NetflixIl problema del cinema italiano non si chiama Netflix

Il ministro dei Beni Culturali Bonisoli punta il dito contro le piattaforme digitali e promette un decreto per difendere i cinema da Netflix&Co, solo che la colpa della crisi del cinema è dei cinema stessi e del sistema che non fa niente per sostenerli

Ci risiamo. Ormai le polemiche circa la sedicente guerra civile tra sale cinematografiche e piattaforme digitali di distribuzione sono quasi più frequenti degli scioperi dei trasporti e, se possibile, sono ancora più assurde, grottesche e disarmanti. Dopo le pantomime di Cannes dello scorso maggio, dopo gli attacchi di Christopher Nolan, dopo le accuse degli esercenti al Festival di Venezia, reo di aver premiato un film prodotto e distribuito da Netflix, questa volta a innescare la battaglia è stata una dichiarazione del ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli.

Che cosa è successo questa volta? Semplicemente che il ministro è intervenuto — ehm, a dire il vero ha inviato un video messaggio registrato (sic)durante la presentazione di una ricerca condotta da Agis e ha dichiarato di voler «assicurare che chi gestisce una sala sia tranquillo nel poter programmare film senza che questi siano disponibili in contemporanea su altre piattaforme».

E cosa c’è di male? Praticamente tutto, a partire dalla convinzione che sta alla base di una dichiarazione del genere, così come di tutte quelle che si sono susseguite negli ultimi anni, una convinzione, diffusa in egual modo tra gli esercenti e tra i politici nostrani, che vorrebbe individuare la causa primaria della crisi dei cinema nella comparsa di internet e delle piattaforme digitali, prima di tutto di Netflix, che non è certo una onlus di benefattori, ma che indubbiamente si sta imponendo come uno dei produttori più interessanti di oggi.

Pensare che i cinema stiano chiudendo perché gli spettatori preferiscono starsene a casa a guardare Netflix, Amazon, Mediaset Premium, Chili Tv o Sky è semplicemente una boiata pazzesca

La verità è che pensare che i cinema stiano chiudendo perché gli spettatori preferiscono starsene a casa a guardare Netflix, Amazon, Mediaset Premium, Chili Tv o Sky è semplicemente una boiata pazzesca, anche perché se lo fossero veramente, qualcuno dovrebbe spiegarci come mai la maggior parte dei piccoli cinema italiani ha chiuso negli anni Ottanta e Novanta e non certo negli ultimi 5 o 6.

I cinema italiani sono vecchi, sono pochi, sono mal attrezzati, sono lontani dal pubblico — la distanza media tra uno spettatore e una sala in Italia è di diversi chilometri — e anche quando sono nuovi mancano totalmente di coraggio, ma anche di sostegno, nel proiettare film di qualità, tanto che in Italia, spesso anche nelle grandi città, i cinema hanno talmente omologato la loro offerta, limitando sempre di più la distribuzione della maggior parte delle uscite non mainstream, che è ormai pressoché impossibile trovare un cinema che non proietti soltanto in 5 titoli del momento, sfida che diventa ancora più ardua se si parla di film in versione originale.

Il problema è questo, non certo Netflix o Amazon Prime, che invece qualcosa di buono a livello commerciale per tutto l’ecosistema ce l’hanno per davvero, ed è proprio il diffondere la cultura dell’audiovisivo e della sua biodiversità, la curiosità della visione di film di nicchia e di film d’essai, l’amore per i film in lingua originale, la disponibilità di film sul lungo periodo, e non solo per qualche settimana.

Dare la colpa della morte dei cinema a Netflix è una cosa che fa ridere, per non dire piangere.

Giusto per rendersi conto della dimensione del problema, un paio di anni fa il Fatto Quotidiano segnalava che, nelle settimane precedenti agli Oscar 2017, «13 film si sono accaparrati oltre quattromila schermi, cioè oltre l’80% del totale dell’offerta italiana». Tredici film in quattromila schermi, che è praticamente come se per una settimana nell’80 per cento dei ristoranti italiani si trovassero soltanto una dozzina di piatti, quelli più gettonati, pasta al pesto e pizza margherita, per dire.

Dare la colpa della morte dei cinema a Netflix è una cosa che fa ridere, per non dire piangere. E fa ancora più ridere pensare che una delle accuse che i distributori lanciano alle piattaforme è quella di non poter garantire una distribuzione democratica dei film. In sostanza, dicono gli accusatori, i film da loro distribuiti resterebbero a uso esclusivo di chi si può permettere un abbonamento alle suddette, il che violerebbe il principio sacro per cui il cinema dovrebbe essere accessibile a tutti. Principio bellissimo, ma non si capisce come possa essere messo in discussione, visto che l’abbonamento mensile di una qualsiasi di queste piattaforme costa come un ingresso singolo a un cinema.

Se il ministro vuole difendere le sale cinematografiche e il cinema italiano, quindi, non se la prenda con Netflix, basta rendere più facile la vita ai piccoli cinema, detassare e sostenere le ristrutturazione delle vecchie sale, facilitare l’apertura di nuove sale di prossimità e facilitare l’accesso ai cinema per le fasce che oggi ne hanno più fame ma non se lo possono permettere. Aiutino: non sono gli over 65, e nemmeno i militari.

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