Il vero modello Riace? La moneta complementare inventata da Mimmo Lucano

La chiave di tutto è velocizzare i tempi tra stanziamento e erogazione dei fondi. L’Europa non è affatto contraria a monete locali che consentano di spendere meglio. La chiave di tutto è come si realizza. E in quest'ultimo passaggio si annidano i rischi

Il rilievo penale di ciascuna delle azioni intraprese dal sindaco di Riace, Mimmo Lucano, sarà valutato, in modo (non dubitiamo) competente nelle sedi opportune, in tempi (speriamo) altrettanto opportuni. Il rilievo politico di queste stesse azioni è invece immediatamente valutabile e discutibile. Ed è quello che effettivamente avviene.

Fra queste azioni, una in particolare mi interessa discutere qui, quella relativa alla “moneta locale”. Lucano ha deciso, oramai dieci anni fa, di “battere moneta”: più precisamente, Lucano ha messo in piedi un sistema di voucher cartacei spendibili presso gli esercenti del territorio del Comune, e da questi ultimi convertibili in euro entro un tempo predeterminato con una copertura al 100% con i fondi stanziati a favore del Comune dallo Sprar.

Lucano è già stato indagato a questo proposito l’anno scorso. Le ipotesi di reato erano concussione e truffa, giacché la conversione della moneta locale in euro promessa ai commercianti sulla base dei fondi Sprar non sarebbe avvenuta pienamente o non sarebbe avvenuta per tempo. Visto che, dopo un anno di indagini, il Gip, pur puntando il dito su quella che non esita a definire una “tutt’altro che trasparente gestione”, ha tuttavia escluso ogni rilievo penale, possiamo concentrarci sulla significatività economica e politica del progetto.

Tali “voucher” consentono di ridurre a zero i tempi di attesa fra stanziamento e erogazione dei fondi, ossia si presentano come uno strumento per la riduzione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione centrale

Due sono gli aspetti che devono essere esaminati. Innanzitutto è necessario vedere se il progetto “stia in piedi”. Poi bisogna vedere se sia stato attuato adeguatamente, e nel caso in cui non lo sia stato, quali siano le ragioni che lo hanno impedito. Perché se per caso il progetto fosse economicamente solido e politicamente meritevole, nulla vieterebbe di riprenderlo, magari migliorandolo.

Il punto di partenza per le nostre valutazioni lo fornisce Lucano stesso quando, in una intervista a Repubblica dell’aprile del 2011, egli afferma quanto segue: “Per ricevere i finanziamenti ci vogliono sei o sette mesi. Usiamo questo sistema per incentivare l’economia locale, così rendiamo autonomi i beneficiari e questo è importantissimo per le relazioni umane in paese. Inoltre la nostra spesa diventa molto trasparente e verificabile”.

Quindi, procedendo con ordine: 1. In gioco ci sono finanziamenti pubblici in euro per i richiedenti asilo ospitati da enti locali 2. Siccome questi finanziamenti, una volta assegnati, diventano disponibili con un ritardo che rischia di rivelarsi un reale inceppo alla loro significatività economica, è possibile, sulla base dei fondi stanziati 3. Emettere “voucher”, coperti al 100% dai suddetti fondi, e destinati a essere convertiti non appena i fondi siano disponibili in cassa 4. Tali “voucher” consentono di ridurre a zero i tempi di attesa fra stanziamento e erogazione dei fondi, ossia si presentano come uno strumento per la riduzione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione centrale.

Dunque bene, già solo per questo il progetto sta in piedi. Ma in effetti, c’è un quinto punto: l’emissione dei voucher trasforma degli euro spendibili ovunque in un potere d’acquisto locale, nell’intervallo fra l’emissione e la conversione dei voucher. I migranti sono così dotati di un potere d’acquisto anziché di beni (la moneta è libertà coniata, rifletteva Dostoevskij nel suo soggiorno in Siberia), ma lo esercitano all’interno della comunità che li accoglie, sostenendone l’attività economica. I commercianti ricevono i voucher nella certezza che entro un periodo predeterminato essi saranno euro. E al limite (non so se lo abbiano fatto, ma certo lo avrebbero potuto), una volta incassatili dai migranti possono spenderli a loro volta, fra di loro, o con i loro dipendenti, o al limite usarli come “punti fedeltà” con i loro clienti non migranti.

L’aspetto delicato di tutto il progetto è, ora lo comprendiamo meglio, la certezza della conversione. Se i fondi arrivano in ritardo, o peggio non arrivano, tale certezza è minata, ed è quindi minata l’accettabilità della moneta che su essa si fonda

L’idea di incentivare l’economia locale con una moneta locale convertibile automaticamente e con tempi certi in euro è un’idea tutt’altro che peregrina. Il fatto che nel caso di Riace essa sia cartacea le consente di fungere da strumento simbolico di comunicazione (ognuno sulle monete mette i propri eroi, come accade da sempre e anche con le monete in euro emesse dagli stati nazionali), ma, assimilandola al contante, non le consente invece di essere tracciabile e dunque trasparente e rendicontabile, come sosteneva Lucano nell’intervista.

L’aspetto delicato di tutto il progetto è, ora lo comprendiamo meglio, la certezza della conversione. Se i fondi arrivano in ritardo, o peggio non arrivano, tale certezza è minata, ed è quindi minata l’accettabilità della moneta che su essa si fonda. E ancora peggio vanno le cose se i fondi chiamati a garantire i voucher non sono effettivamente disponibili nella misura annunciata, ossia se si emettono deliberatamente più ovuhcer rispetto agli euro disponibili.

Ecco perché, riprendendo il riferimento alle osservazioni del Gip sulla “tutt’altro che trasparente gestione” di Lucano, sarebbe davvero bene che si potesse sapere, al di là di ogni ragionevole dubbio, se i ritardi nell’erogazione e il blocco dei fondi destinati a Riace siano davvero un effetto e non piuttosto una causa dei malfunzionamenti della moneta di Riace. Ossia se il malfunzionamento nel sistema dei rimborsi dipenda da una leggerezza di Lucano nel considerare disponibili somme che di fatto non lo erano, o da una modificazione retroattiva di disponibilità che Lucano poteva legittimamente considerare certe.

Al netto di questo aspetti, vale la pena sottolineare che la “moneta di Riace” è perfettamente compatibile con i dettami operativi del progetto DigiPay4Growth, finanziato dalla UE (il che dimostra, en passant, che l’Europa non è affatto contraria alle monete locali fatte bene)

Al netto di questo aspetti, vale la pena sottolineare che la “moneta di Riace” è perfettamente compatibile con i dettami operativi del progetto DigiPay4Growth, finanziato dalla Unione Europea (il che dimostra, en passant, che l’Europa non è affatto contraria alle monete locali fatte bene), e il cui obiettivo dichiarato è di coniugare la velocizzazione dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni locali con l’aumento dell’impatto della spesa pubblica sul territorio

E non sarebbe nemmeno l’unico tentativo in Italia. Fra novembre 2016 e febbraio 2017, e proprio nel quadro dell’implementazione sperimentale del progetto DigiPay, la Fondazione di Sardegna ha erogato 30.000 euro per le estreme povertà a Sassari. E nel febbraio 2018, il Consiglio comunale di san Martino in Rio (RE) ha deliberato all’unanimità di lanciare i “Buoni di Solidarietà Territoriale”, aperti a migranti e residenti, richiamandosi esplicitamente al progetto europeo.

Tutte queste sono potenzialmente buone pratiche. Che diventano realmente buone se sono messe in pratica come si deve. Ecco perché nei loro confronti sarebbe bene che si sviluppasse un genuino e informato interesse politico.

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