La battuta più facile è toto Alitalia, se è vero che Toto ci riprova e l’Alitalia ci ricasca. A quel che ha scritto La Repubblica ci sono finora solo “no comment” e molti osservatori vicini al dossier pensano sia un ballon d’essai, magari una mossa per mettere alle strette gli unici che hanno manifestato un interesse concreto: le Ferrovie, Delta, più Lufthansa la quale, però, non ha presentato una vera e propria offerta come hanno spiegato i commissari nella loro audizione in parlamento il 27 marzo scorso. A volte ritornano e il coming-back più improbabile sembrava proprio quello della famiglia Toto che nel 2008 ha scaricato sull’Alitalia la AirOne arrivata a fine corsa. Invece, Luigi Di Maio ha tirato fuori dal cappello Riccardo Toto, figlio di Carlo il costruttore edile e fondatore del gruppo, il quale aveva già provato di rientrare nel trasporto aereo nel 2011 rilevando da Massimo Ferrero (sì, proprio l’attuale presidente della Sampdoria) la Livingston, una low cost che collegava soprattutto Roma e la Sardegna. È durata pochissimo, messa a terra nel 2014, è fallita nel 2015. Come scriveva Nietzsche: «quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro».
Il passato è passato e una nuova chance si concede a tutti, ma la domanda di fondo è un’altra: il gruppo Toto dovrebbe tirar fuori circa 250 milioni di euro per il 30% dell’Alitalia nazional-populista. Ce li ha? Sono soldi freschi? La domanda non è irriverente perché l’ammontare, guarda caso, corrisponde al risarcimento che l’imprenditore abruzzese vorrebbe da Alitalia per chiudere un complicato contenzioso, come vedremo. In ogni caso, basteranno? Perché nel trasporto aereo, uno dei business più incerti che ci sia, una sola cosa è certa: ci vogliono tanti, ma tanti quattrini, spalle larghe, tenuta e un folto pelo sullo stomaco.
Lo schema Di Maio per salvare Alitalia tenendo fuori le sue bestie nere, la Lufthansa e i Benetton, prevede, secondo le anticipazioni, una quota di controllo in mano allo Stato (il 30% a Ferrovie e il 15% direttamente al Tesoro), più un altro 15% all’americana Delta interessata soprattutto a non perdere le rotte intercontinentali condivise nell’alleanza Sky Team del quale fa parte anche Air France la quale potrebbe rientrare dalla finestra: le rotte transatlantiche fanno gola e Parigi potrebbe diventare lo scalo intermedio. La società statunitense, soprattutto, si sta facendo garante di una partecipazione di China Easter, anche se da Pechino frenano e non sembra che l’ultima missione di Giuseppe Conte abbia portato delle novità. Se i cinesi si tirassero indietro, rimarrebbe scoperto un altro 40% del capitale di Alitalia. Una piccola parte di questa quota andrebbe a un Fondo italiano specializzato nel recupero di società in difficoltà, “Quattro R” che fa capo alla Cassa depositi e prestiti la quale metterebbe il suo zampino come vogliono i cinquestelle, nonostante il veto delle fondazioni, azioniste di minoranza in Cdp. Il resto verrebbe assegnato appunto al gruppo Toto. Che cosa ne avrebbe in cambio? Chiudere gli strascichi finanziari del passato e riaprire i cantieri, a cominciare dal Terzo Valico. È vero che i caselli delle autostrade sono come bancomat, soprattutto perché ogni anno aumentano le tariffe, ma bisogna anche investire. E molto. Lo stesso Carlo Toto ha ammesso che la Roma-Pescara-L’Aquila, 281 chilometri, “se ne cade a pezzi” e per tenerla in piedi ci vorrebbero almeno miliardi e mezzo. Il ministro dei lavori pubblici Toninelli, caschetto in testa, è andato sotto i ponti e i viadotti abruzzesi lanciando un allarme che poi non ha avuto seguito. In autunno i dipendenti della F24 e F25 rimasti senza stipendi hanno protestato chiedendo di sbloccare i cantieri. Il presidente della regione Marco Marsilio ha chiesto lumi ad Alfonso Toto, il figlio che si occupa delle costruzioni, mettendo sotto pressione Toninelli il quale è stressato anche in Liguria dove il Terzo Valico non parte. A settembre dello scorso anno è stato interrotto il pagamento degli stipendi, poi ripreso.
Hanno volato con Alitalia 21 milioni 491 mila 659 persone, certo poche rispetto a Lufthansa, ma rappresentano comunque una clientela che può far gola. Il problema è avere la capacità operativa e la forza finanziaria per gestire un settore ipercompetitivo
Sembrava che il gruppo Toto fosse tornato a occuparsi del suo core business, là dove aveva cominciato alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, lasciando perdere il trasporto aereo. Tanto che con il ricavato della vendita di AirOne aveva acquistato la quota delle autostrade abruzzesi in mano ai Benetton. Il volo era stato un azzardo, ma anche una felice intuizione. Nel 1988 aveva comprato una piccola compagnia, la Ali Adriatica e con il nome di AirOne l’aveva trasformata nella principale concorrente di Alitalia sui voli interni, compresa la rotta d’oro, la Roma-Milano. Un rottura del monopolio salutare per i viaggiatori, un primo brutto colpo per l’Alitalia. Per Carlo Toto è un salto che lo proietta nel gran mondo della politica e degli affari, tanto che nel 2000 arriva la Strada dei Parchi. Finché l’alta velocità ferroviaria non erode i guadagni sulla Roma-Milano e cominciano i guai. Nel 2008 Toto vende la compagnia aerea per 454 milioni di euro. Ottiene anche che i debiti finanziari, per 600 milioni, ricadano su Alitalia, ma nel complesso perde 410 milioni di euro, perché AirOne era scritta in bilancio per 860 milioni di euro.
Toto resta ancora, come azionista, con 60 milioni di capitale, in Cai guidata da Roberto Colaninno e composta dai “capitani coraggiosi” reclutati dalla Banca Intesa di Corrado Passera, ma rimane anche come fornitore di Alitalia. La AP fleet, una società che Toto ha incorporato in Irlanda, si impegna a dare in leasing una flotta di almeno 70 Airbus a canoni, secondo il Sole 24 Ore, assai elevati. Già nel 2009 Toto fatica a consegnare gli aerei promessi, tanto che Airbus rescinderà il contratto per inadempienza e Toto pagherà penali salate. Il fisco chiede decine di milioni di euro di danno erariale che finisce su Alitalia la quale dovrà assumere anche mille precari. La compagnia vuole un indennizzo e si va in arbitrato. Siamo nel 2012. L’anno dopo Enrico Laghi, uno dei tre commissari che all’epoca era nel cda di Alitalia, stima che la compagnia abbia subito un danno da 150 milioni. Ma tra il 2011 e il 2013, Toto gira, con tre operazioni straordinarie, l’intero patrimonio immobiliare della sua Holding, debitrice di Alitalia, a tre società partecipate. Toto soccombe in una serie di arbitrari minori per 19 milioni e si apre la causa fiscale per le società irlandesi. La Guardia di Finanza contesta evasione, tra il 2002 e il 2008, per 250 milioni. Il Tribunale accerta debiti fiscali per 42 milioni. Paga Alitalia che si rivarrà su Toto il quale contrattacca e deposita alla Corte di Giustizia di Londra un atto di risarcimento da 260 milioni di dollari: non è lui che non consegnava gli Airbus in leasing, ma al contrario fu l’Alitalia a non volerli più ritirare. Ebbene, 260 milioni di dollari sono grosso modo 250 milioni di euro, quelli che dovrebbero entrare nella nuova compagnia.
I soldi, è una questione di soldi. La holding Toto nel 2016, ultimo bilancio consolidato consultabile sul sito della società, registrava ricavi di 401 milioni di euro (circa la metà grazie alle tariffe autostradali), una perdita netta di 2,136 milioni e una posizione finanziaria netta negativa pari 478 milioni più 630 milioni verso l’Anas (la quale oggi fa parte delle Fs che saranno, secondo i piani, azioniste della nuova Alitalia). In tutto i debiti arrivavano a un miliardo e 128 milioni. Cinque mesi fa la capogruppo nella quale sono state riorganizzate tutte le attività, ha venduto a Edf, la società elettrica francese, la US Wind che ha un enorme parco eolico nel New Jersey, ricavando 215 milioni di dollari (ci saranno poi altri pagamenti fino ad arrivare a circa 400 milioni). Toto poi ha intenzione di cedere altri asset per fare cassa. Questa nuova liquidità finirà in Alitalia o servirà a ridurre i debiti?
L’Alitalia è nel territorio del né né: troppo piccola per competere con le tre big europee: Lufthansa, British Airways, Air France-Klm; troppo grande come struttura e modello di business per essere una low cost e far concorrenza a Ryanair che, in effetti, l’ha superata
Soldi, sempre soldi; è che per far volare gli aerei ce ne vogliono davvero tanti. La gestione commissariale ha rimesso in sesto un po’ di conti all’Alitalia. I ricavi passeggeri sono aumentati l’anno scorso del 6,9%: 2,628 miliardi, 171 milioni più del 2017. Nel lungo raggio l’incremento è pari al 9%. Il prezzo medio del biglietto è cresciuto del 6% e anche il cargo ha visto un aumento dei ricavi pari al 9,4%. Hanno volato Alitalia 21 milioni 491 mila 659 persone, certo poche rispetto a Lufthansa, ma rappresentano comunque una clientela che può far gola. Il problema è avere la capacità operativa e la forza finanziaria per gestire un settore ipercompetitivo. E qui vengono i problemi.
L’Alitalia, sostengono in molti, ha un problema di costi “fuori controllo” soprattutto in tre aree: il carburante, la manutenzione e il leasing degli aeromobili. Il carburante, hanno spiegato i commissari continua a crescere da 708 a 808 milioni tra il 2017 e il 2018, pari al 26,3% dei ricavi. I costi di manutenzione sono scesi da 336 a 327 milioni e sono il 10,6% dei ricavi, il leasing è passato da 298 a 237 milioni ed è pari al 7,7% dei ricavi. Ma la voce più importante dopo il carburante è senza dubbio il costo del lavoro per i 10.711 dipendenti (1.384 piloti), anche questo è passato da 599 a 589 milioni pari al 19,2% dei ricavi. In cassa a fine 2018 c’erano 506 milioni dei 900 milioni di prestito concesso dal governo nel maggio 2017. Insomma, una buona e cauta gestione può impedire che escano dal controllo le voci di bilancio, almeno quelle controllabili. Ma ciò non basta, bisogna investire e una società commissariata non investe, come dimostra la relazione presentata in parlamento. Bisogna avere nuovi aerei, aprire nuove rotte, creare nuove formule per attirare nuovi passeggeri. Ciò vuol dire che occorre una strategia.
L’Alitalia è nel territorio del né né: troppo piccola per competere con le tre big europee: Lufthansa, British Airways, Air France-Klm; troppo grande come struttura e modello di business per essere una low cost e far concorrenza a Ryanair che, in effetti, l’ha superata. Di idee gli esperti ne hanno tirate fuori a bizzeffe, compresa quella di dividerla in due facendo sì che ciascuna vada per la sua strada. Chiuderla è costoso e non solo politicamente. In fondo i miliardi pagati dai contribuenti (7,4 ha calcolato Mediobanca, ma nel frattempo sono aumentati) sono serviti soprattutto per ridimensionare la compagnia, per pagare il dimezzamento dei dipendenti. Chissà che cosa sarebbe accaduto se fossero stati usati bene per comprare più aerei? È una domanda contro-fattuale, ma la storia si fa anche con i se. Meno ipotetica è la reazione dell’Unione europea, perché gira e rigira lo stato italiano continuerà a mettere altri soldi in Alitalia. Da Bruxelles, una volta formata la nuova commissione nella quale, a quanto sembra, i nazional-populisti non avranno la maggioranza, lancerà fulmini e saette. E l’Alitalia tornerà alla casella di partenza.