I nostri Notre-dameAltro che Notre-Dame: i monumenti italiani sono in pericolo (e nessuno tenta di salvarli)

I monumenti che non hanno attivate misure antincendio adeguate alla norma sono almeno 314 e all'appello mancano ancora sei regioni. La soluzione? I fondi ci sono ma vengono usati male, mentre avanza anche il rischio idrogeologico e sismico su alcuni beni culturali del Paese patrimonio dell'umanità

Lacrime e denaro hanno spento il rogo di Notre-Dame. Quello che ha dilaniato non solo la capitale francese, ma l’intera Europa. Una fiamma strozzata dal calore delle persone, oltre alla definitiva secchiata d’acqua arrivata dai vari Pinault e Arnault con ingenti somme per la ricostruzione, capaci di mettere da parte rivalità storiche per stringersi sotto un unico grande cappello: quello della cultura.

Cultura di cui l’Italia, dati alla mano, nel 2018 conferma il primato con 54 beni Patrimonio mondiale dell’Unesco (pari a circa il 5% del totale). Niente male per uno tra i peggior Paesi in termini di spesa pubblica per la cultura: “nel 2016 la spesa per i servizi culturali (che includono tutela e valorizzazione del patrimonio) è stata pari allo 0,31% del Pil – meno dell’anno precedente e al disotto della media Ue”. Ebbene sì, l’Italia del Brunelleschi, del Vasari, del Giotto e del Bernini paga uno scotto traducibile in poca manutenzione delle opere e dei monumenti e, in sostanza, un deterioramento di alcune bellezze uniche nel suo genere.

E mentre per la cattedrale parigina un “cuscino” finanziario formato da Stato e privati a poche ore dall’incendio ne ha attutito la caduta, architettonica e culturale, per l’allora dimore di Medici e imperatori come Adriano, lo Stato italiano al momento riserva ben poco. E sebbene la questione riguardi sia i siti di interesse statale sia quelli ecclesiastici (che, manco a dirlo, fanno storia a sé), la spia di allarme coinvolge principalmente i monumenti sotto il controllo del Mibac. Con la latente paura non solo del rischio di incendio, bensì più in generale di catastrofi.

Tra gli “ammalati” compare anche – no, non è una battuta! – l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, il quale necessita di oltre 2 milioni di euro per la messa in sicurezza del sistema antincendio

Nella fattispecie, però, se si dovesse presentare un disastro come quello di Notre-Dame, i monumenti italiani saprebbero “difendersi”? Secondo l’ultima relazione tecnica stilata per l’attuazione del D.P.R. 1 Agosto 2011, n. 151 per la sicurezza antincendio, i monumenti che non hanno attivate misure antincendio adeguate alla norma sono almeno 314 (all’appello mancano ancora regioni come Lombardia, Liguria, Marche e Molise, Val D’Aosta e Trentino). Un numero spaventoso, con l’aggravante esterna dei rischi sismici e idrogeologici.

Il piano prevede una copertura finanziaria che, grazie alle attività del MiBAC, in qualità di Organismo intermedio per l’Asse I del Programma Operativo Interregionale (POin) “Attrattori culturali, naturali e turismo”, potrà recuperare un rimborso da parte della Commissione Europea di 109.475.469,65 euro, destinati esclusivamente a superare in modo organico l’emergenza e assicurare un livello adeguato di sicurezza. Se non altro, a correre in nostro aiuto c’è l’Europa, in quanto come notifica il MiBAC: “L’esito della ricognizione ha rappresentato un fabbisogno complessivo di € 125.437.997,68, di cui € 15.962.528,03 già assegnati su altre linee di programmazione. Le attività finanziate interessano gli adempimenti amministrativi, le spese tecniche e i lavori/forniture”.

Un aiuto non da poco, se si conta che solo il Giardino di Boboli, nella sua interezza amministrativa, richiede 3,6 milioni di euro, mentre l’Archivio di Stato di Trapani circa 1 milione e la Biblioteca Universitaria di Torino 4,7 milioni di euro, ma che tutto sommato potrebbe essere inserito nel bilancio statale al posto, per esempio, della voce “acquisto auto blu e grigie” (170 milioni). Archivi, biblioteche, monumenti e teatri che vanno ad aggiungersi a bellezze famose in tutto il mondo come Palazzo Altemps (2,7 milioni), Villa Adriana (1,685 milioni) e Palazzo Barberini (870mila euro). Tra gli “ammalati” compare anche – no, non è una battuta! – l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, il quale necessita di oltre 2 milioni di euro per la messa in sicurezza del sistema antincendio. Il nesso logico porta, dunque, a scomodare i vari precedenti come il Teatro La Fenice di Venezia e il Petruzzelli di Bari, che (forse) non sono poi tanto un caso.

A quasi otto anni dalla legge sulla prevenzione degli incendi, niente o quasi del patrimonio culturale italiano è a norma. Le spese sono (realmente) incalcolabili e la coperta sempre troppo corta

Bravi a costruire, pessimi a mantenere. Il cuore in fiamme nel centro dell’Europa, pertanto, ha illuminato un altro retroscena tutto all’italiana: “La lista rossa” di Italia Nostra, l’Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, segnala siti archeologici meno conosciuti (da interi centri storici, a borghi e castelli) in stato di precarietà o di abbandono.

Questo complesso parallelo ai circuiti turistici più battuti, porta con sé lo stigma del rischio sismico e oltremodo quello idrogeologico. Se guardiamo meglio infatti il fantasma del rogo non è il solo a incombere sui siti italiani. Il report dell’Ispra fornisce una mappatura dei beni culturali italiani a rischio sismico e idrogeologico: rispettivamente 37.847 (pari al 18,6% del totale) e 31.137 (15,3%). Le aree più a rischio si registrano in Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Campania e Liguria, dove da anni si impegnano fondi per rifare il trucco senza mai intervenire seriamente sullo scheletro delle opere. A Roma, per giunta, sono quasi 3 mila i beni culturali a rischio, mentre a Firenze circa 1.300, tra cui la Basilica di Santa Croce, la Biblioteca Nazionale, il Battistero e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore.

E i fondi spesi fino a questo momento? A quasi otto anni dalla legge sulla prevenzione degli incendi, niente o quasi del patrimonio culturale italiano è a norma. Le spese sono (realmente) incalcolabili e la coperta sempre troppo corta. Non solo. Perché se si fa riferimento al biennio 2017-2018 la relazione tecnica che accompagna il Piano Strategico Grandi Progetti Beni culturali parla chiaro: “Per la realizzazione del Piano strategico riferito alle annualità 2017 e 2018 la disponibilità finanziaria è assicurata dall’art. 1, c. 337 della Legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Stabilità 2016) che autorizza la spesa di 70 milioni di euro per l’anno 2017 e di 65 milioni di euro per l’anno 2018, per un ammontare complessivo di 135 milioni di euro nel biennio”. Investimenti – contro ogni previsione! – mai utilizzati.

Fondi che vanno, fondi che vengono, senza tuttavia un briciolo di risultato. E se da una parte l’alleanza firmata da Cattolica Assicurazioni e la Conferenza episcopale italiana espande una protezione assicurativa contro i rischi catastrofali su ben 25. 796 parrocchie di 225 diocesi italiane, salvaguardandole anche dal rischio incendio “tutelando il cantiere nella sua interezza: con una copertura denominata CAR (Contractor’s all risk), che indennizza in maniera diretta gli eventuali danni alle opere previste nell’appalto, agli immobili e ai beni che si trovano nel cantiere e causati da chi partecipa ai lavori”, l’altra fronda, quella statale, in caso di catastrofe o incendio, può contare solo su una copertura assicurativa: i fondi pubblici italiani. Il che non fa proprio ben sperare.