Fuga dei camici bianchiItalia senza medici: la scomparsa dei camici bianchi è già un problema (e tra 15 anni sarà una tragedia)

In Molise saranno impiegati medici militari, a Firenze assunti dei neolaureati e in generale per tutto lo Stivale richiamati quelli in pensione. L'Italia è nel bel mezzo di una crisi del sistema sanitario: tra tagli di fondi e borse di studio, la conseguenza è una nuova fuga di camici bianchi

La crisi di uno Stato si vede da molti aspetti. Uno fra tutti, la sanità. E sia chiaro: quella italiana è tra le prime cinque al mondo, sia per rapporto costi e aspettativa di vita sia per la qualità di alcuni centri ospedalieri. Assistenza gratuita garantita, fruizione di servizi e alta preparazione professionale dei medici sono il connubio perfetto di questa macchina sanitaria copmpressivamente -fanno eccezione evidenti disparità Nord Sud- ben oliata. Macchina che, per l’appunto, rischia però di perdere una parte fondamentale dei suoi ingranaggi: ovvero i camici bianchi.

La crisi che ha fatto scattare l’allarme è facilmente riassumibile: una fetta importante dei medici italiani sta andando in pensione e la catena di formazione non riesce a sostituirli con giovani leve. Mancano medici, in altre parole. E secondo le proiezioni dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane (calcolate sui dati del Miur e del Ministero della Salute) dei 56 mila medici che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) perderà nei prossimi 15 anni saranno sostituiti solo il 75%, cioè 42 mila.

Non c’è da stupirsi pertanto se in Molise saranno impiegati medici militari, nel pronto soccorso di Firenze assunti dei neolaureati e in generale per tutto lo Stivale richiamati i medici in pensione. Misure straordinarie, da zona di guerra, che difficilmente possono trovare una soluzione con interventi di breve/medio termine.

Nell’ipotesi infatti che nel prossimo anno accademico 2019/2020 siano immatricolati 10 mila studenti, si può prevedere che di questi circa 8 mila e 700 saranno laureati tra 6 anni, e in circa 10 anni quindi in Italia ci saranno circa 49 mila nuovi laureati in medicina e chirurgia, 42 mila dei quali dunque saranno specializzati.
Tutto sommato però l’Italia, secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2016 è la seconda nazione dopo la Germania per il numero di medici attivi (240.000), mentre in termini di età, è sì medaglia d’oro, ma i circa 54 anni di media dei camici bianchi non è sicuramente un record di cui andare fieri.

Ogni anno sono 1500 i medici che vanno a specializzarsi all’estero, traducibili anche come 225 milioni di euro di formazione spesi dall’Italia, in quella che si potrebbe chiamare la nuova “fuga dei camici bianchi”

Il blocco delle assunzioni attivato dal Ministro Grillo in accordo con le Regioni, facendo saltare un vincolo risalente al 2009 che obbligava quest’ultime a spendere per il personale quanto nel 2004 meno l’1,4%, ha dato il via infatti a un effetto domino difficile da arrestare.
Per capire il vero problema del sistema sanitario italiano si deve qualche passo fuori dalla corsia. In realtà i pochi posti e il blocco delle assunzioni, e di conseguenza l’assenza di turnover, sono soltanto il riflesso della criticità principale: quella delle borse di specializzazione.

Il numero programmato nelle università deriva da un calcolo ponderato – sulla base del numero dei docenti, delle aule, dei laboratori e delle attrezzature disponibili – in grado di produrre un’iniezione nel mercato di circa 10 mila dottori neolaureati. Ai quali per esercitare serve tuttavia una specializzazione, in seno agli stessi ospedali “universitari” che al momento contano quasi 7 mila borse disponibili. E i restanti 3 mila? La Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri stima che ogni anno sono 1500 i medici che vanno a specializzarsi all’estero, traducibili anche come 225 milioni di euro di formazione spesi dall’Italia, in quella che si potrebbe chiamare la nuova “fuga dei camici bianchi”.

Non basta aprire le porte a tutti i 65 mila che ogni anno in media sostengono il test di Medicina, anche se alla laurea ne arrivano poi 50 mila. La soluzione è un pacchetto d’interventi che aumenti i posti per il corso di Medicina Generale, contrattualizzi gli specializzandi dell’ultimo anno (come il decreto Calabria, anche se con qualche aggiustamento), liberi altri fondi e soprattutto recuperi quelli persi con le borse abbandonate. Tra il 2016 e il 2017 sono state 510 le specializzazioni orfane, in quanto una buona parte dei medici che aveva vinto un posto ha tentato l’anno successivo il concorso per una nuova specialità (magari la propria prima scelta) e a coloro cui è riuscita l’impresa, hanno abbandonato la specializzazione in atto, sprecando di fatto una borsa.

Una situazione, quindi, tutt’altro che curata, anzi. La “fuga” dei camici bianchi potrebbe intensificarsi in questi anni, con un 71% degli intervistati under 40 che valuta o ha già deciso che per la propria specializzazione andrà all’estero.

La contrazione dell’organico del servizio sanitario nazionale è perciò solo una forma fisiologica di reazione a tutto questo. Dai dati pubblicati dal Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato (2013-2016), compare come il tasso di compensazione del turnover sia “inferiore a 100 (…) In particolare, nel 2016 si registra un tasso di compensazione del turnover nazionale del 97,2%, ma nel 2015 si è attestato al 76,3% e nel 2014 all’80,5%. L’ultimo triennio segue a un trend storico, tra il 2008 e il 2012, in cui si è osservato un tasso di compensazione costantemente in riduzione, dal 97,2% del 2008 è sceso fino al 68,9% nel 2012”.

La Lombardia si schiera tra le regioni con la dotazione minore di medici, assieme a Lazio e Molise, con 1,3 e 1,4 medici ogni 1.000 abitanti

Per dire: l’andamento dell’occupazione nel periodo 2009/2017 è passato da 118.659 medici a 110.885. E non finisce qui, perché in termini di specialità l’assenza di camici bianchi in medicina d’urgenza, pediatria, medicina interna, anestesia e rianimazione, assume toni tragici.

Rispettivamente in Campania sono 800 i medici mancanti all’appello, 510, 377 e 315 in Lombardia. Quest’ultima inoltre si schiera tra le regioni con la dotazione minore di medici, assieme a Lazio e Molise, con 1,3 e 1,4 medici ogni 1.000 abitanti (la media nazionale si piazza a 1,7).

Ma come siamo arrivati fino a questo punto? Dal rapporto pubblicato dall’Ue-Ocse 2017/18 sullo stato di salute dei sistemi sanitari europei, emerge come in Italia si spendono 2.551 dollari pro capite per la sanità, contro i 2.773 della media Ue. Umiliati dai 4.713 del Lussemburgo e dai 4.160 della Germania, anche in chiave Pil il Bel Paese si blocca all’8,9%, rispetto all’11% di Francia e Germania, in testa alla classifica. Alla voce sprechi, senza troppe sorprese, l’Italia non si sottrae dal passare sotto le forche caudine, con un 19% di “spesa improduttiva” in quanto “i pazienti ricevono test non necessari o cure che potrebbero essere somministrate con meno risorse”.

La politica nel frattempo, oltre a scoprire la mancanza di personale solo dopo le minacce di chiusura dei reparti da parte di alcuni ospedali, si è trovata a dover fare i conti con un’economia nazionale depauperata. La bozza del nuovo Patto per la salute, l’accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, contiene all’articolo 1 una clausola finanziaria che vincola l’incremento del Fondo previsto per la sanità nella legge di bilancio 2019 (2 miliardi in più per il 2020 e 1,5 miliardi per il 2021) “al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e variazioni del quadro macroeconomico”. Semplificando: per mantenere Quota 100 e Reddito di cittadinanza dovranno essere fatti dei tagli alla sanità. Come se non bastasse, visto che proprio Quota 100 accelera le uscite dei medici dal Ssn per quiescenza, mentre la flat tax al 15 e 20% favorisce il lavoro nel privato, considerando che la tassazione di quello pubblico arriva a un’aliquota marginale del 43%.

La Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, valuta i costi annuali della medicina negativa o difensiva sui 10 miliardi di euro, pari allo 0,75% del Pil

Insomma, tra concorsi disertati e specializzazioni all’estero, spesso, traspare il paradosso: sarebbe colpa dei medici se mancano medici. Ovviamente non è così.
I malati, in questo Paese, sono trasformati in numeri e per una serie di campagne mediatiche insinuanti la cosiddetta malasanità ha creato un rigonfiamento dei costi assicurativi e della medicina difensiva.

Certe discipline sono diventate una sorta di girone infernale, dove la paura per accuse o cause diventa più forte della vocazione ippocratica. La Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, valuta i costi annuali della medicina negativa o difensiva sui 10 miliardi di euro, pari allo 0,75% del Pil. Questo correre ai ripari incide sulla spesa sanitaria in misura pari al 10,5% del totale.

In un contesto del genere, ci chiediamo ancora perché ci sia una fuga di camici bianchi? La scelta di migliaia di giovani medici ricade semplicemente sulla necessità di realizzarsi professionalmente. Senza il rischio di essere trascinati in tribunale o di non avere a disposizione adeguate strumentazione. Perché è bene ricordare che l’Italia, in tutto questo, secondo i dati 2018 dell’Osservatorio Innovazione in Sanità Digitale del Politecnico di Milano, investe in sanità digitale solo 22 euro pro-capite contro i 60 delle Gran Bretagna e i 40 della Francia.

A conti fatti, il governo, anche se in netto ritardo, sembra aver aperto gli occhi: non sufficientemente, ma le borse di specializzazione sono aumentate, mentre l’emulazione del modello francese, privo del numero chiuso e del test di ingresso al primo anno, sembra ancora un nebuloso traguardo. Una risposta pertanto tenue, le cui ripercussioni – proprio così! – le scontano ospedali e medici, ma in primis i pazienti italiani.

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