Grandi ritorniHasta Di Battista siempre: ecco perché nel 2019 sarà lui a rivoluzionare la politica italiana

Dopo sette mesi di viaggio in Sudamerica, Di Battista torna con il sole in tasca più agguerrito che mai. Fratello combattivo di Di Maio e spauracchio di Salvini, potrebbe capeggiare i Cinque Stelle ed anche dialogare con la sinistra. Rivoluzionando, così, il paese

È l’uomo destinato a scompaginare nel bene e nel male la politica italiana nel 2019. Alessandro Di Battista, alias “Dibba”, dopo sette mesi di viaggio in Sudamerica, torna con il sole in tasca più agguerrito che mai, pronto a guastare i piani a Matteo Salvini e in parte forse chissà all’amico Luigi Di Maio. E allora se nel corso del nuovo anno ci sarà un colpo di scena ce lo potrà regalare soltanto lui, «Dibba». «Ritorno per difendermi dalle stronzate», ha affermato sorridendo in una diretta Facebook riferendosi ai presunti debiti della sua società.

Rieccolo quindi come un Fanfani a cinquestelle, a scuotere l’esercito di parlamentari di un movimento che ribolle per l’onnipresentismo salviniano e per l’azione di un esecutivo gialloverde che ricorda lontanamente quello del «cambiamento». Fra il 2017 e il 2018 nei retroscena dei giornaloni era stato candidato alla premiership, al ministero degli Esteri, al ministero dell’Interno. Poi, però, quando tutto sembrava volgere verso un dualismo sano con l’amico “Giggino” Di Maio, «Ale» decide alla maniera di Celestino V “il gran rifiuto”.

Se nel corso del nuovo anno ci sarà un colpo di scena ce lo potrà regalare soltanto lui, «Dibba»

Un rifiuto, un passo indietro, o di lato, fate voi, che spiazza perfino il “compagno” di cayenna, quel Di Maio che nel frattempo era stato incoronato dalla piattaforma Rousseau come capo politico dei pentastellati. All’epoca qualcuno disse che per «Giggino» «fu un sospiro di sollievo». Altri, invece, parlarono di gioco delle parti. Di certo c’è che, al netto dei convenevoli di circostanza – «per me Luigi è come un fratello» – fra i due non è mai corso buon sangue. Troppo diversi, troppi distanti. Dibba con l’aria da bello e dannato, Di Maio invece con il phisique du role del bravo ragazzo.

Il primo, Ale, un Che Guevara in infradito che scalda i cuori dei «compagni» delusi dalle divisioni della sinistra italiana e che allo stesso tempo capace di intercettare l’elettorato di una certa destra, riconducibile alla fu Alleanza nazionale. Mentre Di Maio con l’abitino acquistato da Cenci, la penna montblanc, e la postura da uomo delle istituzioni che da sinistra viene visto come un «compagno» che ha sbagliato e che tanti dalle parti del Pd vorrebbero dialogarci. Non a caso fin dai primi passi ha lavorato per diventare premier, ma alla fine si è dovuto accantentare di un vicepremierato in coabitazione con Salvini. E allora se queste le premesse ci sarà divertirsi fra qualche giorno quando Dibba vedrà Giggino. Per dirsi? Non è da sapere. Ma da quel momento inizierà il «tana liberi tutti».

La forza di «Ale», le sue prese di posizioni, i suoi video dirompenti, e la sua simpatia saranno l’arma del movimento per indebolire il Carroccio e per spostare l’asse della coalizione del governo gialloverde verso il giallo.

«Incontrerò Luigi e poi decideremo il da farsi». Una frase che può significare tutto e il contrario di tutto. Come si comporterà? Quale sarà il suo impegno? E soprattutto quale scossa darà alla politica italiana? Tutti lo temono e tutti sotto sotto speravano che il suo «come back» non arrivasse mai. Certo, non avrà i gradi del parlamentare e con molta probabilità non avrà alcun ruolo all’interno del esecutivo. «La sua figura è troppo ingombrante in un governo già di per sé assai debole», mormorano da palazzo Chigi. Il rischio però è che potrebbe far ancor più male dall’esterno. D’altronde, il ruolo del Giamburrasca gli calza a pennello. Potrebbe, ad esempio, presentarsi ogni santo giorno in Transatlantico e indottrinare ed eterodirigere il gruppo parlamentare alla maniera dei vecchi segretari della Dc. Oppure, vai a saperlo, potrebbe girare in largo e in lungo lo Stivale con l’obiettivo di rasserenare la base di un movimento che raccontano sarebbe in ebollizione per le troppe giravolte. In questo modo non solo insidierebbe la leadership arrugginita di Di Maio, ma farebbe risalire la china nei sondaggi ai pentastellati. E chissà, dopo le elezioni europee, potrebbe puntare alla corona del Movimento così da trasformarsi in un Salvini a cinquestelle.

Dibba, però, mette paura anche a quel Salvini che fino ad oggi è il politico più amato, il più social, il più travolgente. Il leader del Carroccio ha «salvinizzato» l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, oscurando in larga parte l’azione dei cinquestelle. Ma il ritorno di Dibba avrebbe come scopo principale quello di invertire questa rotta così scalfire non solo la forza del ministro dell’Interno ma anche l’ascesa nei sondaggi del vecchio centrodestra. Ecco, la forza di «Ale», le sue prese di posizioni, i suoi video dirompenti, e la sua simpatia saranno l’arma del movimento per indebolire il Carroccio e per spostare l’asse della coalizione del governo gialloverde verso il giallo. Non solo. L’onda di Dibba avrà un impatto anche sul partito democratico. Già, il Pd. Quest’ultimo è ancora sotto choc dopo l’esito del voto del 4 marzo scorso ed è alle prese con una battaglia congressuale dall’esito incerto e soprattutto non appassionante. In questo contesto potrebbe incunearsi Dibba e intercettare pezzi di elettorati frastornate dal correntismo del Nazareno. D’altro canto, come non ricordare il giro in scooter di «Ale» per tutto lo Stivale ai tempi del referendum costituzionale a firma Renzi Boschi? E allora che inizi questo 2019. L’anno del Dibba.

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