Il libroTutta la verità sul riscaldamento globale, a prova di negazionisti

No, non è come le altre volte. No, non si risolve modificando leggermente i nostri comportamenti. Sì, le conseguenze saranno irreparabili. E sì, la nostra sopravvivenza sul pianeta Terra è a rischio. Tutto quello che (non) volevate sapere e non avete mai osato chiedere

Pubblichiamo un estratto del libro “Il clima è (già) cambiato. Nove buone notizie sul riscaldamento globale” di Stefano Caserini (Edizioni Ambiente, 2019) nella sua nuova edizione, da poco in libreria. L’autore, Stefano Caserini, svolge da anni attività di ricerca nel settore dell’inquinamento dell’aria, e di recente si è occupato delle strategie di riduzione dei gas climalteranti e della comunicazione del problema dei cambiamenti climatici. Titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative.

Quando i dinosauri si estinsero, non sapevano cosa stesse loro accadendo, e con chi prendersela. Anche le milioni di specie diverse che hanno popolato il pianeta e di cui rimangono tracce nei fossili che guardiamo nelle vetrine dei musei, anch’esse se ne sono andate nella beata ignoranza.

L’Homo sapiens ha quindi un indubbio vantaggio. Possiede dati e informazioni su quanto gli sta succedendo. Se si estinguerà, assisterà cosciente alla propria distruzione, ne seguirà gli sviluppi e lascerà tracce inequivocabili e spiegazioni di come è successo.

Oggi abbiamo tanti dati e informazioni sulla questione climatica. Abbiamo misurazioni da strumenti al suolo e dai satelliti, abbiamo tabelle, grafici, animazioni, fotografie spettacolari, video entusiasmanti per i colori e la definizione delle immagini. Abbiamo supercalcolatori che ci danno scenari per il futuro: decine di centri di ricerca sfornano rapporti, grafici e ricostruzioni computerizzate su come si è modificato nel passato il clima del pianeta e su come potrebbe evolvere nei prossimi decenni.

Non sappiamo tutto, certo. Ci sono ancora tante incertezze su cui amano intrattenersi gli scienziati; ma sono dettagli, sfaccettature, alcune peraltro molto interessanti. Nel mare di questa conoscenza, costruita passo dopo passo da migliaia di studiosi misconosciuti, e riassunta periodicamente nei rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ,emergono sei capisaldi.

Primo. Le attività umane generano ingenti quantità di CO2 dalla combustione di carbone, petrolio e gas, nonché di altri gas serra quali metano, protossido di azoto e gas fluorurati. Le emissioni sono in grado di sbilanciare i cicli naturali di questi gas, il risultato è il loro accumulo nell’atmosfera: per trovare livelli così elevati di questi gas bisogna risalire a qualche milione di anni prima della comparsa sulla Terra di Homo sapiens.

Secondo. L’aumento dei gas serra in atmosfera altera il bilancio energetico del pianeta e genera un aumento della sua temperatura media, direttamente o per effetto di meccanismi di feedback (per esempio l’aumento di vapore conseguente a un incremento di temperatura). L’aumento delle temperature medie globali già registrato nell’ultimo secolo, circa 1 °C, è il più elevato degli ultimi due millenni.

Terzo. Se nei prossimi decenni non ci saranno consistenti riduzioni delle emissioni dei gas serra, le temperature aumenteranno di altri 3-4 °C, generando estesi cambiamenti climatici quali l’aumento delle ondate di calore, dei periodi siccitosi, delle tempeste, nonché l’innalzamento del livello del mare a causa della deglaciazione di parti importanti delle calotte polari.

Quarto. I cambiamenti climatici stanno già avendo, e ancor di più avranno in futuro, rilevanti impatti sugli ecosistemi e sulle attività umane, in particolare sulle persone più povere. Sono necessarie azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, per gestire gli impatti inevitabili, e azioni di mitigazione, per evitare gli impatti ingestibili, tramite la riduzione delle emissioni di gas serra.

Quinto. Per avere buone probabilità di contenere l’aumento delle temperature globali ”ben sotto i 2 °C“ rispetto ai livelli preindustriali e “fare uno sforzo per fermarsi a +1,5 °C” (obiettivo dell’Accordo di Parigi) è necessario fermare l’aumento delle emissioni globali il prima possibile, portarle quasi a zero entro il 2050, lasciando sottoterra più di quattro quinti dei combustibili fossili disponibili e che potrebbero essere utilizzati nei prossimi anni, nonché fermare la deforestazione.

Sesto. Se la riduzione delle emissioni non è immediata e rapida, per raggiungere quegli obiettivi di contenimento dell’aumento delle temperature sarà necessario trovare il modo di rimuovere dall’atmosfera una parte della CO2 che sarà presente in eccesso.

La conoscenza non basta
Il pensiero razionale è stato uno dei fattori che ha guidato le ultime migliaia di anni della tumultuosa storia degli esseri umani. Ma la conoscenza razionale di un problema non comporta – di per sé – un’azione per affrontarlo o risolverlo. Psicologi e sociologi spiegano che non è così semplice, gli esseri umani non funzionano così. Le persone e le comunità spesso evitano di confrontarsi con realtà scomode e dolorose, mettono in atto meccanismi di negazione consapevoli o inconsapevoli.

Ci sono meccanismi di “diniego” a livello individuale, familiare o di intere società. Esempi sono l’alcolista o il tossicodipendente che non accettano di riconoscere la propria condizione, il marito o la moglie che fanno di tutto per ignorare l’infedeltà del coniuge o gli abitanti vicino al campo di concentramento di Mauthausen che convivevano con l’evidenza del programma di sterminio di massa: “Ne sapevano abbastanza da sapere che era meglio non saperne di più”. Ci sono anche casi di diniego benigno, come nel caso delle false speranze che aiutano a vivere i malati terminali. Tante sono le espressioni del linguaggio corrente che indicano l’incapacità o il rifiuto di prendere atto di situazioni sgradevoli, di guardare in faccia la realtà: “Seppellire la testa sotto la sabbia”, “fare lo struzzo”, “avere il paraocchi”, “chiudere un occhio”, “dire solo mezza verità”, “vedere e non vedere”. O espressioni quali “ha visto quel che voleva vedere”, “ha sentito quel che voleva sentire”, “non posso credere a quanto stia succedendo”, “devo averlo sempre saputo”.

Ci sono opinioni diverse fra gli studiosi su quanto il diniego possa essere un meccanismo inconscio, involontario, su quanto si possa effettivamente sapere e non sapere. In molti casi, può essere più adeguato il concetto di malafede, una forma di diniego che la mente rivolge consapevolmente a se stessa. In altri casi la psiche tende a escludere informazioni che siano impensabili o insopportabili. L’inconscio erige una barriera che impedisce al pensiero doloroso di raggiungere la conoscenza consapevole, filtrandolo prima che rientri nelle strutture percettive esistenti; in qualche modo la mente coglie cosa sta accadendo, ma intercetta gli stimoli minacciosi, che scivolano in una zona inaccessibile della mente, un angolo cieco di blocco dell’attenzione e di auto-inganno. Intere popolazioni nel passato hanno pagato caro il non aver capito cosa stava loro succedendo. L’archetipo è la leggenda narrata da Omero, i troiani increduli e inconsapevoli davanti al grande cavallo di legno; ma la storia e l’archeologia ci raccontano quanto hanno contato l’ignoranza e la mancanza di lungimiranza nel collasso di molte civiltà che ci hanno preceduto. Dagli aztechi che accolsero Cortés come un dio, agli abitanti dell’Isola di Pasqua che con gli alberi dell’isola tagliarono anche le loro possibilità di sopravvivenza.

Oppure i vichinghi che colonizzarono alcuni fiordi della Groenlandia intorno all’anno Mille: costruirono case ed edifici religiosi, ma il clima dopo cinque-sei secoli divenne più freddo e questo contribuì a metterli in crisi: a centinaia morirono di stenti e gli altri furono costretti ad andarsene. Ma non capirono mai perché il clima si era fatto più freddo, perché le stagioni calde erano meno calde e quelle fredde più fredde: non avevano termometri o radiometri per misurare le temperature o l’irradianza solare, o modelli matematici per le proiezioni del clima dei decenni successivi. Ormai ridotti allo stremo, i pochi sopravvissuti salirono sulle barche e partirono verso sud.

Noi oggi sappiamo perché: un po’ meno di energia dal Sole e un po’ più di attività vulcanica e il clima diventò leggermente più freddo nella parte nord del pianeta verso il XVI secolo, e sappiamo ancora meglio quanto sta accadendo oggi. Sappiamo che stiamo provocando modifiche al pianeta molto superiori a quelle registrate ai tempi dei vichinghi o durante l’Olocene, gli ultimi dodicimila anni in cui le temperature stabili hanno permesso lo sviluppo della nostra civiltà.

Tempi e inerzie
È evidente che abbiamo sottovalutato a lungo il problema del riscaldamento globale. Non abbiamo capito la sua particolarità, la sua straordinarietà, il perché è così diverso da altri problemi ambientali – anche globali – con cui abbiamo avuto a che fare. Abbiamo impiegato tanto, troppo tempo a capire l’enorme potere dei due fattori che rendono il riscaldamento globale così pericoloso.

Il primo è la lunga permanenza della CO2 nell’atmosfera: un quinto di quanto viene scaricato nell’atmosfera ci rimane per migliaia di anni, è sostanzialmente perenne rispetto ai tempi dell’esperienza umana.

Il secondo è l’inerzia del sistema climatico, che sposta gli effetti di parecchi decenni (e in qualche caso di secoli) rispetto alle cause. La combinazione di questi due fattori ha fatto sì che quando abbiamo iniziato a ricevere segnali inequivocabili dei danni del riscaldamento globale, avevamo già innescato alcuni cambiamenti climatici praticamente irreversibili per le scale temporali che ci riguardano come esseri umani.

Per parecchi anni il problema è stato semplicemente messo da parte, perché non dava segni visibili in modo chiaro. Per altri problemi ambientali gli effetti sono vicini alle cause, e questo aiuta: se un fiume è inquinato e l’inquinamento ci impedisce la balneazione, siamo spinti a cercare di rimuovere gli scarichi; l’inquinamento dell’aria provocato da polveri o dall’anidride solforosa causa danni a breve termine alla salute delle persone, e ha indotto più rapidamente leggi rigorose per contrastarlo.

Quando il riscaldamento del sistema terrestre è stato riconosciuto come inequivocabile, si è anche capito che parte delle modifiche già causate al clima globale saranno irreversibili per parecchi secoli, riguarderanno molte generazioni future.La conoscenza su questi processi che possono essere innescati in questi anni e decenni, ma che possono durare per tanti secoli, è cresciuta molto nell’ultimo decennio. Studiando il clima del passato ed elaborando modelli in grado di simulare il comportamento negli scorsi millenni delle calotte polari e del livello del mare, gli scienziati hanno capito che anche aumenti delle temperature medie del pianeta di pochi gradi possono destabilizzare le grandi masse glaciali presenti in Groenlandia e nella parte occidentale dell’Antartide. La conseguenza sarebbe l’aumento del livello di mare. Un aumento lento, molto diverso da quanto mostrato dai film catastrofisti, ma che in pochi secoli potrebbe essere di molti metri. Un aumento inesorabile, che potrà essere fermato solo riportando le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera a livelli simili a quelli presenti prima dello sviluppo della civiltà umana.

Tante attività
Un’altra complicazione che abbiamo sottovalutato è che le emissioni di gas serra sono legate praticamente a ogni attività umana, poche escluse; e molte di queste sono nei gangli vitali dell’attuale sistema socioeconomico. Emettiamo CO2 per produrre energia elettrica, per scaldare le case, per muoverci con le auto o con gli aerei o per far viaggiare le merci; per produrre cemento, acciaio, vetro e per un’altra miriade di lavorazioni industriali; per produrre il cibo o per smaltire i rifiuti; e con le attività agricole e gli allevamenti emettiamo metano e protossido di azoto, altri due gas climalteranti.

Per altri problemi ambientali è stato molto più facile. Anche l’impoverimento dell’ozono stratosferico (fenomeno meglio conosciuto come “buco dell’ozono”) è un problema globale, i clorofluorocarburi che lo causano sono composti stabili e le dinamiche dell’ozono nella stratosfera hanno la loro inerzia. Ma i clorofluorocarburi sono emessi da un piccolo settore dell’economia globale (per lo più propellenti e refrigeranti); vietarne la produzione e trovare alternative non è stato difficile. Le emissioni di queste sostanze hanno iniziato a calare dopo neppure vent’anni da quando il problema era stato ben delineato a livello scientifico.

(…)

1,5 C°, non 2 C°

Con la pubblicazione nell’ottobre del 2018 dello Special Report dell’IPCC su 1,5 °C di riscaldamento globale, si è chiarito un altro passaggio chiave della conoscenza del problema dei cambiamenti climatici, quello dell’obiettivo a cui è necessario puntare. Si tratta di un tema dibattuto a fondo, che ha visto confrontarsi posizioni anche molto diverse.

A lungo si è parlato, come soglia di sicurezza per il pianeta, di un aumento di +2 °C rispetto ai livelli pre-industriali; ma c’era anche chi, per esempio il premio Nobel 2018 per l’economia William Nordhaus, in un articolo pubblicato nel 200720 aveva indicato in +2,8 °C la temperatura “ottimale” del pianeta, in grado di ottimizzare a suo dire il bilancio fra i costi della mitigazione e i benefici degli impatti evitati. Dopo 10 anni, si è capito che anche la metà di quel valore sarebbe eccessiva.

Le settecento pagine del rapporto IPCC, e le trenta della Sintesi per i decisori politici, sono un riassunto magistrale di migliaia di articoli scientifici già pubblicati nelle riviste del settore, e spiegano in modo a tratti brutale perché anche il mezzo grado di differenza fra 1,5 °C e 2°C è importante, molto più di quanto si pensasse nel passato. Mostrano come con mezzo grado in più aumentano in modo importante i rischi per la biodiversità del pianeta, per le rese agricole e la pesca, per la stabilità delle calotte glaciali, per le barriere coralline.

Non c’è quindi un livello di temperatura che può costituire il “punto di non ritorno”, la soglia il cui superamento innescherebbe un’irreversibile catastrofe climatica. Ci sono più soglie, alcune già dietro le nostre spalle, visto che danni importanti per gli ecosistemi e le attività umane sono già visibili con l’attuale aumento delle temperature medie globali, di poco superiore a 1 °C.

Il Rapporto mostra infatti chiaramente come ogni decimo di grado di aumento delle temperature è importante, e c’è una sostanziale differenza fra +1,5 °C e + 2 °C. Per esempio, con 1,5 °C il 70-90% delle barriere coralline potrebbero scomparire, perdita che sarebbe pressoché completa (maggiore del 99%) con 2 °C di riscaldamento globale. Anche in questo rapporto si possono trovare buone notizie sulla possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Ma con il linguaggio asettico e attento a mostrare il livello di affidabilità alle sue affermazioni, l’IPCC ha mandato un messaggio chiaro: siamo con le spalle al muro, il tempo dei rinvii è finito.

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