RinnovamentoParlare ai giovani e buttarsi a sinistra: solo così il Pd di Zingaretti può diventare una cosa nuova

Nuova classe dirigente, nuova proposta, nuovi valori e soprattutto basta con le divisioni. Il governatore del Lazio può cambiare le sorti del Pd e della sinistra, ma per farlo deve abbandonare i riti e le logiche della vecchia politica

Foto tratta dalla pagina Facebook

Ovunque, nel mondo, la crisi economica dell’ultimo decennio ha accelerato la crisi del vecchio sistema politico e dei vecchi partiti che ne incarnavano lo spirito, spesso bipolarista. Talvolta, questi partiti – fino a quel momento concorrenti e alternativi per definizione – si sono dovuti alleare per frenare l’emergere di forze politiche nuove. In alcune occasioni, sono riusciti a limitarli. In altre, hanno solamente prolungato la propria agonia.

In buona parte d’Europa, infatti, i partiti a sinistra delle forze politiche tradizionali ottengono risultati importanti (Podemos, Grüne, la France Insoumise), occupando uno spazio nuovo. In Italia, invece, dal 2008 in poi la sinistra è diventata un laboratorio in divenire, logorata da divisioni decennali, personalismi e proposte che spesso sanno di stantìo.

La risposta alla domanda di novità e radicalità di ex elettori di centrosinistra che ora si sentono spaesati non può essere un insieme di etichette e di nomi appartenenti al vecchio establishment. Soprattutto quando la concorrenza nello spazio politico anti-sistema è rappresentata da una forza politicamente e mediaticamente rilevante come i 5 Stelle. Questo ha portato al fallimento di Liberi e Uguali, mentre alle prossime europee ciò che frenerà l’ascesa della sinistra sarà l’altro grande vizio a cui ci ha spesso abituato, già a partire dalla fine degli anni ’10 dello scorso secolo: la naturale propensione alla divisione. Marciare separati per colpire separati. O, in alcuni casi, proprio senza colpire.

Per Zingaretti si apre un’opportunità importante. Quella di ricostruire un rapporto con l’elettorato della sinistra che ha abbandonato il Pd

In questo scenario, per il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti si apre un’opportunità importante. Quella di ricostruire un rapporto con l’elettorato della sinistra che ha abbandonato il Pd. Per intercettarlo, vale anche per lui la necessità di innovare e lasciarsi alle spalle le ricette tradizionali, costruendo qualcosa di diverso. Uno spazio aperto, radicale nelle proposte (a partire da temi come l’ambiente) e con una nuova classe dirigente, che strizzi l’occhio a una generazione delusa.

Una sfida difficile e rischiosa, ma le elezioni non si vincono più al centro. E non si vincono più con risposte tradizionali. Quindi una soluzione per il Pd di domani può essere un rinnovamento vero, che sfugga ai riti e alle logiche della politica ormai classificata come “vecchia”. Salvini ha avuto successo perché ha operato un rebranding vero nella Lega: non sono il cambiamento di nome e simbolo i perni di questa operazione, ma il rinnovamento radicale della proposta politica.

E la direzione del Pd di Zingaretti può essere proprio questa: un rebranding del partito. Nuova classe dirigente, nuova proposta, nuovi valori. E, per usare una metafora calcistica, nuovi “schemi di gioco”. Nome e logo vengono dopo, e non devono essere un tabù. Renzi riuscì in questa operazione (senza cambiare nome e simbolo) nel 2014, allargandosi a orizzonti più centristi, ma deludendo presto; il governatore del Lazio oggi può provarci spingendo verso sinistra. La stessa operazione riuscì a Jeremy Corbyn e potrebbe riuscire nelle prossime settimane a Sanchez. Presto vedremo se i tempi sono maturi anche per il Pd.

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