle polizze e nell’ asset management, presidia una parte consistente del risparmio degli italiani e della sua previdenza, giova sottolineare anche come rappresenti un polmone finanziario fondamentale per la nostra economia, specialmente nel campo delle infrastrutture.

Esatto, proprio infrastrutture. Magari anche ponti da ricostruire. E tu vuoi prenderti la bega Consob con una partita del genere in corso? Oltretutto mettendo un tuo uomo alla presidenza, quindi senza capri espiatori e complotti da evocare alla bisogna? Nel frattempo, oggi torneranno in piena operatività anche i mercati cinesi, dopo la settimana di festività per le celebrazioni della Repubblica popolare, carichi dei loro bond spazzatura legati al settore immobiliare e nascosti nello shadow banking, un carico da novanta in più per mercati già in fibrillazione. Chissà che non sia l’occasione per la svolta tanto attesa da chi pare certo che il salto nel buio si concluderà, comunque vada, sopra una rete di sicurezza

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