Buon compleanno, EmergencySe avesse vent’anni di meno tornerebbe a operare in Afghanistan, dice Gino Strada

Emergency festeggia 25 anni di attività con una serie di eventi a Milano. Se dovesse scegliere un momento per ricordare questi anni il fondatore sceglierebbe «una foto in cui gioco a pallone con dei ragazzini curdi iracheni. Li avevo operati perché avevano subito un amputazione dopo essere stati feriti da una mina. Uno di quei ragazzini oggi fa l'avvocato»

LaPresse

Gino Strada è morto all’età di 73 anni il 13 agosto 2021. Soffriva di problemi di cuore

L’ufficio di Gino Strada è spoglio. Sul pavimento ci sono solo un trolley nero, imballato, e un quadro non appeso. Più che un ufficio sembra la testimonianza di una vita spesa ad aiutare gli altri, sempre in viaggio tra una zona di guerra e l’altra. L’unico libro appoggiato sul davanzale è un testo di medicina: l’Oxford textbook of surgery, volume 1. Siamo a Milano, nella sede di Emergency di Porta Ticinese. All’entrata di questa ex scuola c’è una mappa del mondo bianca su sfondo rosso con in basso un numero composto da sette blocchetti segnapunti: 9.940.100. Sono le persone aiutate da Emergency che questa settimana festeggia 25 anni con una serie di eventi a Milano. «Ma quel numero non è aggiornato. Abbiamo superato i 10 milioni di pazienti», assicura il fondatore, mentre si accende una sigaretta, la prima di tre. Mentre parliamo la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato dalla nave Ong Sea Watch 3 che da 13 giorni chiede di poter approdare in Italia. Rimangono a bordo i 42 migranti a 16 miglia dalle acque territoriali italiane.

Strada, ma perché “Ong” è diventata una parolaccia per l’opinione pubblica?
L’impressione è che siamo in un periodo di grave crisi di valori nella società. Viviamo in un Paese dove stiamo assistendo, anzi ormai abbiamo assistito, alla nascita di una nuova forma molto pericolosa di fascismo. Chi aiuta oggi viene criminalizzato. Questa è una cosa enorme.

Perché?
Perché chi li criminalizza è un fascista, razzista e criminale.

Facciamo il nome: Matteo Salvini. Cosa pensa degli attacchi su Facebook che le ha riservato il ministro dell’Interno?
Possono dire quello che vogliono. Non credo che questo vada a minare quello che abbiamo fatto o la credibilità che Emergency si è costruita negli anni. I politici sono straordinari perché la critica che fanno più frequentemente agli altri è quella di far politica. Ma loro non sono politici? Se fosse così inomigniosa la cosa, perché attaccarmi? La realtà è che non pensano a quello che dicono.

Tempo fa disse che questo governo è “formato metà da fascisti e metà da coglioni”. Oggi cambierebbe gli aggettivi?
No, cambierei qualche percentuale.

Lei però attaccò anche il Pd e la gestione dei migranti da parte di Marco Minniti.
Tra Salvini e Minniti non ci sono grandi differenze. Minniti è certamente più intelligente, non è un bifolco. Ma entrambi condividono una pratica: si possono anche sacrificare vite umane rispetto a una priorità: l’impenetrabilità dei nostri confini. Non è così lontano dall’idea della “Fortezza Europa” di Adolf Hitler.

Medico, attivista, filantropo. Lei ha vissuto tante vite. Quale etichetta le piace di più?
Mi considero un chirurgo. È quello che so fare meglio e che ho fatto la maggior parte della mia vita. Ho passato trent’anni a operare. Poi anche un chirurgo può avere una sua idea sul mondo e sulla società. Sono un essere umano.

Strada, com’è nata Emergency?
Emergency è nata come una risposta logica a una situazione che mi era capitato di conoscere bene avendo lavorato per un po’ di tempo nelle zone di guerra. Nonostante qualcuno si desse da fare, gli aiuti non erano sufficienti, né di alto livello per i feriti nei conflitti. E non lo sono tuttora. Eravamo quindici, venti tra medici e infermieri. Ci siamo messi a dare una mano. Siamo andati in Rwanda a curare i pochi tutsi scampati al genocidio.

Cos’è cambiato da quel 1994?
È stato un percorso. Quando la vivi al di dentro ti accorgi meno che stai crescendo, noti meno le differenze. Nessuno pensava che Emergency avrebbe fatto quel che ha fatto in 25 anni. È stata una gradita sorpresa. Ciò che ci ha permesso di essere ancora qui è il gradimento della gente, aumentato sempre più negli anni.

Da chirurgo qual è stato il suo intervento più difficile?
Nella chirurgia di guerra non c’è un intervento difficile. Ci sono situazioni difficili perché per definizione non sai cosa trovi in una zona di conflitto. Devi esserti fatto un’esperienza nel saper trattare tutte le regioni del corpo in base a certe priorità. Assomiglia per certi aspetti alla chirurgia d’urgenza. Per altri no perché c’è un’altra variabile.

Quale?
Il fatto che i pazienti vengano colpiti da schegge, bombe proiettili, mine. Tutte cose che non sono sterili, ma sporche. Nella chirurgia di guerra è fondamentale rimuovere tutti i tessuti che sono poco vitali e ormai morti perché se non li rimuovi si trasformano in ascessi e infezioni. Ormai non mi ricordo più nemmeno il primo che ho operato per Emergency, sono passate oltre diecimila persone sotto i miei ferri.

In Molise lo Stato fa fatica a trovare i medici per il pronto soccorso, com’è messa Emergency?
Non è facile trovare persone che abbiano voglia di fare questo mestiere. Si trovano medici che hanno voglia di fare un’esperienza. Però la maggior parte dei casi quella breve esperienza si chiude lì. Rimangono tre o sei mesi, al massimo un anno. Non c’è l’intenzione di farlo diventare un lavoro continuativo. E questa è la cosa che ci crea più problemi. Più veloce è il turn over del personale, più è difficile portare avanti un lavoro di routine.

Se avesse vent’anni di meno, in quale Paese andrebbe a operare?
In Afhganistan perché è il Paese che mi ha affascinato di più al mondo. Ci ho vissuto per sette anni, anche se in modo non continuativo. Ed è molto più facile lavorare in Afghanistan che in Italia.

Addirittura.
In Italia per aprire un poliambulatorio bisogna aspettare due anni solo per una firma. Sono capitate cose grottesche in questo Paese. A Ponticelli, in provincia di Napoli, abbiamo ristrutturato l’edificio per farne un poliambulaboratorio che ancora funziona. Quando si è trattato di firmare il quello che si chiama tecnicamente “il cambio di destinazione d’uso” dell’edificio da ricreativo a sanitario, il funzionario disse: “Questo stabile non sta a catasto”. E ce l’aveva dato il Comune. In Italia ti prendono per sfinimento, la resistenza passiva della macchina burocratica. In Afghanistan per aprire un poliambulatorio o un posto di pronto soccorso, ci metti tre giorni. E l’Italia non ha capito niente della loro cultura.

Cosa non sappiamo?
Niente. L’Italia è entrata in guerra. il 7 ottobre del 2001. Al ministero degli Esteri non avevano alcun contatto in Afghanistan. Non sapevano niente. Al Tg1 l’anchorman Davide Sassoli, oggi europarlamentare europeo annunciò che le nostre portaerei erano al largo delle coste afghane. Ma c’è un problema: l’Afghanistan non ha il mare. Ecco, era questo il livello della conoscenza dell’Afghanistan. E non è cambiato molto. L’Italia non aveva nessun rapporto con i talebani perché non sapeva nemmeno che esistessero. Il nostro Paese è entrato in guerra perché è una colonia degli Stati Uniti d’America. Sono i padroni del mondo, lo vediamo anche con quello che stanno facendo con l’Iran. Certo se hanno interlocutori come i nostri politici hanno gioco facile.

In Italia però non si parla quasi mai di guerra.
Viviamo in una specie di bolla. Perché il nostro Paese nonostante quello che dice la Costituzione è in guerra da anni. La cosa viene sottaciuta o si usano paroloni come peacekeeping e azioni di pace, ma la realtà è ben diversa. Siamo stati coinvolti in diversi conflitti: in Iraq. Afghanistan, pure in Yemen abbiamo lo zampino. Ma Emergency continuerà comunque ad aiutare le vittime dei conflitti.

Qual è il più bel ricordo di questi 25 anni di Emergency?
Sceglierei una foto in cui gioco a pallone con dei ragazzini curdi iracheni. Li avevo operati perché avevano subito un amputazione dopo essere stati feriti da una mina. Uno di quei ragazzini oggi fa l’avvocato e verrà in questi giorni al nostro incontro nazionale.

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