Secondo l’Ocse nel 2050 in Italia ci saranno più pensionati che lavoratori ma da giorni si discute solo su chi debba fare il vice presidente del Consiglio. Nel Paese dove la situazione politica è grave ma non seria, ci guardiamo l’ombelico parlando del totoministri invece di chiedere a Pd e M5S come troveranno i 23 miliardi per evitare l’aumento automatico dell’Iva. In fondo è questo il motivo per cui nascerà questo governo, no? A sentir parlare Zingaretti e Di Maio abbiamo l’impressione che la politica economica sarà abbastanza simile a quella del governo gialloverde, come idea di fondo. Il segretario del Partito democratico ha annunciato di voler «rimettere i soldi nelle tasche degli italiani», mentre il capo politico del Movimento Cinque Stelle chiede nei suoi 20 punti irrinunciabili di fare politiche espansive e una banca d’investimenti per il Sud. Tradotto: fare tanto deficit chiedendo soldi in prestito ai mercati, aumentare la spesa corrente e rimandare ancora una volta le riforme strutturali che servirebbero all’Italia. E così aumenta il debito pubblico, arrivato al 134% del prodotto interno lordo. La neo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha già detto che farà tutto in suo potere per dare agli Stati membri la flessibilità prevista dai trattati europei. Il calo dello spread Btp-Bund e il rallentamento dell’economia tedesca potrebbero dare lo spiraglio politico rendere meno rigidi i vincoli di bilancio. Anche questa volta l’Italia potrebbe sfangarla e allontanare un po’ più in là il giorno in cui dovrà fare i conti con i problemi irrisolti della sua economia: calo demografico, bassa produttività, alto tasso di disoccupazione, evasione fiscale e contributiva, per dirne quattro.
E se per una volta il governo italiano approvasse le riforme strutturali che l’Unione europea ci chiede da anni? In teoria il programma esiste già. Sono le raccomandazioni specifiche approvate il 9 luglio dal Consiglio, l’organo dell’Unione europea che riunisce i vari ministri dei 28 Stati in base al dossier da affrontare. Una previsione realistica che si potrebbe realizzare nei prossimi 12-18 mesi. Se ne parla spesso delle raccomandazioni dell’Ue, viste come delle imposizioni dall’alto fatte da eurocrati insensibili che vogliono solo il nostro male. Ma a leggere le 25 pagine di pareri sulle politiche economiche, occupazionali e di bilancio per stimolare la crescita e l’occupazione, mantenendo in ordine i conti pubblici ci si chiede perché non si parli mai di questi temi nel dibattito italiano. In attesa di sapere quale sarà il programma del governo Conte 2 e se il Partito democratico accetterà l’ultimatum di Di Maio vi proponiamo una lista di otto punti irrinunciabili che Commissione europea e Consiglio inserirebbero volentieri nel programma di governo italiano. Ecco il manifesto del “Ce lo chiede l’Europa”.
E se per una volta il governo italiano approvasse le riforme strutturali che l’Unione europea ci chiede da anni?
Uno. Fare una seria riforma dell’Iva. Da anni il governo rinvia una legge che razionalizzi il numero e l’entità delle agevolazioni fiscali, in particolare le aliquote ridotte dell’Iva. Ma il vero problema è che lo Stato incassa meno Iva rispetto a quanto dovrebbe. Sono 35,8 miliardi che perdiamo ogni anno, l’equivalente di una legge di bilancio. Come sempre il problema è l’evasione fiscale e in particolare l’omessa fatturazione. Con la fattura elettronica voluta dal governo Renzi si è fatto un passo in avanti, ma bisognerebbe abbassare il limite legale per i pagamenti in contanti, per incoraggiare l’uso dei pagamenti elettronici. Da anni la Commissione europea propone una riforma radicale: la trasmissione elettronica obbligatoria delle ricevute per tutte le operazioni commerciali. Tradotto gli scontrini fiscali inviati direttamente all’Agenzia delle entrate. Il governo ha previsto questa riforma dal 1 luglio del 2020 per tutti gli operatori commerciali, ma non tutta la Penisola è collegata a internet e il rischio è quello di vedere un decreto che renda l’obbligo graduale.
Due. Inserire un’imposta sulla prima casa per i più ricchi. Pd e M5S hanno promesso di tagliare il cuneo fiscale ma facendo debito. E così, siamo capaci tutti. Per finanziare queste misure senza gravare sul bilancio dello Stato si potrebbe introdurre l’imposta sulla prima casa. Tranquilli, non per tutti i cittadini italiani, ma almeno per le famiglie più ricche che potrebbero permetterselo. E invece il governo italiano dal 2015 l’ha abrogata anche per i nuclei familiari più abbienti. Per evitare di far pagare imposte troppo alte rispetto al valore di mercato corrente bisognerebbe ricalcolare il valori catastale dei terreni e dei beni che da anni non sono aggiornati. Ma non è mai stato fatto.
Tre. Riforma delle pensioni. Nel 2016 l’Italia ha speso 270 miliardi per le pensioni, il 16,1% del Pil. Solo la Grecia spende più di noi (17,5%). E Quota 100 ha peggiorato ancora di più la situazione perché il governo ha dovuto stanziare lo 0,5% del Pil sia per il 2020 che per il 2021. Ovvero soldi che potrebbero essere investiti per infrastrutture, scuola, ricerca. L’Europa cattiva non vuole far godere la pensione dopo una vita di duro lavoro? Prima di dirlo ricordate che l’Italia è già al di sotto della media dell’Unione per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori anziani, cioè tra i 55 e i 64 anni. A parte i lavori usuranti la soluzione migliore sarebbe eliminare quota 100, ripristinare la riforma Fornero e intervenire sulle pensioni d’importo elevato che con corrisponde ai contributi versati. E non solo quelle d’oro, come già fatto dal M5S.
Quattro. Sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione femminile (53,1%) è molto più basso rispetto alla media europea (67,4%). L’Italia è al secondo posto in Europa nella sconfortante classifica sul divario occupazionale tra uomini e donne. Solo Malta fa peggio di noi. Nessun governo finora ha mai affrontato seriamente il problema. Manca una strategia organica per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. E dire che potrebbe favorire la crescita economica aumentando l’offerta di manodopera. Il sistema dei congedi parentali è inadeguato ai tempi. Per dire quello di paternità è stato aumentato solo di un giorno: da quattro a cinque. Questo e la mancanza di una rete sviluppata ed economica di asili nido, ma anche di assistenza sanitaria e a lungo termine, impedisce alle donne con figli di entrare nel mondo del lavoro. Senza servizi adeguati, capillari ed economici si rimane a casa. Per dire, nel 2017 solo il 28,6 % dei bambini sotto i tre anni è stato inserito in strutture formali di educazione della prima infanzia. Per non parlare del cuneo fiscale elevato per il secondo percettore di reddito che riduce l’incentivo finanziario per le donne a lavorare
Cinque. Riforma della scuola. In Italia il tasso di abbandono scolastico (14,5%) è molto più alto rispetto alla media europea (10.6%). Bisogna partire da qui per riconoscere che c’è un problema da non sottovalutare. Bruxelles raccomanda di agire prima di tutto sugli insegnanti. I loro stipendi sono molto più bassi e crescono più lentamente rispetto a quello dei loro colleghi di altri Paesi europei. Si tiene troppo conto delle loro conoscenze invece che delle competenze quando vengono reclutati. Le promozioni si basano solo sull’anzianità, non sul merito. Fare l’insegnante non è più considerato una carriera attrattiva e questo ha portato ad abbassare la qualità del personale docente. Gli studenti italiani ottengono risultati tra i peggiori dell’Unione per quanto riguarda le competenze chiave e le competenze di base. Ancora peggio per le competenze digitali di base e avanzate di molto inferiori a quelle della media europea. L’Italia è anche penultima nell’Unione europea per numero di laureati. Così come pochi sono i diplomati in possesso di un titolo di studio post-secondario, in particolare nei settori scientifici e tecnici. Il problema non è solo tra i banchi di scuola. Gli adulti apprendono sempre di meno e questo sarà sempre di più un problema perché nel mercato del lavoro italiano aumenta il divario occupazionale tra lavoratori altamente qualificati e lavoratori scarsamente qualificati. Se proprio bisogna fare deficit per finanziare la legge di bilancio, allora sarebbe meglio investire, e tanto sull’istruzione terziaria professionalizzante, limitata nonostante abbia un alto tasso di occupabilità.
Sei. Riforma delle banche. L’Unione europea chiede di favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche italiane che sono troppo esposte alle obbligazioni sovrane e alla volatilità dei mercati. Le sparate dei due vice presidenti del Consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno aiutato. Per rendere gli istituti di credito stabili e rafforzare l’erogazione di credito all’economia reale bisogna costringerli a ridurre gli stock di crediti deteriorati e incagli ereditati dal passato. Serve anche una seria riforma della governance del sistema bancario che completi quella iniziata nel 2015 sulle grandi banche popolari. Il governo ha approvato a inizio del 2019 un riforma sull’insolvenza ma mancano, come sempre, i decreti attuativi. Bisogna emanarli al più presto per superare la persistente lentezza nei procedimenti di esecuzione forzata e di escussione delle garanzie. C’è anche un altro problema legato soprattutto nel Sud Italia dove le imprese più piccole e innovative faticano ancora ad accedere al credito. Il mercato dei capitali è poco sviluppato rispetto ad altri Stati membri perché c’è un basso livello di educazione finanziaria, e il timore di perdere il controllo sull’attività aziendale. Per non parlare dei costosi adempimenti amministrativi che scoraggiano gli imprenditori dal chiedere prestiti.
Sette. Riforma della Giustizia. In Italia un processo civile dal primo al terzo grado di giudizio dura in media otto anni. La media europea è di poco più di due anni. Basta questo dato per capire lo stato della giustizia italiana. E non abbiamo citato i tempi del processo penale. La Corte di Cassazione è ingolfata per il numero di cause che deve gestire e questo incide sulla qualità delle sentenze in primo e secondo grado. Bruxelle propone una riforma per semplificare le norme procedurali e un sistema di appello per evitare l’abuso dei contenziosi. L’accusa al sistema italiano è di aver usato in modo limitato e incoerente il filtro di inammissibilità per gli appelli al giudice di secondo grado. Difficile dargli torto.
Otto. La concorrenza. Il vero male dell’economia italiana è la bassa produttività. Il nostro Pil non cresce a ritmi sostenuti ed è per questo che il debito non cala. Eppure ci sarebbe un modo per aumentare la produttività: migliorare la concorrenza in settori “dimenticati” come i servizi alle imprese e il commercio al dettaglio. Quello che mancano solo delle leggi semplici che facciano partire in condizioni di parità le piattaforme innovative e gli operatori tradizionali. Qualche esempio? Aumentare le procedure competitive per l’aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico e delle concessioni per l’accesso ai beni pubblici. Manca una regolamentazione stabile nel sistema degli appalti pubblici e soprattutto qualcuno che vigili sul mercato dei prodotti. Ci sono troppe organizzazioni, sovrapposte tra loro e non coordinate. Così è impossibile impedire la concorrenza sleale e punire le imprese che sgarrano.