Il problema relativo alla presenza delle plastiche nei mari e oceani di tutto il mondo non è purtroppo l’unico aspetto negativo per gli organismi e l’uomo. È infatti provato che i diversi oggetti plastici, una volta rilasciati o abbandonati in ambiente, possono subire una frammentazione da parte dei fenomeni atmosferici (come pioggia, neve e grandine), dall’abrasione meccanica e dalla luce solare. Questo processo porta alla produzione delle cosiddette micro- e nanoplastiche: frammenti plastici con dimensioni comprese rispettivamente tra 1 μm e <1mm e tra 1 nm e <1 μm (Hartmann et al., 2019). Questa frammentazione in particelle più piccole rappresenta un nuovo problema ambientale, in quanto minori sono le dimensioni dei frammenti, maggiore è la probabilità che entrino negli organismi.
Le micro- e nanoplastiche possono avere un’origine primaria, se rilasciate in ambiente da prodotti di largo consumo che le contengono quali paste dentifricie, creme cosmetiche ed esfolianti, oppure essere prodotte dalla degradazione di bottiglie e buste in plastica, reti da pesca abbandonate, oggetti plastici per la casa. Non è, però, solo lo scarico illegale e l’abbandono di materiale plastico che porta alla contaminazione dei corpi idrici, ma anche alcuni comportamenti legati alle nostre abitudini e stili di vita sono responsabili di una parte dell’inquinamento da micro- e nanoplastiche.
Una recente ricerca inglese ha, infatti, mostrato come il lavaggio di 6 kg d’indumenti in acrilico possa rilasciare fino a 700.000 fibre sintetiche (Napper e Thompson, 2016). Anche il traffico veicolare è una causa di contaminazione, legata alla generazione di microplastiche da parte dell’usura degli pneumatici (Lassen et al., 2015).
Un’altra caratteristica negativa delle micro- e nanoplastiche è legata alla loro capacità di assorbire molti inquinanti ambientali, oltre a microrganismi patogeni, e di veicolarli all’interno degli organismi
A differenza delle cosiddette macroplastiche, questi frammenti sono spesso difficili da osservare o, nel caso delle nanoplastiche, addirittura invisibili. Ciò rende problematico non solo rilevarle in ambiente, ma obbliga a ricorrere a tecniche complesse, lunghe e costose per la loro identificazione. Inoltre, poiché esistono attualmente in commercio più di 5.300 differenti polimeri sintetici, il loro studio risulta particolarmente difficile.
Un’altra caratteristica negativa delle micro- e nanoplastiche è legata alla loro capacità di assorbire molti inquinanti ambientali (come metalli, pesticidi, idrocarburi e diossine), oltre a microrganismi patogeni, e di veicolarli all’interno degli organismi (Lambert e Wagner, 2018).
Sono numerosi i dati che mostrano come la presenza di microplastiche sia ormai ubiquitaria in tutti gli ecosistemi acquatici mondiali. Tuttavia, sono perlopiù assenti quelli relativi alle nanoplastiche, data la loro difficoltà di campionamento e di riconoscimento. Anche nei confronti della tossicità siamo ancora quasi all’anno zero, in quanto gli studi che hanno mostrato degli effetti negativi nei confronti di numerosi organismi acquatici, sono stati però svolti a concentrazioni molto superiori a quelle ambientali.
Andrea Binelli, Professore Ordinario di Ecologia ed Ecotossicologia dell’Università degli Studi di Milano